Il presidente del Consiglio parlerà in Senato e poi ci sarà un voto di fiducia sulle sue comunicazione. Stessa cosa avverrà alla Camera subito dopo. Salvo sorprese, Draghi dovrebbe ottenere un largo margine di voti a favore, ma per ora sembra intenzionato a lasciare comunque
Il futuro del governo Draghi sarà deciso mercoledì, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi terrà un discorso su cui sarà posta la questione di fiducia prima al Senato e poi alla Camera.
Con ogni probabilità, Draghi riceverà un’amplissima fiducia, ma su cosa deciderà di fare rimangono ancora molti dubbi. Le persone a lui più vicine assicurano che non ha intenzione di restare al governo e che è pronto a dimettersi in ogni caso.
Ma la moltiplicazione degli appelli affinché resti al governo e la prospettiva di doversi dimettere dopo un voto di fiducia con percentuali bulgare rende la situazione difficile da prevede.
Il voto di mercoledì
Nel pomeriggio di lunedì, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e quello della Camera, hanno raggiunto un accordo sulle comunicazioni del presidente del Consiglio. Mario Draghi parlerà prima al Senato, come da pressi, e poi ci sarà un voto di fiducia sulle sue comunicazioni. Successivamente si recherà alla Camera dove ci sarà un secondo dibattito e poi un nuovo voto di fiducia.
Domani, saranno decisi gli ultimi dettagli della giornata, come gli orari delle comunicazioni e i tempi del voto, ma al momento, la questione principale è stata decisa: entrambe le camere voteranno la fiducia a Draghi e si comincerà dal Senato, dove il Movimento 5 stelle è maggiormente diviso tra chi vuole votare la fiducia a Draghi e chi invece ritiene sia arrivato il momento di uscire dalla maggioranza.
Pd e Movimento 5 stelle avevano tentato per tutto il giorno di fare l’inverso, iniziare cioè dalla Camera. In questo modo, se il leader del Movimento Giuseppe Conte dovesse decidere di non votare la fiducia, le fila dei governisti sarebbero state ingrossate da una cospicua pattuglia di deputati 5 stelle. Partendo dal Senato, invece, dopo il gruppo di Conte è più solido, il primo voto di fiducia rischia di vedere la completa assenza del Movimento.
Cosa vuole Draghi
Ma al centro della crisi rimane la volontà di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio ha presentato le sue dimissioni la scorsa settimana, dopo l’astensione del Movimento 5 stelle al voto di fiducia sul cosidetto decreto aiuti.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, però, ha respinto le dimissioni e lo ha rimandato alle camere. Mattarella non può obbligare Draghi a rimanere presidente del Consiglio, ma sta cercando di “parlamentarizzare” la crisi, ossia spingere Draghi a verificare se dispone ancora di una congrua maggioranza in parlamento. In caso di risposta positiva le sue dimissioni sarebbero più complicate da portare aventi.
Il problema, però, è che nelle scorse settimane Draghi ha detto esplicitamente che non intende guidare un governo senza il Movimento 5 stelle né che è disponibile a guidare governi con nuove maggioranze.
In questi giorni, diverse fonti a lui vicine hanno confermato che Draghi restava fermo nella sua idea di dimettersi e che quindi non ci sarebbe stata nessuna richiesta di fiducia alle camera: il presidente del Consiglio aveva già deciso di lasciare.
Deputati e senatori però si sono organizzati “per conto loro” e così mercoledì ci saranno due voti di fiducia che Draghi, a quanto dicono i suoi, non ha affatto gradito. Anche oggi, fonti vicine al presidente del Consiglio hanno confermato che Draghi intende comunque dimettersi, se fosse necessario anche dopo un largo voto di fiducia a suo favore.
Ma le certezze di molti si stanno incrinando. Si moltiplicano gli appelli da parte di partiti, sindaci, associazioni e categorie affinché Draghi resti. Se a questo si aggiungerà un voto di fiducia con percentuali “bulgare" mercoledì, per Draghi potrebbe diventare davvero difficile lasciare. Che gli piaccia oppure no.
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