Come riportato dall’Economist, il professore turco Ercan stima che ancora 180mila persone siano intrappolate, con scarse probabilità di sopravvivenza, sotto le macerie dei 6mila edifici crollati. Dodici anni di guerra in Siria pesano sullo stato dei terremotati
- Ovgun Ahmet Ercan, sismologo turco, ha stimato in 180mila le persone ancora sotto le macerie. Di queste molte potrebbero essere già morte.
- Gli aiuti internazionali arrivano copiosi in Turchia, ma la situazione politica della Siria compromette un afflusso adeguato di personale di soccorso e sostegni materiali.
- Il disastro naturale è aggravato da fattori umani: la Russia da anni compromette l’arrivo di aiuti umanitari nel nordovest della Siria.
Mentre le ricerche dei sopravvissuti procedono affannosamente nelle aree colpite dal terremoto di lunedì tra Turchia e Siria, l’Economist cita l’esperto di terremoti turco Ovgun Ahmet Ercan, secondo il quale le persone ancora sotto le macerie sarebbero 180mila, con scarse possibilità di sopravvivenza per chi non è ancora stato soccorso. Dal governo turco arriva una cifra che sembra ancora molto parziale: 16mila morti.
La stima
La terrificante stima di Ercan, ben oltre le attuali 11mila vittime e le prime previsioni dell’Oms, che teme fino a 20mila morti, deriva dalla combinazione di una serie di dati.
In primo luogo, il sismologo turco ha considerato il numero di edifici collassati, circa 6mila, e lo ha moltiplicato per la media dei piani, 4, e una stima delle persone per piano, 8.
Il risultato è terrificante: circa 192mila persone sarebbero state seppellite dalle macerie e, a più di due giorni dalla prima devastante scossa, poco più di 10mila sono state soccorse.
Questo porterebbe a stimare il numero degli individui ancora sepolti sotto le macerie attorno ai 180mila, con la probabilità di trovare sopravvissuti che scende vertiginosamente ora dopo ora, considerando anche le condizioni climatiche rigide nella regione.
Un numero tale di morti renderebbe il terremoto di lunedì tra i più letali della storia contemporanea, superando di gran lunga il terremoto del Sichuan del 2008 e avvicinandosi alle 240mila vittime del disastro di Tangshan del 1976.
C’è da considerare, in uno slancio ottimistico, che le due scosse principali sono avvenute a diverse ore di distanza e ciò avrebbe consentito a molti di abbandonare la propria abitazione.
È, dunque, possibile che parte dei 6mila edifici crollati siano collassati senza nessuno al loro interno, riducendo parzialmente il numero delle persone intrappolate sotto le macerie.
La stima, come spiegato da un istruttore della Croce rossa a Domani, sarebbe, al netto di questo fattore, coerente con i protocolli normalmente utilizzati per approntare i calcoli preliminari per la gestione delle maxiemergenze.
Secondo l’Oms, infatti, la popolazione interessata dal terremoto ammonterebbe a 23 milioni di persone, dato che renderebbe ragionevoli le proiezioni di Ercan.
Tuttavia, spiega la fonte, stime più precise richiederebbero dati specifici sulla densità abitativa delle aree colpite, sull’urbanistica delle città e sullo stato delle costruzioni interessate, nonché un dato disaggregato sulla gravità dei danni riportati dagli edifici. Dati questi al momento non di facile consultazione.
Gli altri fattori
La stima del professor Ercan non fa esplicito riferimento alla sola Turchia. La situazione siriana, al di là delle stime, è estremamente complessa. I dati sono pochi e confusi. I media statali parlano di circa 300mila sfollati.
I soccorsi, come noto, sono complicati dall’ostilità di Damasco nei confronti delle fazioni di opposizione che controllano le zone colpite dal sisma.
Inoltre, la Siria non sta ricevendo l’ingente sostegno internazionale di cui ha, al contrario, beneficiato la Turchia. La natura del regime di Bashar al Assad è l’ostacolo che la comunità internazionale non riesce a superare anche a costo della sopravvivenza di una popolazione già stremata da più di dieci anni di guerra.
È dalla Società della mezzaluna rossa irachena e dal centro logistico in Giordania del Comitato internazionale della Croce rossa che arrivano i principali aiuti, mentre la Cina offre l’equivalente di 4,4 milioni di dollari in aiuti.
La questione delle sanzioni, poi, complica ulteriormente l'afflusso di aiuti finanziari. Dopo il caso del blocco delle donazioni tramite la piattaforma americana GoFundMe, diverse voci hanno richiesto la sospensione del regime sanzionatorio statunitense.
Dopo la Comunità di sant’Egidio, anche la Comunità episcopale italiana e la Cina hanno, seppur con toni differenti, chiesto a Washington di alleggerire il peso rappresentato dalle misure restrittive contro il regime di Assad.
L’Unione europea, che pure ha posto la Siria sotto sanzioni, specifica che le proprie misure non riguardano gli aiuti umanitari.
Un disastro “naturale”?
Difficile attribuire colpe per l’attivazione naturale di una linea di faglia. Meno azzardato, però, considerare il fattore “umano” che può limitare ora dopo ora le possibilità di sopravvivenza di, seguendo la stima di Ercan, 180mila persone.
Al di là della lentezza dei soccorsi in Turchia, sulla situazione siriana non possono non pesare le colpe umane. Il nordovest del paese è, come detto, controllato dall’opposizione e ospita 4,5 milioni di civili, di cui 3 sono attualmente sfollati.
La distruzione delle infrastrutture di base e il collasso dell’economia costringevano già prima del terremoto il 90 per cento della popolazione locale a dipendere dagli aiuti internazionali.
Oltre che per le violenze, tuttavia, l’accesso degli operatori umanitari alla regione è compromesso anche da precise scelte politiche operate dalla Russia di Vladimir Putin, presente militarmente nel paese al fianco di Assad e membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In questa sede, infatti, la Russia ha imposto la chiusura di due dei tre principali corridoio umanitari presenti, mantenendo aperto il solo passaggio di Bab al Hawa, al confine con la Turchia.
La regione, sistematicamente “affamata” da Assad, ha visto così compromesso il collegamento con la propria principale fonte di sussistenza, la cooperazione internazionale.
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