- Oggetto di innumerevoli attacchi e sberleffi, il ruolo di Alexandre de Moraes è enorme e ha incrociato svariati passaggi della vita pubblica del paese. Ma non è mai stato di sinistra, come dimostra il suo passato in politica
- Le inchieste contro Bolsonaro sulle fake news e le manifestazioni antidemocratiche sono sul suo tavolo da anni. Ora è per la linea dura contro i manifestanti che hanno devastato Brasilia
- Bolsonaro ha dichiarato che tornerà a breve in Brasile, a causa del suo stato di salute. Ma c’è chi non gli crede e vuole che il giudice Moraes chieda agli Stati Uniti di espellerlo
Xandão, noi diremmo Sandrone, già da tempo non può andare al ristorante senza essere insultato da qualche maleducato, con immancabile video rilanciato in rete. Succede a Brasilia, nella sua San Paolo e anche nella notte di New York, dove un brasiliano perditempo lo trovi sempre. Xandão poi si presta a varie rime nei coretti e funziona meglio di Alexandre de Moraes, vero nome del giudice della Corte suprema che sta avendo un ruolo fondamentale nelle vicende brasiliane degli ultimi giorni.
Da anni Moraes è considerato nemico pubblico numero uno da Jair Bolsonaro e dai suoi elettori più radicali. Oggetto di innumerevoli attacchi e sberleffi. Per via della Costituzione brasiliana – ne parleremo più avanti – il suo ruolo è enorme e ha incrociato svariati passaggi della vita pubblica del paese.
Basti pensare che soltanto da domenica scorsa, Moraes ha rimosso un governatore – quello del Distretto federale per gli attacchi ai palazzi – ha fatto sgombrare tutti gli accampamenti dei golpisti, ha ordinato la chiusura di vari account nei social network, più una serie di decisioni minori.
L’ex presidente del Senato Renan Calheiros gli ha chiesto di ordinare il ritorno di Bolsonaro dal suo esilio in Florida sulla base, sostiene, delle responsabilità dell’ex presidente e del suo ruolo nei fatti di Brasilia. Qui però le cose si complicano, ed è assai incerto se e come una misura del genere potrà essere presa. È sicuro invece che “Xandão” avrà il pallino della questione Bolsonaro in mano ancora a lungo.
Dalla politica alla toga
Membro della Corte suprema dal 2017 e presidente di turno dell'authority elettorale, Alexandre de Moraes è un raro caso di giudice nel mirino di odiatori. Di solito è il contrario. Il Brasile qualche anno fa era ai piedi di Sergio Moro, il giudice anticorruzione che aveva mandato in prigione i potenti (Lula compreso). Il quale Moro non a caso considerava il nostro Antonio Di Pietro il suo modello.
Negli Usa, nella corte più alta c'erano l'idolo dei conservatori Scalia e quello dei progressisti Ginsburg. Molto spesso la popolarità porta dalla toga alla politica, con risultati quasi sempre modesti. Moraes invece ha fatto il percorso opposto.
Ha avuto cariche politiche importanti nel governo di San Paolo, entrando e uscendo dalla professione di avvocato per una decina di anni, per poi approdare a Brasilia come ministro della Giustizia del governo di Michel Temer.
Ha avuto in tasca la tessera del Psdb, partito di centrodestra. Infine Temer l'ha nominato giudice del Supremo Tribunal Federal, la Corte suprema. Assolutamente nulla nella sua vita professionale e politica giustifica dunque le sue foto imbrattate con la falce e martello, e l'idea diffusa nella destra brasiliana che Moraes sia agli ordini di Lula e dei comunisti.
Anzi. Prima dello scontro frontale con Bolsonaro, Moraes era assegnato all'ala conservatrice della Corte. In un caso da noi ben conosciuto, quello dell'estradizione di Cesare Battisti, la sua nomina fu importante per spostare il peso a favore delle richieste italiane, dopo un tira e molla durato anni.
L'Stf ha enormi poteri in Brasile perché riunisce le competenze di una Corte costituzionale e dell'istanza più alta di giudizio, la nostra Cassazione. Gli undici giudici possono muoversi su denunce di procuratori ma anche autonomamente, da soli (decisione monocratica) o in modo collegiale.
Decine di falli fischiati
La Corte è cronaca quotidiana in Brasile, tutti conoscono i nomi dei giudici e come la pensano. A loro volta, gli undici fanno fatica a resistere alle sirene del protagonismo e vivono sui media. Tra le mille cose, il Stf giudica gli atti del presidente, dei ministri e dei parlamentari. E su Bolsonaro e il suo governo, Moraes ha le idee chiare sin dall'inizio: l'ex capitano gioca con le regole della democrazia in modo pericoloso.
Fosse un arbitro di calcio, è come se durante la sua presidenza gli avesse fischiato una ventina di falli, e non parliamo dei cartellini. Ora c'è chi sogna che estragga finalmente quello rosso: Bolsonaro in galera.
Il fronte che più ha dato fastidio al bolsonarismo è la lotta tenace di Moraes alle fake news e alle cosiddette milizie digitali della disinformazione. A causa del suo ruolo parallelo di responsabile dell'authority elettorale ha effettuato molti interventi durante l'ultima campagna presidenziale, quasi tutti contro Bolsonaro.
Non ci sono soltanto gli odiatori della rete: molti giuristi sostengono che abbia superato le sue funzioni, in un editoriale il Wall Street Journal si è detto preoccupato per l'evidente deriva giudiziaria della politica brasiliana. Decide tutto il “Supremo”, insomma.
Comunque sia, con Bolsonaro il giudice calvo è passato ai fatti. Lungo la sua presidenza ha aperto numerose inchieste a suo carico, e ha cercato di fare terra bruciata attorno ai finanziatori delle manifestazioni golpiste. Le quali non sono certo cominciate domenica scorsa. Da anni nelle manifestazioni con la maglietta della Seleção si alzano striscioni a favore della chiusura del Congresso e di un intervento politico sui giudici nemici.
La linea dell’intransigenza
Sui fatti di Brasilia, Moraes ha confermato di voler continuare con la linea intransigente. Li ha definiti “atti di terrorismo contro la democrazia e le istituzioni democratiche”, ha parlato di persone “non civilizzate”. La parola terrorismo ha risvolti pesanti.
Una cosa è essere accusati di aver spaccato vetrate, un'altra è rischiare fino a 30 anni di galera per insurrezione. Ieri circa 600 dei 1.500 fermati sono stati rilasciati, quasi tutti donne e anziani, ma con tutti gli altri come distinguere le singole responsabilità?
Qualcuno ricorda ancora una volta il parallelo con l'assalto a Capitol Hill a Washington, dove decine di persone hanno iniziato ad essere giudicate o arrestate dopo un anno e più dai fatti. La polizia sostiene di aver già identificato i finanziatori degli spostamenti in autobus a Brasilia dei facinorosi. Ma il grosso punto interrogativo resta la situazione di Bolsonaro.
Lula è stato durissimo contro i “fascisti e i golpisti” di Brasilia ma ha evitato di incolpare direttamente il suo rivale. Anche nel governo si va cauti. I rischi di una recrudescenza della violenza non sono pochi: il Brasile è un paese gigantesco e camionisti pronti a bloccare le strade o tirar giù un traliccio elettrico se ne trovano sempre. Bolsonaro ha dichiarato che tornerà a breve in Brasile, a causa del suo stato di salute. Se è vero, non si pone il problema di cosa fare con gli Stati Uniti, già che da più parti si alzano richieste di estradizione (improprie al momento, visto che non esiste indagine o mandato di cattura dell'ex presidente) o di espulsione. Qualunque cosa avverrà, in ogni caso, passerà sul tavolo dell'odiato Xandão.
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