- Tanto sarebbe valso dichiarare nitidamente le proprie priorità. Se Emmanuel Macron ad esempio avesse detto che il suo viaggio in Cina è anzitutto un reclutamento di possibilità economiche, come la presenza di uno stuolo di 53 dirigenti d’azienda attesta, allora si sarebbe persino potuto considerare la sua spedizione un successo. Ed è un successo calcolato, come calcolata è la strategia di Xi Jinping di lusingare con esche di opportunità di business il suo interlocutore, cercando così di frammentare un fronte occidentale.
- «Consideriamo l’Europa come un polo indipendente in un mondo multipolare», ha sferzato - e non per caso – il presidente cinese.
- Ma siccome Macron ha avvolto tutta la sua visita ufficiale, preparata in simultanea con quella di Ursula von der Leyen, sotto un manto di grandi ambizioni geopolitiche e missioni per la pace, suona ora come una fragorosa sconfitta, la sua. Il primo indizio è il déjà-vu dell’enorme tavolo negoziale.
Tanto sarebbe valso dichiarare nitidamente le proprie priorità. Se Emmanuel Macron ad esempio avesse detto che il suo viaggio in Cina è anzitutto un reclutamento di possibilità economiche, come la presenza di uno stuolo di 53 dirigenti d’azienda attesta, allora si sarebbe persino potuto considerare la sua spedizione un successo. Ed è un successo calcolato, come calcolata è la strategia di Xi Jinping di lusingare con esche di opportunità di business il suo interlocutore, cercando così di frammentare un fronte occidentale. «Consideriamo l’Europa come un polo indipendente in un mondo multipolare», ha sferzato - e non per caso – il presidente cinese.
Ma siccome Macron ha avvolto tutta la sua visita ufficiale, preparata in simultanea con quella di Ursula von der Leyen, sotto un manto di grandi ambizioni geopolitiche e missioni per la pace, suona ora come una fragorosa sconfitta, la sua.
L’immobilismo di Xi
Il primo indizio è il déjà-vu dell’enorme tavolo negoziale, con i tre – presidente francese, cinese, e presidente della Commissione Ue – collocati ad ampia distanza fra loro. L’immagine ricorda quell’ingombrante tavolo di marmo del Cremlino, dove prima il premier filorusso ungherese Viktor Orbán, poi pure Macron stesso, erano andati a sedersi a febbraio del 2022, e cioè a un tiro di schioppo dall’aggressione russa dell’Ucraina, senza tuttavia cavarne nulla né tantomeno disinnescare la guerra, poi deflagrata pochi giorni dopo.
A oltre un anno di distanza l’Eliseo sembra perseverare nell’attitudine di coltivare promesse poi disilluse. Quando è partito da Parigi in direzione di Pechino, il presidente francese ha fatto intendere di voler lavorare a un incontro tra Xi Jinping e il presidente ucraino e più in generale a un effettivo ruolo di deterrenza e di interpolazione da parte della Cina verso la Russia.
Ed è vero, certo, che Xi Jinping in conferenza stampa si è espresso contro gli attacchi ai civili e contro l’uso bellico del nucleare. Ma le esortazioni di Macron al presidente cinese perché condannasse le azioni della Russia sono cadute fragorosamente nel vuoto. A dire il vero, nelle dichiarazioni d Xi Jinping, la Russia non compare nemmeno. E pure la promessa esibita a trofeo da von der Leyen, di un incontro con Zelensky, esce accompagnata da un «al momento opportuno».
«Bisogna prendere in considerazione le preoccupazioni delle diverse parti per battezzare una architettura di sicurezza europea sostenibile e duratura», è la versione di Xi Jinping, più simile a una scivolosa equidistanza che a una condanna verso Mosca. Ed è per questo che Macron non ha potuto non dare segni di reazione in conferenza stampa: «Che architettura è, con un paese invaso?», ha detto il presidente in riferimento all’Ucraina.
Pragmatismo debole
«La Cina considera l’Europa come un polo indipendente in un mondo multipolare, e che si impegna in direzione di un’autonomia strategica», sono le parole pronunciate sempre dal presidente cinese, che ha evocato le parole d’ordine anzitutto macroniane della «sovranità europea» e della «autonomia strategica». Per poi affondare: «L’Europa non dipende da un partito terzo, né vi si sottomette; contiamo sull’indipendenza europea». L’affermazione ha un duplice valore: da una parte accarezza tutta la retorica di von der Leyen, che anche questo giovedì a Pechino ha portato avanti il suo de-risking inteso anche come riduzione delle dipendenze dal colosso cinese. Dall’altra, ribadire l’indipendenza dell’Ue significa anche disancorarla dagli Usa.
E se c’è qualcosa in cui Xi Jinping pare essere riuscito, è la disarticolazione del fronte occidentale. I leader europei vanno alla sua corte alla spicciolata: in autunno il cancelliere tedesco, una settimana fa il premier spagnolo, poi il presidente francese, certo in compagnia di von der Leyen, ma con agende in gran parte parallele, anche in senso metaforico. La presidente della Commissione europea ha infatti assunto una posizione più muscolare e allineata con Washington, anche se negli ultimi giorni ha dovuto modularla; e la ragione è costituita proprio dalle rimostranze dei governi europei. Il che conferma un atteggiamento composito e non netto da parte degli europei.
Su tutte queste sfumature Xi Jinping non può che far leva: costituiscono per lui un utile margine di manovra al fine di disarticolare il fronte Usa-Ue. E così va letta anche la lista di cooperazioni con Parigi annunciata in conferenza stampa: una ridda di annunci che va dal commercio alle olimpiadi. C’è poi la ridda di accordi siglati; gli affari conclusi per Airbus, e così via. Infine l’ultima cena, questo venerdì, tra Macron e Xi Jinping. Sullo sfondo la promessa non mantenuta di una svolta sullo scacchiere ucraino.
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