Proprio quando i repubblicani si preparano ad alzare l’asticella sull’aborto, andando verso un disegno di legge che proibisca l’aborto a livello federale, Donald Trump ha nuovamente spiazzato alleati ed avversari. In un’intervista alla Nbc, dove l’ex presidente ha toccato i temi a lui cari, come la giustizia «politicizzata» e le elezioni «rubate», Trump ha anche parlato del diritto all’aborto, in termini diversi rispetto al consueto: decisioni come quella di Ron DeSantis, che ha firmato un provvedimento per proibirlo dopo sei settimane di gravidanza, sono «terribili» e quando sarà presidente non firmerà una legge di divieto totale, ma cercherà di trovare una «soluzione» sulla questione dopo «cinquantadue anni».

Un’affermazione apparentemente un po’ strana per chi, intervenendo alla Marcia per la Vita a Washington il 24 gennaio 2020, si era autodefinito «il presidente più pro-life di sempre». Ovviamente non era vero, anzi. La posizione di Trump è sempre stata ondivaga: quando nel 2000 si era candidato alle presidenziali per il Reform Party, si era definito a favore della libertà di scelta, pur sostenendo di «odiare» l’aborto a livello personale.

Poi durante la sua presidenza si era più volte espresso contro l’aborto e aveva nominato tre giudici alla Corte suprema che avevano espresso la loro volontà di rovesciare il precedente legato alla sentenza Roe v. Wade del 1973, che costituzionalizzava la protezione del diritto all’aborto. Non solo: durante il suo mandato Trump ha incarnato agli occhi degli evangelici il perfetto agente di Dio, quella persona peccatrice che agisce però secondo i dettami del Creatore. Cosa è successo da allora?

Con la sentenza Dobbs v. Jackson l’aborto ha smesso di funzionare elettoralmente per i repubblicani, ormai soddisfatti per la riuscita di quello che fino a pochi anni fa pareva un obiettivo irraggiungibile. È diventato invece il grido di battaglia del mondo progressista. Tanto che lo scorso anno è servito addirittura a sconfiggere un quesito referendario in Kansas, stato che rappresenta il cuore simbolico del conservatorismo americano.

Questo una persona col fiuto politico di Trump lo aveva capito, tanto da aver invitato i candidati a moderarsi sul tema, specificando di essere sì a favore del divieto ma con “eccezioni”: in caso di stupro, incesto e pericolo per la vita della madre. Una posizione sfumata per non apparire agli occhi dei moderati come degli estremisti invotabili: del resto i risultati del midterm parlano chiaro, i candidati troppo estremi sul tema all’elettorato non piacciono.

«Non mi interessa»

Quindi ancora una volta Trump ha spiazzato i suoi avversari, troppo intenti a cercare di conquistare il sostegno degli evangelici. Anche se da quella parte sono arrivate critiche meno sfumate del solito: Marjorie Dannenfelser, presidente dell’organizzazione antiabortista Susan B. Anthony List ha detto che Trump «non può più definirsi pro-life» e che ora l’obiettivo è un divieto a livello federale.

Posizione sposata anche da due candidati come Mike Pence e Tim Scott. Anche Andrew Romeo, uno dei portavoce della campagna presidenziale di Ron DeSantis, ha twittato dicendo che i risultati dei compromessi di Trump con i democratici hanno «prodotto un muro non finito al confine col Messico, settemila miliardi di dollari in nuovo debito e un decreto svuotacarceri».

Critiche che però non scalfiscono i consensi di Donald Trump, sempre di decine di punti sopra i suoi avversari. Trump ha però anche detto alla moderatrice di Meet The Press una specifica: «Io penso sia meglio che la questione venga decisa dagli stati, ma ci potrebbe essere in futuro anche una legge federale, non mi interessa veramente la questione».

Posizione che esplicita bene la ragione per la quale Trump ha deciso di aggiustare i toni: ha un vantaggio talmente grande che non ha un particolare bisogno di motivare la base evangelica. Ora gli occorre conquistare i moderati per tagliare qualsiasi residua possibilità di recupero ai suoi sfidanti, ormai ridotti a concorrere «er la vicepresidenza di Donald Trump».

L’ex presidente però potrebbe deluderli anche su quello, nominando la governatrice del South Dakota Kristi Noem, politicamente schierata per un neoliberismo poco temperato, che ultimamente è finita al centro di uno scandalo rivelato dal giornale britannico Daily Mail, che ha mostrato le prove della sua relazione extraconiugale con Corey Lewandowski, già membro dello staff di Trump. Come ad affermare che a Trump, dei cosiddetti valori “morali” importa poco, se questi non portano voti.

Anzi, meglio danzarci intorno. Tanto alla peggio si può puntare il dito contro “gli estremisti” dem che praticano l’aborto post-nascita nello stato di New York. Anche questa affermazione, come molte altre, è ovviamente una bufala.
 

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