Da domenica inizia lo scambio di prigionieri. Gradualmente saranno liberati 33 ostaggi. Nella Striscia, a Khan Younis, i palestinesi esultano di gioia. L’annuncio del Qatar: «Lavoro di squadra». Biden: «L’intesa più difficile della mia vita». Ma anche Trump si intesta il successo. Hamas: «Non perdoneremo mai le sofferenze inflitte a Gaza»
Già ore prima degli annunci ufficiali le poche strade rimaste ancora percorribili a Khan Younis si sono riempite di vita dopo quindici mesi di morte. Centinaia di palestinesi sono scesi in piazza per festeggiare l’accordo raggiunto tra Israele e Hamas. Il cessate il fuoco inizierà a partire da domenica, per permettere la liberazione dei primi prigionieri. A Tel Aviv, invece, si sono riuniti i famigliari degli ostaggi che da giorni attendono di sapere se il nome del proprio caro è nella lista consegnata da Hamas per il primo scambio.
L’onore dell’annuncio più atteso doveva spettare al primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, se non fosse per lo sgarbo istituzionale del prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump. «Abbiamo raggiunto l’accordo, presto gli ostaggi saranno liberi», ha scritto su Truth il tycoon. Che ha rivendicato l’intesa come un suo successo: «Non sarebbe accaduto senza la nostra vittoria di novembre».
In serata, a Doha, al Thani ha decretato la fine della guerra a Gaza, l’inizio della tregua e il via libera allo scambio dei prigionieri. «Negli ultimi mesi abbiamo visto un momento favorevole, abbiamo lavorato da vicino con i partner, quello che abbiamo visto da parte degli Usa è stata una collaborazione che prescinde da varie amministrazioni, e ha mostrato il loro impegno fermo, e vorrei ringraziare entrambi gli inviati, hanno avuto un ruolo vitale per arrivare all’obiettivo», ha detto il premier qatariota.
«Ci sarà un meccanismo per analizzare e gestire eventuali violazioni. Noi ci aspettiamo che le parti rispettino l’accordo, sappiamo che è molto complesso e possono esserci dei problemi, ma siamo pronti ad affrontarli», ha aggiunto, specificando come ci saranno stati che garantiranno sia la supervisione sia il rispetto dei patti presi.
«Questo accordo ferma i combattimenti a Gaza, farà aumentare molto l’assistenza umanitaria molto necessaria per i palestinesi civili e riunisce gli ostaggi con le loro famiglie dopo oltre 15 mesi di prigionia. È stato l’accordo più difficile della mia vita», ha detto invece da Washington il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, accompagnato da Kamala Harris e da Antony Blinken.
In quello che probabilmente sarà l’ultimo grande annuncio della sua amministrazione, Biden ha ricordato che il documento si basa sul piano da lui presentato nel maggio del 2024. «L’Italia è pronta a fare la sua parte per la stabilizzazione e la ricostruzione di Gaza», fa sapere in una nota Palazzo Chigi, che spera in «un processo politico verso una pace giusta e duratura in Medio Oriente, basata sulla soluzione dei due stati». E poi Hamas: «A nome di tutte le vittime, di ogni goccia di sangue versata e di ogni lacrima di dolore e oppressione, diciamo: non dimenticheremo e non perdoneremo» le sofferenze inflitte alla popolazione di Gaza durante la guerra.
Cosa prevede l’accordo
I giorni precedenti l’ufficialità sono stati caratterizzati da dichiarazioni contraddittorie, da minacce di far saltare l’accordo e da pressioni dei leader internazionali per giungere alla tanto sudata firma. A dimostrazione di quanto le trattative fossero complicate e del difficile equilibrismo messo in atto dai mediatori per accontentare tutti. La pace era l’unico destino percorribile, Gaza è un tappeto di macerie e Hamas è decimato, non c’è nient’altro da annientare. E il premier israeliano Benjamin Netanyahu non poteva aspettare altro tempo per riportare a casa gli ostaggi.
Fino all’ultimo minuto l’accordo ha rischiato di saltare per divergenze delle delegazioni legate al futuro del corridoio Filadelfia, una striscia di territorio confinante con l’Egitto che Israele vuole avere sotto il suo controllo. I funzionari egiziani sono sempre stati contrari, e anche le autorità palestinesi. In serata il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha detto che «le notizie sul ritiro dall’asse Filadelfia sono una completa menzogna. Il primo ministro non ha rinunciato ad un millimetro del controllo israeliano sull’asse Filadelfia».
Proprio le difficoltà di trovare una quadra su più punti, come ad esempio la restituzione a Hamas del corpo dell’ideatore degli attacchi del 7 ottobre Yahya Sinwar, ha dato vita a una tregua divisa in tre fasi. Per ognuna si continuerà a trattare nelle prossime settimane. La difficoltà sarà riuscire a mantenere il cessate il fuoco per tutti i 126 giorni di pace previsti.
La prima fase durerà 42 giorni, e durante questa saranno liberati 33 dei 94 ostaggi nelle mani di Hamas in cambio di oltre mille prigionieri politici palestinesi. I primi a tornare nello stato ebraico saranno: donne civili, soldatesse, uomini con più di 50 anni e feriti. Sono tutti vivi. Tra questi, secondo i media israeliani, rientrano anche l’israeliano di origine etiope Avera Mengistu e il beduino israeliano Hisham al-Sayad, detenuti rispettivamente dal 2014 e dal 2015. Fonti egiziane hanno invece annunciato che sono in corso i preparativi per aprire il valico di Rafah, da dove passeranno gli ostaggi. Nello stesso tempo entreranno nella Striscia 600 camion carichi di aiuti umanitari per sopperire ai fabbisogni basilari della popolazione stremata dopo 15 mesi di guerra. L’accordo consentirà a centinaia di migliaia di sfollati di rientrare nelle loro case.
I mediatori
Il Cairo e Washington sono state tappe intermedie nel percorso tortuoso delle trattative. Il nuovo capitolo di storia è stato scritto a Doha, dopo che nei mesi scorsi anche i vertici del Qatar erano spazientiti dalle intransigenze di Hamas e Israele.
«Come può avere successo la mediazione quando una parte uccide il negoziatore dell’altra parte?», aveva detto il ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, dopo che a Teheran era stato ucciso l’ex leader di Hamas Ismail Haniyeh che risiedeva da anni a Doha, la città che oltre a dargli protezione gli ha concesso la sepoltura. E poi anche la frattura con Hamas lo scorso novembre, quando una fonte anonima aveva detto ai media che «i qatarini hanno informato sia gli israeliani che Hamas che finché ci sarà un rifiuto di negoziare un accordo in buona fede, non potranno continuare a mediare. Di conseguenza, l’ufficio politico di Hamas non serve più al suo scopo».
Forse è stato solo il gioco delle parti per aumentare le pressioni, il risultato finale è che a Doha è stata firmata la tregua dopo oltre 46mila morti nella Striscia di Gaza e oltre 1.200 morti israeliani.
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