- Un anno dopo la riconquista talebana dell’Afghanistan, restano tutte le contraddizioni messe in evidenza dall’eliminazione del capo di Al Qaeda.
- Buona parte degli ex governanti afgani resta in esilio, altri sono rimasti a Kabul. I leader in esilio si dividono tra Uzbekistan, Tagikistan ed Emirati. Lo Stato Islamico nel Khorasan è indebolito ma resta una minaccia.
- Le divisioni all’interno del movimento talebano al potere sono aumentate con la morte di Zawahiri. Lo Stato Islamico potrebbe sfruttare una eventuale svolta moderata.
Il 1° maggio 2021 è stato completato il ritiro delle forze americane dall’Afghanistan, con l’eccezione di Kabul e pochi altri avamposti, quello stesso giorno è iniziata l’avanzata dei talebani che sono scesi dalle montagne e hanno conquistato l’intero paese, valle dopo valle, città dopo città. Generalmente hanno incontrato scarsa resistenza da parte dell’esercito afgano, che si è sciolto come neve al sole con l’inizio dell’estate.
La cattiva organizzazione e la corruzione di alcuni comandanti hanno permesso ai talebani di sconfiggere rapidamente le sacche di resistenza afgane, che non potevano più contare sul supporto aereo della Nato. Singoli reparti, come le forze speciali, il 215° Corpo d’armata e le milizie etniche uzbeke e tagike hanno resistito più a lungo, ma alla fine sono state sopraffatte dall’accerchiamento e dalla ferocia nemica.
Ferragosto di un anno fa
Il 15 agosto i talebani sono arrivati alle porte di Kabul e la Nato ha cominciato frenetiche operazioni di evacuazione dall’aeroporto. Nel corso di alcune settimane la coalizione è riuscita a evacuare oltre 123mila persone, anche i Carabinieri del reggimento paracadutisti Tuscania hanno esfiltrato numerosi collaboratori e interpreti, ma molti altri sono rimasti bloccate agli ingressi dello scalo, dove il 26 agosto si è anche verificato un attacco suicida dello Stato Islamico nel Khorasan (Iskp).
L’intelligence statunitense aveva informazioni dell’imminente minaccia ma il terrorista Abdul Rahman al Logari è riuscito a farsi largo tra la folla sino all’Abbey Gate, dove ha detonato la sua cintura esplosiva uccidendo 182 persone, tra cui 13 soldati americani. Un canale di scolo laterale ha amplificato l’esplosione e le vittime.
Si è trattato della più grave perdita per gli Stati Uniti in Afghanistan dal 2011, oltre che uno degli attentati più sanguinari compiuti dall’Isis nel paese, che aveva già perpetrato stragi nella capitale contro obiettivi civili e diplomatici.
L’attentato fu organizzato dall’emiro dello Stato Islamico nel Khorasan Shahab al-Muhajir, inizialmente ritenuto un arabo, in realtà un pashtun con legami nella rete talebana Haqqani. In risposta al massacro dell’aeroporto e nel timore di ulteriori attacchi, gli Stati Uniti hanno lanciato due bombardamenti contro presunti membri dell’Iskp, uno nella provincia di Nangarhar e uno a Kabul. Quest’ultimo, tuttavia, è stato un grave errore che ha provocato la morte di dieci civili innocenti, come hanno svelato il New York Times e il Washington Post.
La resistenza in esilio
Durante la caduta della capitale, il presidente Ashraf Ghani è fuggito per rifugiarsi negli Emirati Arabi Uniti, dove si trova attualmente. I suoi due vice hanno preso strade diverse. Il vicepresidente di etnia uzbeka Abdul Rashid Dostum ha tentato inizialmente di resistere a Mazar-i Sharif insieme alle milizie tagike di Atta Mohammad Nur e quelle di Ismail Khan, ma quest’ultimo è stato catturato dai talebani a Herat e ha negoziato il suo esilio in Iran.
Il palazzo di Dostum è stato saccheggiato e lui è fuggito in Uzbekistan insieme a Nur. Dostum mantiene relazioni molto strette anche con la Turchia, dove uno dei suoi figli si è diplomato all’accademia militare e un altro ha sposato la figlia del generale di brigata turco Levent Çolak.
L’altro vice di Ghani, Amrullah Saleh, ha invece scelto di resistere nella valle del Panjshir, controllata dai tagiki di Ahmad Massoud, fino a quando i talebani sono riusciti a entrare e i due leader sono fuggiti in elicottero in Tajikistan.
Amrullah Saleh si è autoproclamato presidente in esilio, ma anche il generale Sami Sadat, già comandante del 215° Corpo d’armata e poi delle forze speciali afgane, sta cercando di organizzare la resistenza dall’estero.
Proprio Sadat, durante le ultime settimane di disperata resistenza all’avanzata talebana, aveva annunciato di aver ucciso trenta membri di Al Qaeda nel Subcontinente indiano arrivati dal Pakistan, oltre a quasi ottanta qaedisti arabi nella provincia di Helmand, a conferma del fatto che i jihadisti del defunto Zawahiri hanno partecipato alla riconquista dell’Afghanistan.
Se alcuni hanno scelto l’esilio, altri sono rimasti a Kabul sotto occupazione, come l’ex presidente Hamid Karzai e l’ex capo dell’esecutivo Abdullah Abdullah, in uno stato di semi arresti domiciliari. Anche il direttore di Tolo Tv, il principale canale del paese, ha deciso di restare a Kabul nonostante le continue restrizioni alla libertà di stampa e per le giornaliste donne imposte dai talebani.
Le fazioni talebane
Le contraddizioni in seno al movimento islamista-pashtun che ha preso il potere non sono state risolte. La tensione fra la fazione moderata del mullah Baradar, protagonista dei negoziati di Doha e attualmente vicepremier, e quella più estremista degli Haqqani è rimasta intatta.
Dietro a queste divisioni ideologiche ci sono anche motivazioni etniche, infatti, pur essendo tutti pashtun, Baradar appartiene alla confederazione tribale Zirak, parte del clan Durrani, mentre gli Haqqani fanno riferimento ai Karlani e il ministro della Difesa Yaqoob, figlio del defunto leader talebano mullah Omar, al clan dei Ghilzai.
Il governo è un esercizio di equilibrismo, con la rete Haqqani che ha ottenuto il ministero dell’Interno e quello per i Rifugiati per Sirajuddin e Khalil, ricercati dagli Stati Uniti per terrorismo. L’uccisione dell’emiro di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, ha acuito ulteriormente i problemi, perché il capo jihadista si trovava a Kabul sotto protezione degli Haqqani.
I talebani avevano iniziato a rimuovere le recinzioni con filo spinato sulla Durand Line, che segna il confine tra Afghanistan e Pakistan, a conferma del fatto che la questione nazionale pashtun sia al centro dell’agenda dell’emirato islamico. Se nel 2021 il generale dei servizi pakistani Faiz Hameed era arrivato a Kabul come il grande burattinaio dei talebani, nel corso di un anno le cose sono cambiate.
I talebani pakistani (Ttp) hanno firmato un cessate-il-fuoco con Islamabad dopo l’escalation dell’anno scorso con cui volevano consolidare l’autonomia dopo la vittoria afgana. L’India di Modi ha cambiato politica e ha riaperto l’ambasciata a Kabul, oltre ad aver concordato misure comuni con i talebani contro i gruppi terroristi del Kashmir Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammad, manovrati dal Pakistan.
Il nodo irrisolto di Al Qaeda
A luglio si è finalmente palesato il capo dell’emirato islamico dell’Afghanistan, Hibatullah Akhundzada, che porta l’altisonante titolo di capo dei credenti. Si è recato da Kandahar, città dove risiede e considerata capitale culturale dai talebani, a Kabul, per parlare ad un raduno religioso.
A causa della sua riservatezza era stato addirittura dato per morto, ma negli ultimi mesi ha aumentato le sue apparizioni pubbliche, chiedendo di applicare la Shari’a anziché le leggi terrene e mettendo il veto al ritorno delle ragazze a scuola. Uno dei suoi figli si era immolato in un attentato suicida durante la guerra.
Resta sicuramente una figura debole e di compromesso tra le varie anime dei talebani, che hanno condannato il bombardamento americano che ha ucciso Zawahiri, senza menzionare il leader di Al Qaeda.
L’esperto Colin Clarke ha ribadito che sia impossibile fidarsi dei talebani, dopo che negli accordi di Doha si erano impegnati formalmente a non proteggere o ospitare Al Qaeda, ma Zawahiri si sentiva così sicuro da vivere a Kabul. Il ricercatore americano invita a considerare per la successione alla guida del gruppo jihadista, oltre ai veterani Saif al Adl e Abd al Rahman al Maghrebi, anche esponenti della nuova generazione, come Abd al Karim al Masri, attualmente guida della branca siriana Hurras al Din.
I talebani sono riusciti a limitare l’espansione in Afghanistan dello Stato Islamico nel Khorasan, ma restano varie valli sotto il controllo del gruppo, oltre a numerose cellule nelle città. Se il governo dell’emirato islamico prendesse le distanze dal terrorismo islamista, è possibile che ulteriori fazioni talebane, a cominciare dal clan Haqqani, si rivolgano allo Stato Islamico come opzione più fondamentalista.
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