Il conflitto tra il governo etiope e la regione del Tigray è stata sanguinoso e ha innescato una reazione a catena. Gli scontri si fanno sempre più cruenti. E sembra che Addis Abeba non sia in grado di controllare il territorio
La guerra tra il governo centrale etiopico e la regione del Tigray (2020-2022) ha innescato una reazione a catena che non pare fermarsi. Con le milizie delle regioni Amhara e Oromia gli scontri erano iniziati già nella primavera del 2021 per poi aggravarsi progressivamente fino ad oggi.
Durante la guerra del Tigray i gruppi amhara (le milizie Fano ed altre formazioni regionali) erano alleate con il governo centrale, mentre gli Oromo (Ola e gruppi minori) si erano schierati con i tigrini. Alla fine del conflitto Addis Abeba aveva annunciato una serie di misure volte a diminuire il potere militare delle forze regionali, provocando scontento.
Da parte del primo ministro Abiy Ahmed l’idea era (e rimane) quella di superare l’etno-federalismo iscritto nella vecchia costituzione voluta dal leader tigrino Meles Zenawi. Nel tentativo di consolidare il controllo centrale e reagire all’autonomia regionale diffusa considerata esagerata, il governo etiopico combatte ora anche contro i suoi ex alleati amhara, mentre prosegue la sua lotta in opposizione ai secessionisti dell’Oromia.
Colloqui di pace falliti
Dalla fine del 2023 e per tutto quest’anno le operazioni militari nella regione amhara si sono intensificate mentre i colloqui di pace con la più grande milizia oromo sono falliti ancora una volta. Le conseguenze per l’intero paese di tale situazione che non accenna a calmarsi sono pesanti: si calcola che solo gli scontri in Tigray abbiano provocato 600.000 vittime, quasi tutte civili. Dalle due parti vi sono denunce di presunti crimini di guerra, violazioni dei diritti umani e pulizia etnica. Tale polemica si allarga ora agli altri fronti. La guerra nel Tigray si è formalmente conclusa nel novembre 2022 ma da allora la regione è stata lasciata in uno stato rovinoso con un’economia quasi ferma.
Dopo essere stata governata per 27 anni dai tigrini del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), l’Etiopia nel 2018 è stata il teatro di forti proteste, soprattutto tra la popolazione oromo, maggioritaria rispetto alle altre etnie storiche del paese. La tensione spinse alla nomina di Abiy Ahmed come premier nella speranza di dare soddisfazione agli oromo e nel contempo di mantenere il collante unitario ormai assai infragilito. Abiy, nato in Oromia, fu salutato dalla comunità internazionale come la nuova speranza per la pace e l'armonia interetnica. Nel 2019 ha ricevuto anche il Premio Nobel per la pace per aver negoziato la fine del ventennale conflitto con l'Eritrea. Tuttavia da quel momento le relazioni tra le varie regioni non sono migliorate, al punto da spingere i tigrini ad organizzare elezioni autonomamente, sfidando gli ordini federali e infiammando ancor più le tensioni.
Il 4 novembre 2020 le truppe del Tigray furono accusate di aver attaccato un campo militare federale a Mekelle, la capitale regionale, dando inizio alle operazioni militari si vasta scala. In un tempo relativamente e con l’appoggio dell’esercito eritreo, dopo aver subito inizialmente alcuni rovesci, le truppe federali hanno isolato il Tigray provocandone la resa. Successivamente Tplf e governo centrale etiope hanno firmato un accordo di cessazione delle ostilità il 2 novembre 2022 a Pretoria, in Sudafrica. Ma la pace non è stata definitiva, a causa del sorgere di nuove tensioni.
Già nel gennaio 2023 i tigrini hanno riferito che i soldati delle milizie amhara continuavano a occupare il Wolkeit, detto anche Tigray occidentale. In realtà gli amhara contendono ai tigrini la sovranità dell'area già da molto prima. Così il conflitto è ripreso ma a parti invertite: esercito federale sostenuto dai tigrini contro gli amhara a loro volta supportati dagli eritrei. Con un ribaltamento del fronte l’esercito di Addis Abeba si rivolge ora contro le forze regionali amhara e le milizie Fano che non vogliono cedere il Wolkeit. Oggi tale fase intrecciata delle ostilità ha provocato il peggioramento delle condizioni in tutta l'Etiopia. Anche le milizie oromo, più deboli ma favorite da un territorio immenso in cui nascondersi, proseguono la propria dissidenza dal potere centrale con il quale tuttavia talvolta negoziano.
Territorio fuori controllo
In generale si ha l’impressione che il governo di Addis Abeba controlli veramente soltanto una porzione del territorio nazionale. Per cercare di mantenere o recuperare il controllo ad aprile 2023 il premier ha annunciato che tutte le forze di sicurezza regionali sarebbero state sciolte e inquadrate nell’esercito nazionale. La decisione è stata percepita come un tentativo di diminuire l'autonomia delle regioni a cui gli etiopici bene o male si sono abituati da oltre 30 anni.
A complicare il quadro le milizie amhara pare siano coinvolte in una serie di attentati mirati e massacri contro gli oromo residenti nella loro regione. Per quanto riguarda l'Oromia, le milizie locali proseguono in ritorsione i loro attacchi alle enclave etniche amhara nella propria area, provocando ondate di profughi interni. Il governo federale per ora non riesce a porre fine alle violenze. Abiy ha condannato l'Ola per gli omicidi indiscriminati di amhara, ma ha avviato nel contempo colloqui con la medesima organizzazione che tuttavia sono falliti anche per le divisioni interne allo schieramento oromo. La destabilizzazione del paese ha conseguenze funeste per l'intero Corno d'Africa, una regione già scossa da altri conflitti, come quelli in Somalia, Sudan e Sudan del Sud, oltre che nel dirimpettaio Yemen. C’è da aggiungere che Etiopia, Egitto e Sudan sono in disputa per la costruzione da parte dell'Etiopia della Grand ethiopian renaissance dam (Gerd), una diga idroelettrica sul Nilo Blu.
L’ultima vicenda riguarda il tentativo di Addis Abeba di crearsi un accesso sul Mar Rosso mediante accordi con il Somaliland che non è riconosciuto dalla comunità internazionale, scatenando una diatriba politica con la Somalia e causando una controversia con la comunità internazionale.
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