Lo speaker della Camera Mike Johnson ha proposto di spacchettare il provvedimento approvato dal Senato a marzo che prevedeva 95 miliardi di dollari di aiuti agli alleati americani impegnati in conflitto, compresa Taiwan. Due fedelissimi di Trump vogliono sfiduciarlo. Sullo sfondo c’è il sempre maggiore isolazionismo dei repubblicani più estremi
Dopo un lungo stallo, sembrava che lo speaker della Camera dei rappresentanti Mike Johnson fosse sul punto di cedere: dopo il massiccio attacco aereo che ha subito Israele, sembrava fosse prossimo a concedere l’approvazione definitiva di un disegno di legge votato qualche settimana fa dal Senato su un pacchetto di 95 miliardi di dollari di aiuti da destinare a Ucraina, Israele e Taiwan.
Invece, a sorpresa, Johnson ha scelto di spacchettare il tutto: quattro provvedimenti differenti da approvare separatamente. Uno dedicato agli aiuti militari allo stato ebraico, con massima priorità. Poi seguirebbe il più controverso, quello dedicato all’Ucraina, da votare con l’indispensabile sostegno dei democratici. Dopo arriverebbero quelli dedicati a Taiwan e successivamente anche un altro provvedimento riguardante il divieto di utilizzare TikTok.
Al netto di quest’ultimo elemento, sarebbe il pacchetto già passato al Senato, privo però degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile di Gaza. Tutto questo però non basta ad alcuni oppositori conservatori. La deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, nota per essere una sostenitrice scatenata dell’ex presidente Trump, ha già messo in calendario una mozione di sfiducia dello speaker lo scorso mese, qualora avesse osato approvare un disegno di legge sull’Ucraina, per di più con l’aiuto dei democratici.
Dal prossimo 19 aprile però, questo sarà un passaggio obbligato: i repubblicani, con le dimissioni del deputato del Wisconsin Mike Gallagher, avranno solo 217 deputati su 435. Non sarà più possibile approvare le leggi in autonomia. Questo però non importa all’incendiaria rappresentante trumpista, esponente politica che bada più alle reaction sui social che ad approvare delle leggi.
Johnson però ha stretto i denti ed è andato a far visita qualche giorno fa all’ex presidente Trump per assicurarsi il suo sostegno. Anche perché appare evidente che la protesta sulla mancanza di provvedimenti che riguardino la «sicurezza del confine con il Messico» da parte dei membri del Freedom Caucus, la corrente estremista del partito repubblicano, è puramente strumentale.
La partita di Johnson
Una delle prime versioni del maxi pacchetto d’aiuti comprendeva infatti numerose norme restrittive in campo migratorio, che però sono state rifiutate per mere ragioni di tatticismo politico da parte del gruppo repubblicano.
Potrebbe però non bastare dopo che a Greene si è unito anche il rappresentante del Kentucky Thomas Massie. Se i democratici decidessero di seguire nuovamente il piano d’azione dello scorso ottobre, Johnson non avrebbe scampo e verrebbe rimosso come il suo predecessore Kevin McCarthy. La soluzione proposta da Massie è di annunciare le dimissioni per il prossimo ottobre e innescare una nuova selezione dopo le elezioni. Idea rispedita al mittente da Johnson, che ha rimarcato che in questo momento “di guerra” è importante tenere le mani ben salde “sul volante”.
Anche perché, se alcuni retroscena parlano di un gruppo democratico “più accomodante” nei confronti di Johnson ora che sono sfumate le possibilità di impeachment del presidente Joe Biden e che si voterà in qualche modo su un pacchetto di aiuti riguardante l’Ucraina, i toni rimangono accesi.
Il capogruppo dei dem Hakeem Jeffries ha detto che non accetterà che venga tolto “un singolo centesimo” a quanto già approvato dal Senato a inizio marzo, per evidenziare dunque che non ci sono più margini di trattativa e che è urgente varare quello che rischia di diventare il singolo provvedimento più importante del secondo biennio di Biden, quello che può definire il suo marchio in politica estera, lasciato attraverso una continuazione del ruolo dell’America quale “arsenale delle democrazie”.
Una voce a destra
D’altro canto, lontano dalle aule del Congresso, una voce si è mossa per muovere l’asticella dell’isolazionismo più in alto: Tucker Carlson ha attaccato lo stato d’Israele, definendolo in un’intervista con un pastore protestante palestinese «nemico della cristianità». Segno che un pezzo del movimento Maga è pronto a spingersi anche più in là con la linea isolazionista. E Marjorie Taylor Greene e il suo collega Thomas Massie lo hanno capito e cercano di sfruttare il vento per loro tornaconto.
Mossa che però rende ancora più difficile l’approvazione dei provvedimenti separatamente, anche se in teoria hanno il sostegno di una larga maggioranza del Congresso.
La soluzione per superare la crisi però dovrebbe essere quella dell’amaro calice bipartisan: i repubblicani ingoiano gli aiuti all’Ucraina, mentre l’ala progressista dei dem digerisce quelli a Israele.
Più il tempo passa, però, più questo tipo di compromesso si allontana. Azzoppando non solo la presidenza di Joe Biden, ma anche il ruolo dell’America nel mondo, timore esplicitato in un comunicato stampa dal leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, uno dei maggiori critici del neotrumpismo.
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