Il 27 ottobre 2019 Donald Trump annunciava la morte di Abu Bakr al Baghdadi, guida di Isis. L'autoproclamato “califfo” non ha lasciato un’impronta profonda nell’immaginario collettivo occidentale ed è stato sostituito da un leader che è rimasto nell’ombra. Ma il gruppo continua la sua attività diretta nel Levante e ispira ancora l'azione di giovani radicalizzati in occidente
- Quando è stato ucciso in un raid in Siria, Abu Bakr al Baghdadi, iracheno di 48 anni, iracheno, era il terrorista più ricercato del mondo. Nonostante una gigantesca caccia all’uomo, era riuscito a far perdere le proprie tracce per anni.
- Sotto la sua guida, lo Stato islamico era riuscito a diventare un’organizzazione potente e sofisticata, in grado di conquistare un territorio di ampie dimensioni tra Iraq e Siria.
- La minor visibilità dello Stato islamico negli ultimi mesi non deve trarre in inganno. L’organizzazione è ancora pericolosa. In Iraq e Siria è ritornata a essere un gruppo armato clandestino, responsabile di decine di attacchi al mese, e in occidente ispira azioni di giovani radicalizzati. La decapitazione di Samuel Paty in Francia è l’ultima, tragica testimonianza.
Esattamente un anno fa, il 27 ottobre 2019, in una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annunciava ufficialmente la morte di Abu Bakr al Baghdadi, guida del cosiddetto Stato islamico o Isis.
Il leader jihadista aveva perso la vita poche ore prima nel corso di un’operazione eseguita dalle forze speciali americane in un villaggio nel nordovest della Siria, a poca distanza dal confine turco.
Secondo la ricostruzione presentata da Washington, durante il raid notturno Baghdadi si sarebbe riparato in un tunnel sotterraneo senza via di uscita portando con sé due figli e lì si sarebbe fatto saltare in artia attivando la carica di un giubbotto esplosivo.
Una gigantesca caccia all’uomo
All’epoca, Abu Bakr al Baghdadi (vero nome: Ibrahim Awad Ibrahim al Badri), 48 anni, iracheno, era il terrorista più ricercato del mondo. Nonostante una gigantesca caccia all’uomo, era riuscito a far perdere le proprie tracce per anni, pur mantenendo il suo ruolo al vertice del gruppo armato sin dal 2010 (quando il gruppo si chiamava ancora Stato islamico dell’Iraq).
Baghdadi non ha lasciato un’impronta profonda e pervasiva nell’immaginario pubblico occidentale paragonabile a quella di Osama Bin Laden. A ben vedere, Baghdadi non si è nemmeno distinto per le sue qualità comunicative. Nondimeno, il suo contributo alla causa jihadista è stato assai rilevante.
Sotto la sua guida, lo Stato Islamico era riuscito a diventare un’organizzazione potente e sofisticata, in grado di conquistare un territorio di ampie dimensioni tra Iraq e Siria e di imporre il suo controllo su milioni di persone. Nel giugno del 2014, pochi giorni dopo la conquista della città irachena di Mosul (all’epoca popolosa quanto Milano), Baghdadi si era persino proclamato unilateralmente “califfo”, ovvero nientemeno che successore del profeta dell’Islam.
Oltre 40mila persone (prevalentemente uomini, ma anche donne e bambini) erano accorse in Siria e Iraq, da più di cento paesi, per offrire il proprio contributo al nuovo “califfato”. Lo Stato islamico era stato in grado di oscurare quella che fino ad allora era stata la sigla dominante del movimento jihadista globale, al Qaida.
La sigla che ha oscurato al Qaida
Nel suo ruolo, Baghdadi aveva saputo consolidare una vasta organizzazione di impostazione burocratica, non fondata principalmente sul carisma personale del suo leader, e quindi più resistente al rischio di una decapitazione del gruppo, ieri come oggi.
Dal 2014 al 2019 il “califfato” in Siria e Iraq, basato su una rilettura deformata e iper-estremistica della religione islamica, sembrò incarnare l’idea del male assoluto.
Fortunatamente, dopo cinque tragici anni, questa ambiziosa avventura andò incontro a una schiacciante sconfitta militare.
In particolare, proprio la morte di Baghdadi segnò il culmine di un annus horribilis per l’organizzazione jihadista; nel mese di marzo, con la caduta della cittadina siriana di Baghuz, aveva già perso l’ultimo lembo di terra sotto il suo controllo. Nel 2019 lo Stato islamico rimaneva quindi senza “califfato” (quantomeno nella sua dimensione territoriale in Siria e Iraq) e, appunto, senza “califfo”.
Lo Stato islamico attese alcuni giorni per confermare la morte del leader e la sua sostituzione. Il 31 ottobre 2019, con una laconica registrazione audio, fu annunciato il nuovo “califfo”, noto soltanto con il nome di battaglia di Abu Ibrahim al Hashimi al Qurayshi.
Il nuovo “califfo”
Nei mesi successivi le autorità degli Stati Uniti e di altri stati hanno sostenuto che dietro questo appellativo si nasconda un dirigente iracheno dell’organizzazione di lungo corso, Amir Mohammed Abdul Rahman al Mawli al Salbi.
Sin dalla sua nomina il nuovo “califfo” al Hashimi al Qurayshi non è mai apparso in alcun prodotto di propaganda dello Stato islamico.
Sotto questo profilo, finora ha seguito la strada del suo predecessore, privilegiando la sicurezza rispetto alla pubblicità. Al contrario, altri leader jihadisti, come lo stesso Bin Laden, hanno preferito correre dei rischi pur di rimanere visibili al pubblico, giocando personalmente un ruolo di primo piano nella propaganda della propria organizzazione.
Nemmeno l’ultimo dei rari discorsi pronunciati direttamente dalla leadership dello Stato islamico (appena quattro discorsi in un anno) ha visto come protagonista la sua nuova guida: il 18 ottobre è stata diffusa una registrazione audio in arabo del portavoce ufficiale, peraltro non di grande rilievo.
La minor visibilità dello Stato islamico e del suo “califfo” negli ultimi mesi non deve però trarre in inganno. L’organizzazione è ancora pericolosa. In Iraq e Siria è ritornata a essere un gruppo armato clandestino, responsabile di decine di attacchi al mese.
Fuori dalla regione del Levante, è attiva, direttamente o tramite gruppi affiliati, in diverse aree del globo; in particolare, negli ultimi anni a destare preoccupazione è la sua capacità di radicarsi in paesi fragili dell’Africa subsahariana. Inoltre, secondo diversi esperti, la leadership del gruppo armato potrebbe avere ancora accesso a centinaia di milioni di dollari, accumulati e investiti clandestinamente negli ultimi anni.
Le attività in occidente
In occidente, lo Stato islamico non è tanto impegnato a pianificare ed eseguire direttamente propri attacchi terroristici (come la strage del Bataclan nel 2015), quanto a incitare e incoraggiare all’azione simpatizzanti jihadisti, specialmente attraverso internet e i social media.
Sebbene un numero crescente di attentatori in occidente porti materialmente a termine l’attacco in piena solitudine, ciò non significa affatto che possano essere descritti come “lupi solitari” in senso stretto, senza alcun contatto o legame con altri estremisti o con organizzazioni terroristiche.
Anche la recente vicenda della decapitazione dell’insegnante Samuel Paty in Francia sembra confermare come il ruolo dello Stato islamico nel terrorismo in occidente sia perlopiù indiretto.
Secondo le informazioni (parziali) attualmente disponibili, il responsabile dell’efferata aggressione del 16 ottobre, un diciottenne di origine cecena, avrebbe fatto riferimento allo Stato Islamico in un messaggio inviato subito dopo l’assassinio e in precedenza avrebbe avuto contatti su internet con uno jihadista in Siria, non ancora identificato.
Da parte sua, il 22 ottobre, nel suo bollettino settimanale in arabo, lo Stato Islamico ha accolto con favore l’attacco, associandolo di fatto alla propria causa, ma si è premurato di non rivendicarne la paternità.
La propaganda
Sul piano della propaganda, benché la sua produzione ufficiale abbia conosciuto una sensibile flessione in termini di quantità e di qualità, lo Stato Islamico gioca ancora un ruolo cruciale nella galassia jihadista globale. Peraltro, la pandemia di COVID-19, inducendo molte persone a trascorrere ancora più tempo su internet, potrebbe potenzialmente incrementare i rischi di radicalizzazione online.
Il motto ufficiale dello Stato islamico in arabo recita: rimanere ed espandersi. In questa fase, l’organizzazione appare concentrata principalmente sul primo obiettivo, ma è importante ricordare che non ha affatto abbandonato il secondo proposito.
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