- In una lettera di ringraziamento a Sinistra civica ecologista, una lista che corre per le comunali a Roma a sostegno di Roberto Gualtieri, l’ambasciata afghana in Italia si scaglia contro i Talebani e li accusa di aver «tradito la promessa di proteggere i diritti umani».
- L’ambasciatore Khaled Ahmad Zekriya punta a evitare che il governo italiano riconosca quello dei Talebani. Per farlo sta intensificando i rapporti «con singoli parlamentari, gruppi di pressione e altri leader influenti».
- I funzionari di via Nomentana, che sono ancora accreditati presso la Farnesina, agiscono come un ente autonomo. Sospesi in una specie di limbo. La maggior parte dei diplomatici afghani sta chiedendo asilo politico nel suo paese di servizio.
«I brutali atti dei Talebani porteranno a una catastrofe umanitaria e aggraveranno l’estremismo violento, il radicalismo islamico e il sessismo estremo in Afghanistan. Intendiamo far crescere la consapevolezza circa le continue atrocità contro gli afghani, in particolare contro le donne». Recita così il messaggio recapitato il 13 settembre alla «stimata organizzazione Sinistra civica ecologista», una lista che corre per le comunali a Roma a sostegno di Roberto Gualtieri.
La lettera, in inglese e su carta intestata, proviene dall’ambasciata dell’Afghanistan a Roma. A inviarla alla lista promossa da Amadeo Ciaccheri, presidente dell’VIII Municipio, e dal deputato Stefano Fassina, è l’uomo che cura la comunicazione e le relazioni pubbliche dell’ambasciata della Repubblica islamica. Il messaggio dei diplomatici afghani di stanza in Italia si scaglia contro i Talebani, presentati come un corpo estraneo rispetto ai «cittadini dell’Afghanistan», e li accusa direttamente di aver «tradito la promessa di proteggere i diritti umani».
La lettera di ringraziamento
Con questa «appreciation letter», i funzionari afghani ringraziano i militanti di Sinistra civica ecologista per il loro sit-in del 16 settembre: un raduno davanti all’ambasciata in via Nomentana per mantenere accese le luci sulle violazioni dei diritti delle donne da parte dei Talebani e sulla necessità di assistenza umanitaria nel paese. «Il flash mob, un centinaio di persone in tutto, è stato promosso da me e da Alessandro Luparelli», dice Michela Cicculli, candidata di Sinistra civica ecologista. «Fa parte di una serie di azioni con cui vogliamo riempire di senso la campagna elettorale: pensavamo fosse urgente dare un segnale di solidarietà al popolo afghano».
La lettera rimanda ai canali social dell’ambasciata e al relativo sito internet, molto attivi nelle ultime settimane. Da giorni l’ambasciatore afghano in Italia, Khaled Ahmad Zekriya, si spende per portare il suo punto di vista all’attenzione della comunità internazionale. Lo fa attraverso incontri ufficiali e interviste ai giornali. Un chiaro attacco al governo dei Talebani è arrivato il 19 settembre: «È un esecutivo tutto maschile fatto di religiosi intransigenti, combattenti esperti e terroristi ricercati», ha detto Zekriya a Politico. Toni analoghi a quelli impiegati pochi giorni prima in un’intervista a LaPresse: «Non lavorerò mai per un’organizzazione terroristica che ha preso il potere con la forza e ha ignorato la Costituzione».
Il governo dei Talebani
L’ambasciatore Zekriya punta a evitare che il governo italiano riconosca quello dei Talebani, considerato «illegittimo e ingiustificabile». Per farlo sta intensificando i rapporti «con singoli parlamentari, gruppi di pressione e altri leader influenti». Va letta in quest’ottica la dichiarazione ufficiale del 10 settembre, ripetuta identica altre due volte, in risposta alle parole del ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio: «L’ambasciata della Repubblica islamica dell’Afghanistan si compiace della posizione dell’Italia nel non riconoscere il governo dei Talebani».
Fin dalla presa del potere da parte degli studenti islamici, entrati a Kabul lo scorso 15 agosto, l’ambasciata afghana a Roma si è espressa duramente contro di loro. Chi vi lavora si trova in una situazione delicata e a tratti ambigua: non rappresenta ancora l’Emirato islamico dei Talebani e non rappresenta più il governo filoccidentale di Ashraf Ghani, fuggito negli Emirati Arabi Uniti. Il 17 agosto il suo vice, Amrullah Saleh, si è autoproclamato presidente ad interim: formalmente guida il governo in esilio della Repubblica islamica dell’Afghanistan, rifugiato nel Panjshir e poi in Tagikistan.
Le richieste di asilo
Di fatto i funzionari di via Nomentana, che risultano ancora accreditati presso la Farnesina, agiscono come un ente autonomo. Sospesi in una specie di limbo. La loro condizione è simile a quella di molti colleghi di stanza in altri paesi. È il caso di Mirwais Samadi, ambasciatore dell’Afghanistan ad Atene, che ha raccontato al Guardian di essere in contatto con il ministro degli Esteri in esilio, Mohammad Hanif Atmar, con cui i diplomatici afghani continuano a conferire nelle riunioni settimanali su Zoom.
La comunità internazionale non ha ancora riconosciuto l’esecutivo dei Talebani e il nuovo ministro degli Esteri, Amir Khan Muttaqi, non ha nominato alcun rappresentante per sostituire il contingente di ambasciatori dell’Afghanistan. Di conseguenza, le missioni all’estero rimangono nelle mani di diplomatici filoccidentali travolti dal corso degli eventi, incerti su come sopravvivere economicamente e che spesso si incontrano con altri funzionari fuggiti dal paese.
«Il governo di Saleh è in esilio ma attivo, sta lavorando sulle evacuazioni con le organizzazioni umanitarie», ha assicurato l’ambasciatore Zekriya. Senza le risorse per pagare stipendi e affitti, molti dipendenti delle ambasciate europee sono però stati licenziati, mentre una parte del personale continua a operare su questioni consolari. La maggior parte dei diplomatici sta chiedendo asilo politico nel proprio paese di servizio o in quelli vicini. I membri della famiglia di Zekriya sono in attesa di lasciare l’Afghanistan con un volo charter americano.
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