Le forze armate ucraine avrebbero già utilizzato armi Nato per attaccare la Russia. Lo ha annunciato ieri in un’intervista all’emittente statunitense Bloomberg il consigliere del ministro ucraino per le Industrie strategiche, Yuri Sak. «C’è un precedente», ha detto Sak, «Questo mese abbiamo utilizzato missili britannici per colpire bersagli in Russia».

La rivelazione arriva mentre tra gli alleati dell’Ucraina infuria il dibattito sull’opportunità di questo tipo di attacchi. L’amministrazione Usa ribadisce il suo divieto all’uso di armi americane per colpire direttamente la Russia. «Gli Stati Uniti non incoraggiano o consentono attacchi sul suolo russo», ha detto ieri il segretario di Stato Antony Blinken, che pure viene indicato come personalmente favorevole al via libera. Insomma, per ora la posizione del presidente Joe Biden non cambia: usare armi Usa in Russia causerebbe un pericolo escalation troppo grande. E, forse, nella decisione hanno avuto una parte anche i recenti attacchi lanciati da Kiev con droni di fabbricazione ucraina contro i radar russi anti missile nucleare, bersagli che mostrerebbero una propensione al rischio non gradita a Washington.

Tuttavia, l’amministrazione di Biden rimane divisa e la pressione degli alleati affinché venga concesso un via libera si fa sempre più forte. A restare fermamente contrari sono rimasti quasi soltanto gli italiani, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, e quello della Difesa Guido Crosetto, che negli ultimi giorni hanno tutti ribadito la loro opposizione.

L’ambiguità della Francia

Paradossalmente, la stabilizzazione del fronte di Kharkiv, dove i russi attaccano partendo da basi situate nel loro territorio che gli ucraini non possono colpire con i missili a lungo raggio forniti dagli alleati, non sta aiutando la causa di Kiev. Con la seconda città ucraina che non sembra più minacciata direttamente, parte della ragione che spingeva a un via libera sembra essere venuta meno, almeno dal punto di vista della Casa Bianca.

Ma questo non ha impedito al presidente francese Emmanuel Macron di ricordare l’apparente paradosso che impedisce agli ucraini di colpire le retrovie dell’esercito nemico. Martedì, durante una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha mostrato una mappa del fronte di Kharkiv, in cui erano evidenziate le basi russe oltre il confine. «L’Ucraina dovrebbe essere autorizzata a neutralizzare queste basi», ha detto Macron. Non è arrivato, però, al punto di autorizzare lui stesso questi attacchi, nonostante la Francia sia uno dei pochissimi paesi che forniscono a Kiev armi a lungo raggio, cioè i missili da crociera Scalp, che possono colpire a 250 chilometri di distanza.

La prudenza europea e tedesca

La Germania, nel frattempo, rimane saldamente nel campo degli ultracauti. Durante la conferenza stampa tenuta insieme a Macron, il cancelliere Scholz ha detto di essere d’accordo con il presidente francese, a patto che Kiev rispetti le condizioni imposte dai fornitori delle armi in questione. Una dichiarazione ambigua, che da alcuni era stata interpretata come un via libera tedesco agli attacchi. Ma ieri, incalzato dalle domande dei giornalisti, il portavoce del cancelliere, Steffen Hebestreit, ha suggerito di considerare quali armi la Germania ha consegnato all’Ucraina per comprendere quale sia l’effettiva posizione del governo tedesco. Un riferimento molto chiaro al fatto che fino a oggi Berlino si è rifiutata di consigliare a Kiev i missili a lungo raggio Taurus, proprio per il timore che vengano utilizzati per colpire la Russia.

La posizione ufficiale dell’Unione europea rimane molto simile a quella di Berlino: Kiev ha il diritto di difendersi colpendo anche la Russia, se lo ritiene necessario. Ma i paesi che forniscono all’Ucraina gli armamenti devono bilanciare «il rischio di escalation con il diritto degli ucraini di difendersi», ha detto l’Alto rappresentante diplomatico europeo, Josep Borrell. I ministri degli Esteri europei e gli altri membri dell’alleanza ne discuteranno oggi alla riunione Nato che si svolgerà a Praga.

I favorevoli

Nel frattempo, la lista dei favorevoli agli attacchi senza se e senza ma si allunga di giorno in giorno. Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, è il leader a essersi esposto più apertamente (e per questo in Italia è stato duramente criticato). Stanno con Stoltenberg e con Kiev anche i governi di Svezia, Polonia, Finlandia, Lituania, Estonia, Cechia, Paesi Bassi e Canada. Nessuno di loro, però, fornisce all’Ucraina armi a lungo raggio capaci di effettuare gli attacchi in profondità che Kiev chiede di essere autorizzata a compiere.

A cambiare le carte in tavola potrebbe essere il Regno Unito, il primo tra gli alleati a dare il via libera agli attacchi. A dare l’assenso all’uso di armi britanniche sul territorio russo era stato, all’inizio di maggio, il ministro degli Esteri David Cameron. Dopo quasi un mese senza che le sue parole si trasformassero in attacchi concreti, ieri è arrivato l’annuncio del consigliere ucraino Sak sull’utilizzo dei missili britannici Storm Shadow in Russia. Ora resta da capire se, come nel caso delle consegne all’Ucraina dei carri armati un anno fa, la fuga in avanti del Regno Unito riuscirà a persuadere anche gli Stati Uniti a seguirlo.

© Riproduzione riservata