Non sono ancora le quattro di pomeriggio che inizia a suonare il quinto allarme aereo della giornata. Nel grande centro commerciale Nikolsky, cinque piani di negozi nel pieno centro di Kharkiv, le guardie della sicurezza procedono con quello che è diventato il meccanico rituale dell’evacuazione. Nessuno corre, non c’è panico, solo stanchezza.

«Così è difficile tenere aperto», commenta Valeria, 29 anni, commessa in un negozio di abiti del Nikolsky, riferendosi al fatto che fino al cessato allarme dovranno attendere all’esterno dell’edificio. Circa metà dei grandi brand hanno già lasciato Kharkiv. Alcuni, come McDonald’s e Zara, dall’inizio della guerra. Altri lo hanno fatto negli ultimi mesi di rinnovata offensiva aerea e di nuovi attacchi via terra. Una mezza dozzina di allarmi aerei al giorno sono la normalità a Kharkiv.

E anche se non tutti gli allarmi aerei precedono un attacco e non tutti gli attacchi colpiscono la città, ogni volta che le sirene antiaeree si fanno sentire gli impiegati pubblici scendono nei rifugi e i grandi magazzini si svuotano. Nel resto della città, invece, la vita prosegue normale, tranne per le volte in cui i missili arrivano davvero. Il che, da mesi ormai, avviene sempre più di frequente e con risultati spesso fatali. Lunedì, un uomo è rimasto ucciso in un villaggio a nord della città. Altre sette sono morte nella notte tra giovedì e venerdì e venti una settimana fa, nel bombardamento di un centro commerciale. Prima ancora, sette impiegati erano rimasti sepolti sotto le macerie di un attacco aereo contro la tipografia dove lavoravano.

Contrattacchi in cielo

Poco lontano dal Nikolsky, un gruppo di container disposti attorno a un elegante giardino ospita chioschi di birra e street food, compresa una pizzeria napoletana. Si tratta di uno degli angoli più alla moda della città per un ritrovo con i propri amici. «Se ci avessero dato prima le armi e i permessi per colpire la Russia non saremmo in questa situazione», dice Boris Terekhov, 32 anni, lavoratore in remoto per una società informatica tedesca, venuto qui a bere una birra con la sua compagna. Come molti altri in città, Terekhov spera che la situazione possa cambiare ora che gli Stati Uniti hanno dato il via libera ad attacchi in territorio russo con le armi fornite a Kiev. Ma si fa poche illusioni su un rovesciamento radicale dell’andamento del conflitto. «Qualcuno dovrebbe ammazzare Putin e tutta la sua cerchia», dice.

Contrariamente a quanto hanno scritto molti, il primo attacco di questo tipo non si è verificato lunedì, ma la settimana scorsa, poche ore dopo l’annuncio della fine del divieto a colpire in territorio russo. Altri missili sono piovuti di là del confine ogni giorno da allora. È vero invece che il 3 giugno si sarebbe verificato il più importante di questi “contrattacchi” fino a questo momento.

Un lanciatore Himars di fabbricazione americana usato da Kiev avrebbe distrutto un sistema S-300 russo nella regione di Belgorod, un’arma che spara missili antiaerei riprogrammati per colpire bersagli terrestri e responsabile della gran parte dei bombardamenti che colpiscono Kharkiv. Nei giorni scorsi, il portavoce dell’aviazione militare ucraina, Iurii Inhat, aveva sottolineato l’importanza dei missili americani per compiere questo tipo di attacchi che, nella migliore delle ipotesi, limiteranno molto le capacità dei russi di bombardare indisturbati la città.

Martedì, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pubblicato una fotografia della coda di un aeroplano con i colori ucraini. Si tratta di un jet ucraino utilizzato per lanciare i missili britannici Storm Shadow e i francesci Scalp, che hanno appena ricevuto il via libera per essere utilizzati in territorio russo. Ma ancora più speranze sono riposte negli F-16, i famosi caccia di fabbricazione americana che una coalizione di paesi europei ha deciso di donare al governo di Kiev.

L’addestramento dei primi piloti ucraini è stato completato da poche settimane, e ora gli aerei sarebbero in arrivo nel paese. Per Kiev non è l’unica buona notizia di questi giorni. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che usare le armi fornite dalla Germania per attaccare in Russia non rischia di causare escalation, mentre il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha confermato l’invio in ucraina di un altro sistema antiaereo Samp-T. La soddisfazione è stata solo parzialmente oscurata dal fatto che la Germania non fornisce armi a lungo raggio all’Ucraina e Tajani non ha specificato una data per l’invio dei Samp-T.

I timori

In pochi però sono disposti a scommettere sul fatto che le recenti novità renderanno più facile la vita in città. Molti hanno già scelto di trasferirsi altrove. Non ci sono statistiche, ma tutti in città dicono che una buona parte della popolazione ha lasciato Kharkiv. Le immagini dei parcheggi vuoti e delle strade senza traffico, anche all’ora di punta, sembrano confermarlo. Nel frattempo, Zelensky chiede agli alleati di poter espandere ancora il raggio degli attacchi. Per ora il via libera americano riguarda il territorio russo nelle immediate vicinanze del confine e solo nella regione di Kharkiv. Kiev vuole poter colpire ancora più in profondità, a centinaia di chilometri di distanza, dove si trovano le basi aeree da cui decollano i bombardieri di Mosca.

Se in pochi scommettono che questi attacchi salveranno la città, sono ancora meno quelli che hanno voglia di parlare della possibilità opposta: ossia che all’uso delle armi Usa in Russia il Cremlino risponderà con bombardamenti ancora più violenti di quelli visti fino a ora. Attacchi come quello di lunedì, quando l’aviazione russa ha colpito ancora una volta la rete elettrica ucraina, danneggiando altre quattro centrali termiche, causando blackout in tutto il paese. Con l’eccezione, almeno per ora, della martoriata Kharkiv.

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