- A metà dicembre il sito web della Sinai Tribes Union ha dato la notizia, corredata da immagini, di un’operazione condotta da membri delle tribù beduine contro l’Isis. È stata la prova, molto attesa, degli annunci che erano già filtrati sui ripetuti scontri tra membri delle tribù della penisola e jihadisti.
- I beduini sono sempre riusciti a sopravvivere senza schierarsi o con abili alleanze temporanee, tenendo conto anche delle conflittualità inter-tribali.
- Questa situazione ha offerto all’Egitto l’opportunità di rovesciare a proprio vantaggio le relazioni tra stato e tribù, solitamente non positive.
A metà dicembre il sito web della Sinai Tribes Union ha dato la notizia, corredata da immagini, di un’operazione condotta da membri delle tribù beduine contro l’Isis. È stata la prova, molto attesa, degli annunci che erano già filtrati sui ripetuti scontri tra membri delle tribù della penisola e jihadisti.
Queste azioni militari paiono ora coordinate con l’esercito egiziano. Com’è noto da qualche anno quest’ultimo si è trovato in grave difficoltà nel combattere il jihadismo nel Sinai, con pesanti perdite di uomini. Da tempo ci si chiedeva come si sarebbero schierate le tribù beduine che hanno un’antica fama di condotta anarchica che non si lascia facilmente condizionare.
La coalizione
Nella lunga storia di guerre nella penisola, i beduini sono sempre riusciti a sopravvivere senza schierarsi o con abili alleanze temporanee, tenendo conto anche delle conflittualità inter-tribali. L’alleanza operativa rappresenta una novità con il coinvolgimento della maggioranza delle tribù sinaitiche che avrebbero deciso di fornire supporto logistico alle forze armate egiziane.
Pare che la tribù Tarabin, la più numerosa dell’area, sia alla guida della coalizione, anche se la concorrenza tribale non può far escludere secessioni o fratture.
In concorrenza
Per diversi anni c’è stato il timore che alcuni gruppi trovassero più conveniente trattare con l’Isis. Abitualmente i beduini del Sinai vivono di contrabbando, traffici di vario genere, facendo anche i passeurs per l’emigrazione di africani (ad esempio somali, sudanesi ed eritrei) verso Israele.
I jihadisti dello Stato islamico si sono inseriti da tempo in questo contesto così complesso. Se sulle prime hanno usato la solita tecnica di sposare donne del luogo e insediarsi in mezzo alle tribù (sul modello di quanto è stato fatto nel Sahel), rapidamente sono diventati dei concorrenti degli stessi beduini per aver cercato di strappare loro il controllo del contrabbando.
Le milizie
Questa situazione ha offerto all’Egitto l’opportunità di rovesciare a proprio vantaggio le relazioni tra stato e tribù, solitamente non positive. Il governatore del Sinai settentrionale ha potuto visitare senza scorta alcuni villaggi e incontrare vari capi tribali per stringere accordi.
L’idea del Cairo è di organizzare milizie tribali in funzione anti Isis lasciando loro una certa autonomia tattica sul terreno. Questo nuovo atteggiamento egiziano ha permesso un parziale ritorno dei residenti in alcuni villaggi sgombrati anni fa a causa degli scontri con lo stato islamico.
La collaborazione con Israele
Un aspetto interessante della vicenda è la recente dichiarazione del viceministro della difesa di Israele sullo sminamento di un’area del deserto del Negev a ridosso del confine egiziano. È probabile che si tratti di un atto congiunto che faciliti la mobilità dei beduini stessi.
Non è difficile immaginare che Egitto e Israele stiano collaborando per la stabilità dell’area, offrendo punti di sfogo – controllati – ai traffici tradizionali: un modo anche per evitare che le tribù si concentrino nel contrabbando verso la striscia di Gaza.
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