Per partecipare alla manifestazione più massiva che la storia serba moderna ricordi, gli studenti sono arrivati con autobus, treni, auto da tutte le città del paese, da periferie e province, il giorno prima. Icona di questa ultima rabbia dei giovani serbi è una mano insanguinata: è insieme simbolo e motivo del mega-raduno, vuol dire «la corruzione uccide»
Per le strade, nel cuore di Belgrado, e perfino nei suoi cieli: ieri la primavera serba è irrimediabilmente, innegabilmente cominciata. Per il ministero dell'Interno serbo, alla manifestazione anti-governativa organizzata dagli studenti, hanno partecipano decine di migliaia di persone.
Sembravano invece centinaia dalle immagini che dall'alto hanno ripreso un fiume colorato e interminabile di manifestanti, uniti in una calca felice che urlava «dimissioni» e «giustizia» contro il governo Vucic. Fischietti in bocca e alla mano vuvuzelas.
I giovanissimi hanno sguainato anche qualche icona, qualche croce e moltissimi tricolore: la bandiera serba, per rivendicare che la patria appartiene a loro. A mancare nemmeno i trattori: c'erano sia quelli dei ribelli anti-Vucic, che quelli favorevoli alle politiche nazionaliste del capo di stato, che sono stati parcheggiati come barriere difensive nei pressi della presidenza.
Da tutto il paese verso la capitale
Per partecipare alla manifestazione più massiva che la storia serba moderna ricordi, gli studenti sono arrivati con autobus, treni, auto – e perfino biciclette - da tutte le città del paese, da periferie e province, il giorno prima.
Sono gli alunni delle università e dei licei ad aver acceso la miccia delle proteste anti-governative che da mesi le autorità non riescono a spegnere, ma ieri per le strade di Belgrado le teste non erano solo colorate, ma anche bianche.
Non è più giusto definire le manifestazioni che vanno avanti da mesi come studentesche: adulti e non più giovani si sono schierati a fianco dei ragazzi «per il futuro dei figli e quello dei nipoti». Insegnanti, agricoltori, avvocati, altre categorie di lavoratori ieri erano spalla a spalla con quei giovanissimi che voglio che il presidente Vucic e il suo governo dicano addio al potere di quel pezzo di Balcani.
Con loro hanno sfidato nella capitale blindata cordoni della polizia in assetto antisommossa, schieramenti di forze dell'ordine a presidio di arterie di collegamento della città, strade bloccate, trasporto pubblico sospeso per timore di scontri, per la temperatura di una tensione che comunque continua a salire.
Il servizio d'ordine organizzato da studenti, motociclisti e veterani è stato schierato per evitare scontri nei dintorni del palazzo del Parlamento, ma anche per bloccare contatti diretti con l'accampamento dei filo-governativi, tirato su ormai da giorni, nel parco nei pressi della presidenza.
Ne fanno parte membri di milizie ultra-nazionaliste, ultras, e perfino (riferiscono alcuni media) berretti rossi, il movimento accusato dell'omicidio del premier Zoran Djindjic, che guidava le proteste contro Slobodan Milosevic e fu assassinato 22 anni fa, proprio nel mese di marzo.
«La corruzione uccide»
Icona di questa ultima rabbia dei giovani serbi è una mano insanguinata: è insieme simbolo e motivo del mega-raduno, vuol dire «la corruzione uccide» e nel paese lo ha già fatto. L'ultima volta a Novi Sad, la seconda città del paese, dove – in seguito ad un rinnovamento - è crollato il tetto della stazione, provocando morti e vittime.
Da quel primo novembre, ogni giorno, con cortei e flash mob, gli studenti bloccano lezioni e traffico per fare silenzio in ricordo del disastro: quindici minuti per quindici vittime. La tragedia è diventata emblema della corruzione endogena del potere e una decina di imputazioni e indagini, dietrofront politici, dimissioni dei responsabili – comprese quelle del premier Milos Vucevic, ex sindaco di Novi Sad, arrivate a gennaio scorso – non sono bastate per far tornare a casa gli studenti. Vogliono le dimissioni del numero uno, il presidente che rimane in carica ormai da quando è diventato premier nel 2014, e che ha già dichiarato: «Dovranno uccidermi per sostituirmi».
Dove non è riuscita l'opposizione, contro Vucic, finora sono riusciti i ragazzini. A inizio settimana, in vista della marcia che avrebbe sfilato per Belgrado contro di lui, Vucic ha intimato che le forze dell'ordine non avrebbero esitato ad intervenire.
Un intervento tradizionalmente intimidatorio, che questa volta non ha spaventato o fermato nessuno: gli studenti, promettono, rimarranno in piazza finché non sarà fatta giustizia. Non si sa quanto il presidente, ora trincerato nel suo palazzo, potrà rimanere chiuso lì dentro.
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