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L’invasione russa in Ucraina, le conseguenti sanzioni, un crescente confronto serrato con la Cina hanno imposto alla politica europea imponenti cambi di direzione. In seno alla coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni qualche settimana fa, però, non tutte le posizioni sono uguali.
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Quella filo atlantica è la linea scelta da Fratelli d’Italia, mentre gli alleati della Lega e di Forza Italia coltivano una maggiore apertura verso la Russia, dettata dalle scelte del passato.
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D’altronde le sanzioni hanno dei costi economici e sociali, i legami di Berlusconi e Salvini con Putin sono antichi; entrambi i partiti pur avendo votato per il sostegno all’Ucraina continuano a mostrare scetticismo verso un sostegno assoluto a Kiev. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Il mondo di Meloni”, in edicola e in digitale da venerdì 21 ottobre.
Negli ultimi dieci anni abbiamo ritenuto i vincoli europei come quelli più capaci di condizionare il dibattito e l’azione politica del paese. Ciò è valso in modo particolare per l’Italia: paese commissariato dal governo tecnico di Mario Monti durante la crisi del debito sovrano; in seguito investito dalla crescita di forze populiste, nazionaliste, euroscettiche; partiti anti establishment poi normalizzati dalle istituzioni, prima attraverso l’azione di Sergio Mattarella e poi con il podestà Mario Draghi, chiamato a palazzo Chigi da una forma di auto-esautorazione del sistema partitico italiano.
Oggi c’è da rispettare la condizionalità del Pnrr, del quale l’Italia ha scelto di sfruttare tutti i prestiti e gli investimenti, e c’è il programma Transmission protection instrument (Tpi) della Bce a garanzia dei titoli di stato in un contesto di rialzo dei tassi. Tuttavia, gli eventi dell’ultimo anno hanno ben mostrato che i vincoli europei sono sottomessi, e a loro volta vincolati, a un legame politico più potente, quello atlantico imposto dagli Stati Uniti d’America.
La scommessa della destra
L’invasione russa in Ucraina, le conseguenti sanzioni, un crescente confronto serrato con la Cina hanno imposto alla politica europea imponenti cambi di direzione: dall’energia al reshoring industriale, dal controllo degli investimenti esteri alla necessità di nuove infrastrutture e investimenti in difesa. Il modello export-led di matrice tedesca è stato disintegrato in poco tempo, il sovranismo energetico e industriale si è istituzionalizzato, i legami forti con la Russia dei principali paesi europei saranno recisi per lungo tempo.
È in questo cambio di scenario che va collocata la scommessa della destra europea, quella dei conservatori e dei nazionalisti. Se, infatti, i vincoli europei passano in secondo piano sotto i colpi della realtà – inflazione e diversificazione dell’approvvigionamento energetico – e della politica estera americana, che spinge al sacrificio degli interessi nazionali molti paesi europei per seguire la strategia globale di Washington, l’europeismo ortodosso forse non sarà più una carta vincente?
Non è un caso che le destre nazionaliste di Polonia, Italia, Spagna e paesi nordeuropei abbiano scelto di allinearsi al vincolo atlantico, mantenendo allo stesso tempo una posizione critica verso ulteriori passi dell’integrazione europea che possano sacrificare lo spazio decisionale degli stati.
Una coalizione divisa
In seno alla coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni qualche settimana fa, però, non tutte le posizioni sono uguali. Quella filo atlantica è la linea scelta da Fratelli d’Italia, mentre gli alleati della Lega e di Forza Italia coltivano una maggiore apertura verso la Russia, dettata dalle scelte del passato. D’altronde le sanzioni hanno dei costi economici e sociali, i legami di Berlusconi e Salvini con Putin sono antichi; entrambi i partiti pur avendo votato per il sostegno all’Ucraina mostrano scetticismo verso un sostegno assoluto a Kiev. Questo è in prospettiva un problema per Meloni, che a Washington è stata oramai accettata come leader leale, ma che in casa dovrà fronteggiare tensioni interne, soprattutto se la situazione economica peggiorerà.
Di recente, Lewis Eisenberg, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Italia sotto l’amministrazione Trump, ha apertamente lodato Meloni e Giorgetti come interlocutori affidabili e capaci, mentre ha espresso freddezza verso Salvini e Berlusconi per i loro legami internazionali. Il diplomatico americano ha lasciato intendere che oltre Atlantico saranno molto attenti alla posizione nel governo di Matteo Salvini e dei leghisti più esposti con la Russia.
In questo contesto, la destra italiana ha un’opportunità che dovrà essere verificata in questa legislatura: cercare di coinvolgere maggiormente gli Stati Uniti nella politica europea, non incentivare posizioni isolazioniste annidiate sia nella destra che nella sinistra americana, fare da contrappeso alle tante forze europee ancora affascinate dalla vecchia saldatura, ora ricucitura, euroasiatica.
Dipenderà dalla convinzione di Giorgia Meloni, dagli equilibri negli altri principali paesi europei, ma anche dalla capacità delle istituzioni non rappresentative di delimitare il perimetro atlantico.
Il peso del Vaticano
C’è un guadagno potenziale in una posizione salda verso gli Stati Uniti che è quello di una influenza sull’Unione europea a tutela della stabilità italiana e soprattutto di tranquillità dei mercati finanziari, che hanno in Wall Street il proprio epicentro, sui titoli di stato e bancari del paese. Mentre, in questo contesto in trasformazione, un’altra influenza rilevante sul sistema politico italiano è data dalla posizione del Vaticano. Il mondo cattolico non segue le linee tradizionali della politica estera, ma persegue una propria agenda specifica. Sappiamo che questo avviene con la Cina, dove il Vaticano ha interesse allo sviluppo di un dialogo, e anche con la Russia.
La posizione pacifista del pontefice, volta a coltivare un dialogo multilaterale e a fermare la violenza, è stata d’ispirazione per Giuseppe Conte, il quale spesso ha giustificato la linea pacifista del Movimento 5 stelle indicando il cattolicesimo come stella polare.
Naturalmente, pur essendo oramai sempre minore il peso del cattolicesimo politico, un’area sensibile alla posizione del Vaticano esiste anche nel centrodestra. Essa è disunita per ora, disseminata tra i vari partiti, si accontenta del conservatorismo etico imbracciato da Salvini e Meloni, ma sulla guerra tende ad avere una posizione realista pur senza soccorrere o giustificare Putin.
La posizione di queste componenti potrebbe essere sintetizzata così: un patto con Putin dopo una mezza sconfitta russa è pur sempre migliore di un conflitto deflagrante, che trascina verso uno scenario atomico e un bellicismo allargato. Vedremo nei mesi quanto tale posizione di mezzo potrà farsi largo nel centrodestra. Non c’è dubbio, però, che le posizioni vaticane allettino anche i più vicini al regime di Mosca, come Matteo Salvini e Lorenzo Fontana, favorendo una potenziale disarticolazione del centrodestra in politica estera.
Possibili scenari
Che questo scenario di tensione sul radar estero del paese fosse inevitabile lo si deve non soltanto alle posizioni dei partiti, ma più in generale alla compromissione del sistema italiano con la Russia. In questo senso, la situazione è speculare a quella tedesca.
In entrambi i paesi tutti i partiti di governo hanno fatto affari, attraverso le aziende di stato, e avuto rapporti buoni con i russi. Se avesse governato il campo largo della sinistra, ci sarebbero stati gli stessi problemi di asimmetrie estere. Dunque, è sul repentino cambio di paradigma di questo anno e sulla sua interpretazione da parte del centrodestra che si giocherà il futuro.
Se Meloni riuscirà a imporre la sua visione non soltanto sugli alleati italiani ma anche su quelli europei, ricavandosi uno spazio per costruire relazioni con gli altri governi e con i popolari europei, la storia del nuovo esecutivo prenderà una direzione impressa dalla nuova traccia atlantica.
Al contrario, se le tensioni interne ed esterne, ben inteso non del tutto controllabili dalla leader italiana, dovessero prevalere, allora l’Italia tornerà a essere una “terra di mezzo”, contesa dalle influenze internazionali in varie direzioni, più debole perché meno affidabile per l’egemonia americana e col rischio di essere schiacciata dagli altri grandi paesi europei verso gli stati dell’Europa orientale in nome del suo governo a trazione euroscettica.
Questo svincolo è cruciale anche per l’Unione europea. La futura presidente del Consiglio potrà scegliere tra federare le forze di destra nazionalista, correndo il rischio dello scontro con i partiti europeisti, per inseguire una leadership politica anti establishment, oppure agire da pontiere, da cuscinetto, tra la costellazione dei nuovi nazionalismi e il partito popolare europeo, rendendo forse più semplice un rapporto con Francia, Germania e Spagna oggi caratterizzato da grande freddezza per l’effetto di legittimazione alle forze di destra radicale che Meloni può potenzialmente imprimere in questi paesi.
In altre parole, la leader di Fratelli d’Italia sarà chiamata a scegliere tra il conflitto con l’attuale ordine istituzionale e la rimodulazione graduale del centrodestra europeo su una rotta atlantica e pragmatica. Nel primo caso Meloni agirebbe soltanto da capo politico, nel secondo riuscirebbe a sommare anche la funzione di capo di governo. Da queste scelte, e dalla capacità di raccordare istituzioni e politica, dipenderà il futuro della politica estera italiana.
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