- Joe Biden aprirà domani a Washington il summit tra Stati Uniti e Unione africana. Una tre giorni che affronterà temi nodali per le future sorti e gli equilibri del mondo.
- Il presidente degli Stati Uniti guarda da anni alla progressiva quanto rapida penetrazione di Cina, Russia, Turchia e altri new player in Africa, e vuole ri-bilanciare le presenze e le influenze a stelle e strisce nel continente.
- Ma il nuovo corso dei rapporti Usa-Africa è anche una delle mosse dell’amministrazione Biden per chiudere i conti con la pesante eredità internazionale trumpiana.
Ne è passato di tempo dal 14 giugno 2021 quando il presidente George W. Bush, fresco di elezione alla guida degli Stati Uniti, parlando di Africa a Göteborg, in Svezia, l’aveva definita «una nazione che soffre di una malattia incredibile», riuscendo nell’improbabile miracolo di commettere almeno tre gravi strafalcioni in una frase di nove parole.
L’infelice inciso, in un discorso che voleva avere un respiro internazionale, tradiva, oltre che il preoccupante provincialismo, il totale disinteresse verso un continente considerato un magma informe fatto di guerre, dittature e virus.
Per fortuna in questi anni qualcosa è cambiato. Joe Biden, di certo più consapevole del suo predecessore, aprirà domani a Washington il summit tra Stati Uniti e Unione africana. Una tre giorni che affronterà temi nodali per le future sorti e gli equilibri del mondo.
L’ingresso nel G20
Il presidente degli Stati Uniti, infatti, guarda da anni alla progressiva quanto rapida penetrazione di Cina, Russia, Turchia e altri new player in Africa, e vuole ri-bilanciare le presenze e le influenze a stelle e strisce nel continente.
La sua politica di nuova attenzione all’Africa, raggiungerà un apice simbolico proprio durante il summit, quando annuncerà la candidatura per un seggio permanente dell’Unione africana tra i paesi del G20.
Già ad agosto, parlando a Pretoria, Sudafrica, il segretario di Stato Antony Blinken, aveva fatto capire quanto l’approccio dell’amministrazione Biden sarebbe stato improntato a una rinnovata attenzione e alla moltiplicazione di sforzi per tornare a essere protagonisti nella scena africana.
Motivo ufficiale della nuova strategia lanciata la scorsa estate è la promozione di una governance democratica nel continente: «La storia – ha dichiarato Blinken – dimostra che le democrazie forti tendono a essere più stabili e meno inclini ai conflitti. Il malgoverno, l’esclusione e la corruzione insiti nelle democrazie deboli le rendono più vulnerabili ai movimenti estremisti e alle interferenze straniere».
Fermare Cina e Russia
Lo scopo più vero e profondo, naturalmente, è un rilancio economico-commerciale che si metta di traverso all’incontrastato avanzamento di Cina, Russia, Turchia e altri nuovi attori in Africa.
Al summit, che prenderà il via domani con un Forum dei giovani leader africani e della diaspora, e che vede una serie fitta di incontri con focus su temi economico-finanziari, ambientali, legati alla sicurezza, alla stabilità e alla pace, parteciperanno una cinquantina di leader africani. Ci sarà anche un panel che inaugurerà partenariati multilaterali con l'Africa per affrontare le sfide globali.
Sicuramente assenti, i leader golpisti di Burkina Faso, Guinea, Mali, Sudan e della dittatoriale Eritrea. Non più certa la presenza del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, alle prese con le pesanti accuse di corruzione e la richiesta di impeachment.
L’impegno di Biden per assicurare un posto all’Unione africana nel G20 segue quello annunciato a settembre di sostenere l’ampliamento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, includendovi la rappresentanza dell’Africa.
Nessuno, ovviamente, si aspetta un così epocale cambio nella membership del Consiglio di sicurezza, un organismo che attende da decenni riforme e che resta immutabile.
È ugualmente significativa, però, questa aumentata attenzione dell’America verso l’Africa che va ad aggiungersi al mutamento nel rapporto tra Ue e Ua, inaugurato al summit del febbraio scorso a Bruxelles, che ha segnato un passaggio da una relazione donor-recipient a una partnership più paritetica.
Per quanto innescati da una volontà di predominio e contrasto tra storici nemici, questi cambiamenti avvicinano lentamente l’Africa al posto che merita.
A oltre sessant’anni dall’inizio del processo di decolonizzazione, tra ostacoli enormi, l’Africa finalmente comincia a guadagnare un suo posto nella scena internazionale e a essere considerata interlocutore nei consessi che contano.
Dal 2014, data del primo, storico vertice Usa/Ua convocato da Barack Obama, le esportazioni americane in Africa sono calate del 30 per cento, mentre lo scambio commerciale tra Cina e Africa è circa 4 volte superiore a quello americano: 254 miliardi di dollari, contro 64,3 miliardi.
È un vuoto che per Joe Biden deve essere al più presto colmato. Ma il nuovo corso dei rapporti Usa-Africa è anche una delle mosse dell’amministrazione Biden per chiudere i conti con la pesante eredità internazionale trumpiana.
L’ex presidente Donald Trump ha sempre ostentato un suo sostanziale disinteresse per il continente africano che considerava marginale per ogni equilibrio mondiale futuro. Per Biden e l’occidente, comincia, seppure con grande fatica, ad affermarsi una nuova esigenza di multilateralismo che potrebbe partire proprio dall’Africa.
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