Il presidente in carica ha perdonato tutti i reati che Hunter ha o potrebbe avere commesso dal 2014: «Nel mirino solo perché è mio figlio». Così tradisce la promessa di separare ragion di stato e stato di famiglia, ma soprattutto si mette sullo stesso piano di Trump. La decisione legittima le operazioni del presidente eletto per vendicarsi della “caccia alle streghe”
Concedendo al figlio Hunter la grazia presidenziale per tutti i reati che ha o potrebbe avere commesso fra il 2014 e il 2024, il presidente in carica Joe Biden ha infine confessato che Donald Trump aveva ragione. Usa termini leggermente più sobri di “persecuzione” e “caccia alle streghe”, ma il contenuto della denuncia è lo stesso portato avanti dal presidente eletto: il sistema giudiziario è piegato al servizio della politica. Non è indipendente, agisce su impulso della partigianeria, applica misure diverse per persone diverse.
Hunter Biden, il complicatissimo figlio del presidente, è stato condannato per possesso illegale di un’arma ed evasione fiscale, ma è in qualche misura coinvolto in diversi scandali che hanno messo in difficoltà la famiglia già dai tempi della vicepresidenza. Ora il presidente ha comunicato nel più plateale dei modi che tutte le inchieste a suo carico erano concepite per danneggiarlo politicamente, altro che giustizia.
«Le imputazioni a suo carico sono arrivate soltanto dopo che diversi miei oppositori politici al Congresso hanno istigato attacchi contro di me per ostacolare la mia elezione», ha detto Biden domenica sera, spiegando che è impossibile credere che i procedimenti giudiziari siano stati imparziali. «Nessuna persona ragionevole che guardi ai fatti nei casi di Hunter può raggiungere una conclusione diversa da questa: Hunter è stato messo nel mirino soltanto perché è mio figlio – e questo è sbagliato».
Stato di famiglia
Non è facile distinguere dove finisce la ragion di stato e inizia lo stato di famiglia quando Biden sostiene che c’è stato un accanimento del tutto particolare su Hunter, e gli avversari hanno fatto cinicamente leva sulle difficoltà di un uomo già perseguitato dai demoni della droga, uno che ha dichiarato che c’è stato un periodo in cui «fumava crack ogni 15 minuti», una persona tormentata che ha lasciato la moglie di 24 anni per un’avventura con l’ex moglie del fratello Beau, morto di tumore, e poi ha avuto un figlio con una ragazza conosciuta in uno strip club.
«C’è stato un tentativo di spezzare Hunter, che è da cinque e mezzo anni sobrio, anche di fronte ad attacchi senza pietà e a indagini selettive. Cercando di distruggere Hunter, hanno cercato di distruggere me, e non c’è motivo di credere che si fermeranno qui», ha detto il padre-presidente.
Il graziato Hunter a sua volta ha diramato una nota: «Ho ammesso i miei errori e mi sono preso le mie responsabilità per quello che ho fatto nei giorni più oscuri della mia dipendenza – errori che sono stati sfruttati per umiliare me e la mia famiglia con scopi politici. Non darò mai per scontata la clemenza che ho ricevuto oggi e dedicherò la vita che mi sono ricostruito ad aiutare quelli che sono malati e soffrono», ha scritto.
Promesse tradite
Biden si è rimangiato tutte le promesse che aveva fatto. Non solo aveva fatto sapere che non avrebbe concesso la grazia al figlio, ma aveva messo la giustizia al centro dello scontro con Trump, costruendo sulle sue strumentalizzazioni del sistema giudiziario uno scontro più ampio sul senso della democrazia, la divisione dei poteri, lo stato di diritto.
Biden aveva perfino scelto come procuratore generale Merrick Garland anche perché i repubblicani avevano fatto saltare la sua nomina alla Corte suprema, una manovra che simboleggiava il metodo degli avversari di piegare il potere giudiziario agli interessi di parte. Con la grazia ad Hunter, l’uscente Biden abbandona i grandi discorsi sull’inviolabilità dei tribunali e si getta senza più infingimenti in un agone di tipo trumpiano, dove tutto è lecito nella difesa della propria parte, che di solito coincide con la famiglia.
Al presidente eletto non è parso vero. «Incredibile abuso della giustizia!», ha scritto sui social media in un episodio di trollaggio che è già memorabile. Trump sa che la capitolazione di Biden rispetto ai principi enunciati fino allo sfinimento è un’arma formidabile nelle sue mani, perché fornisce legittimità.
Dalla grazia per Hunter in poi, scagliarsi contro la giustizia politicizzata non sarà più un’esclusiva di attentatori del sistema democratico e pericolosi eversori. Trump ha peraltro evocato la possibilità di concedere l’amnistia ad alcuni attivisti che hanno partecipato all’assalto di Capitol Hill il 6 gennaio 2021, eventualità che ora è più realistica dopo che il presidente democratico ha sdoganato l’attacco politico ai magistrati.
La nomina di Patel
La decisione di Biden avviene, fatalmente, mentre Trump ha annunciato di voler nominare Kash Patel come prossimo direttore dell’Fbi, facendo fuori Christopher Wray. Patel è un ex procuratore e lealista trumpiano che per conto dell’ex presidente ha confezionato dossier, ha sostenuto la difesa degli assaltatori del Campidoglio, ha screditato l’inchiesta sulle influenze russe e ha agito nell’ombra per ripulire alcuni pezzi del deep state dagli avversari di Trump.
Il presidente eletto lo vuole all’Fbi – organo di controspionaggio che sente politicamente avverso – proprio per completare la grande operazione di vendetta contro il sistema giudiziario che gli ha fatto una guerra politica, cercando in tutti i modi di screditarlo e disarcionarlo, in barba alla volontà popolare.
Queste erano le paranoiche visioni di un aizzatore di folle contro il sistema, prima che Biden ammettesse, nei fatti, che la politicizzazione della giustizia non è un fantasma che vede soltanto il suo avversario.
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