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Il presidente americano Joe Biden sbarca mercoledì a Tel Aviv per una visita in Israele e territori palestinesi. Ma l’attesa è più per il seguito al summit di Jeddah.
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Attesa per il volo diretto di Biden dallo stato ebraico verso il regno custode di Mecca e Medina di venerdì, nuovo segnale di distensione fra i due paesi. Al summit del Consiglio di cooperazione del Golfo possibili annunci di nuove forme di coordinamento militare in funzione anti iraniana.
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L’intelligence israeliana spera in nuove forme di cooperazione contro Teheran ma c’è anche chi teme un eccessivo isolamento possa rendere più aggressivi l’Iran e i suoi alleati.
Il presidente americano Joe Biden arriva mercoledì in Israele ma il momento più significativo sarà la sua partenza al termine della visita, quando venerdì si imbarcherà sul suo Air Force One per un volo diretto da Israele all’Arabia Saudita. Sarà la prima volta che un leader americano viaggia dallo stato ebraico al regno custode di Mecca e Medina senza bisogno di passaggi intermedi dovuti alla mancanza di relazioni ufficiali fra i due paesi. Un altro segnale del crescente isolamento dell’Iran e dell’inesorabile eclissarsi della questione palestinese.
Ma il motivo principale dell’attesa in Israele è che la partecipazione di Biden al summit del Consiglio di cooperazione del Golfo allargato a Egitto, Giordania e Iraq di Jeddah potrebbe spianare la strada a nuove intese sul piano della difesa che coinvolgano lo stato ebraico, aumentandone l’integrazione strategica nella regione sulla scia degli accordi di Abramo. Suggestionati dalla guerra in Ucraina, i media locali preconizzano addirittura una “Nato mediorientale” in funzione anti iraniana.
All’arrivo all’aeroporto di Tel Aviv previsto per mercoledì alle 15.30 ora locale Biden troverà il presidente Isaac Herzog e il primo ministro ad interim Yair Lapid; Naftali Bennett, il premier con cui aveva coordinato il viaggio, è caduto con il suo governo lo scorso mese e ha deciso di prendersi una pausa dalla politica.
Durante la visita Biden concederà 15 minuti anche al leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, che lo ha chiamato per sbaglio “presidente Trump” in una dichiarazione della vigilia. Forse un atto mancato dovuto all’enorme popolarità dell’ex presidente degli Stati Uniti nel paese.
Ipotesi accordi con il Golfo
La comunità dell’intelligence israeliana è in fermento per l’ipotesi di nuove forme di cooperazione con i sauditi, e per la possibilità che possano svilupparsi alla luce del sole. Biden trova insomma un medio oriente meno diviso lungo le faglie del conflitto arabo-israeliano, quanto più polarizzato fra le sue compagini sciite e sunnite.
In vista dell’arrivo di Biden a Jeddah, gli stati del Consiglio di cooperazione del Golfo allargato a Egitto, Giordania e Iraq hanno avuto intensi scambi diplomatici che preoccupano Teheran. Dei partecipanti oltre all’Arabia Saudita Kuwait, Oman, Qatar e Iraq non riconoscono ancora Israele.
Eventuali accordi con Riad o addirittura con lo stesso consiglio, sotto l’egida degli Stati Uniti, rappresenterebbero dunque una svolta sul piano delle relazioni internazionali dello stato ebraico. In particolare qualora fossero sotto forma di memorandum of understanding politici, piuttosto che di coordinamento tecnico fra i rispettivi eserciti.
Rischio boomerang
Al ministero degli Esteri di Gerusalemme c’è però anche chi teme l’accerchiamento di Teheran possa rivelarsi un boomerang, cioè spingere l’Iran e gli alleati dell’asse sciita in Siria e Libano verso politiche più aggressive. Sabato 2 luglio i miliziani sciiti di Hezbollah hanno mandato un avvertimento sotto forma di tre droni non armati lanciati verso il giacimento di gas naturale Karish (squalo in ebraico) che è conteso fra Libano e Israele.
Lo scorso mese è scattato l’allarme quanto a possibili azioni dei servizi iraniani contro turisti israeliani in Turchia. Ankara ha di recente riallacciato i rapporti con lo stato ebraico e le autorità turche hanno fatto sapere di essere intervenute per sventare un’azione di Teheran.
Poco dopo, a fine giugno, è arrivata la notizia del licenziamento del capo dell’intelligence dei Guardiani della rivoluzione Hossein Taeb, malgrado fosse molto vicino alla guida suprema. Un segnale di crisi ai massimi vertici degli apparati di sicurezza del regime.
Stallo in Israele-Palestina
Biden ha già fatto sapere in più occasioni che non intende ribaltare le decisioni dell’ex presidente Donald Trump quanto allo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento Usa della sovranità israeliana sul Golan. E la debolezza delle rispettive leadership fa sì che manchino i presupposti per rilanciare il processo di pace.
«Le uniche novità rispetto alla precedente amministrazione sono il ritorno dei finanziamenti ai palestinesi e al dialogo diplomatico con l’autorità di Abu Mazen», dice a Ramallah Tahani Mustafa, analista palestinese di International Crisis Group. «Washington non ha una reale intenzione di occuparsi delle cause profonde del conflitto».
Prima del viaggio Biden ha annunciato la donazione di cento milioni di dollari agli ospedali palestinesi di Gerusalemme est e c’è l’ipotesi di una riapertura della rappresentanza a Washington dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, chiusa durante la presidenza Trump.
Da parte israeliana mercoledì, subito dopo il suo arrivo, Biden si recherà alla base militare aerea di Palmachim per visionare un nuovo sistema di difesa anti missilistica a laser per cui Gerusalemme vuole i finanziamenti Usa.
Sarebbe un’evoluzione del noto sistema Iron dome, migliore soprattutto perché non costa 45mila dollari per ogni intercettazione. Poi l’indomani il passaggio di rito a Yad Vashem e l’incontro a Betlemme con Abu Mazen.
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