Sono 36 i ministri e i segretari che si sono dimessi dal governo in protesta contro la sua leadership. I deputati del suo partito potrebbero cambiare le regole per consentire un nuovo voto di sfiducia contro di lui: l’annuncio potrebbe arrivare già oggi
Il primo ministro britannico Boris Johnson si trova nel mezzo della più grave crisi tra le molte che hanno già colpito il suo turbolento governo. Al momento sono 36 i ministri e i segretari che da ieri pomeriggio si sono dimessi in protesta contro l’ultimo scandalo che ha colpito il governo, quello che ha riguardato il capogruppo dei conservatori al parlamento Cristopher Pincer, un alleato di Johnson accusato di molestie sessuali.
Johnson ha ripetuto più volte nella giornata che non intende dimettersi, forte del fatto che dopo essere sopravvissuto a un voto di sfiducia del suo partito un mese fa, le regole del partito impediscono che sia soggetto a una nuova mozione di sfiducia per un anno.
Ma lunedì, le regole potrebbero essere modificate per consentire un nuovo voto di sfiducia nei prossimi giorni. All’inizio della settimana, infatti, sarà eletto il nuovo esecutivo del Comitato 1922, il gruppo parlamentare del dei conservatori, e a loro spetterà il compito di decidere se tenere un nuovo voto di sfiducia.
Lo scandalo
Il gradimento di Johnson è in calo da mesi e sono numerosi i membri del partito che hanno ragioni politiche o personali per volersi liberare di lui. L’ultimo scandalo riguarda l’ex vicecapogruppo dei conservatori, whip nel gergo parlmentare britannico, Cristopher Pincer, di recente accusato di aver molestato due persone, tra cui un collega deputato. Pincer aveva già ricevuto accuse simili in passato ed era sempre stato protetto da Johnson. «Con il senno di poi – ha detto oggi il primo ministro – riconosco che avrei dovuto capire che i suoi comportamenti non sarebbero cambiati».
Le dimissioni
Johnson ha ripetuto che non intende assolutamente dimettersi. Lo ha riferimento al parlamento e poi in una riunione interna dei deputati conservatori. Quando gli hanno chiesto se pensava che sarebbe stato ancora primo ministro il giorno successivo, ha risposto «certamente», mentre ai giornalisti che gli chiedevano se si sarebbe dimesso ha detto semplicemente: «No, no, no».
Ma la sua situazione si fa sempre più difficile. Le dimissioni a catena lo obbligano a trovare rimpiazzi per le figure ministeriali che hanno lasciato l’incarico (al momento 31 su circa 120). Inoltre, numerosi alleati e notabili del partito conservatore gli hanno chiesto esplicitamente di dimettersi, individualmente o in modo collettivo.
Tra gli altri, il ministro e in passato suo alleato e poi avversario Michael Gove, che gli ha detto direttamente che «è ora di andarsene».
Nel frattempo Johnson è arrivato alla sua residenza di Downing street, dove un gruppo di ministri lo attende per chiedergli di lasciargli l’incarico.
L’unico modo sicuro per obbligare Johnson alle dimissioni, però, rimane un voto da parte della maggioranza dei parlamentari conservatori, riuniti nel Comitato 1922. A giugno, il voto era finito 211 a 148, ma sembra che dopo gli ultimi scandali e l’ulteriore collasso del partito nei sondaggi, Johnson non goda più di questo margine.
Se davvero il Comitato cambierà le regole per consentire un nuovo voto di sfiducia, la procedura potrebbe essere rapidissima. È sufficiente una lettera al presidente del Comitato, che potrebbe essere inviata già domani. Lo scorso 6 giugno, il voto era stato organizzato lo stesso giorno dell’invio della lettera.
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