Il primo ministro britannico si è dimesso da leader dei conservatori, ma vuole restare capo del governo fino a che non sarà scelto il suo successore. Molti dei suoi compagni di partito non sono d’accordo, ma le opzioni a loro disposizione per liberarsi del primo ministro non sono molte
L’annuncio delle dimissioni del primo ministro britannico Boris Johnson dalla carica di leader del partito conservatore non segnano la fine dell’attuale crisi politica, ma l’inizio di una nuova fase. Johnson ha rifiutato di lasciare la guida del governo fino a che non sarà scelto il suo successore, un’operazione che potrebbe richiedere fino a quattro mesi di tempo.
I suoi avversari interni e l’opposizione del partito laburista non intendono concedergli questa possibilità e vorrebbero che Johnson se ne andasse subito. Altri sono disposti ad accettare Johnson al governo per qualche altra settimana ancora, ma vogliono garanzie che il primo ministro si occuperà solo degli “affari correnti”. Quali sono quindi gli scenari che si delineano per il prossimo futuro?
Premessa: le regole del gioco
La democrazia britannica è basata tanto sulle regole scritte quanto sulle consuetudini e i precedenti. In quest’ultima categoria, una delle tradizioni più importanti è quella che stabilisce che il leader del partito di maggioranza è automaticamente anche primo ministro.
Per questa ragione le dimissioni di Johnson erano così importanti, anche se non riguardavano direttamente il suo ruolo al governo. Rinunciando alla carica di leader dei conservatori, Johnson automaticamente ha accettato di rinunciare alla guida del governo non appena il suo partito avrà scelto il suo successore.
Ma si tratta, appunto, di una tradizione. Formalmente un primo ministro è costretto a dimettersi solo quando perde la fiducia della maggioranza dei parlamentari (esattamente come in Italia e nella maggior parte delle altri democrazie parlamentari). Considerato però che per via della legge elettorale molto maggioritaria, di solito il partito che vince le elezioni ha automaticamente una maggioranza dei seggi, perdere la fiducia dei propri deputati significa per un primo ministro non avere più la maggioranza. Le dimissioni, quindi, arrivano quasi sempre prima della sfiducia plateale dell’aula.
Primi ministri ad interim
Quando un leader di partito viene sfiduciato dai suoi, di solito resta in carica in attesa della scelta del suo successo, un lasso di tempo che nel caso del partito conservatore arriva al massimo ad un paio di mesi. È quello che hanno fatto i conservatori David Cameron nel 2016 e Theresa May nel 2019.
Nel Regno Unito non esiste la figura del primo ministro ad interim o in carica soltanto per gli affari correnti (e anche in Italia questa disciplina, seppur prevista, è molto ambigua), ma la tradizione vuole che il primo ministro dimissionario non partecipi alla competizione per la scelta del suo successore e non adotti politiche di eccessiva importanza.
Non ci sarebbe nulla di strano, quindi, se Johnson seguisse l’esempio di Cameron e May e rimanesse in carico fino alla scelta del suo successore, che potrebbe avvenire a settembre o novembre, a seconda di quando sarà fatto iniziare il congresso.
La sua figura, però, è divenuta così controversa e polarizzante, che molti nel suo partito non vogliono vederlo più al governo se non per il tempo strettamente necessario. Quasi 60 ministri e sottosegretari si sono dimessi dal suo governo e molti di loro hanno detto di non aver intenzione di tornare al loro posto finché Johnson resterà a Downing Street.
Cosa spera Johnson
Secondo diversi commentatori britannici, Johnson vuole restare al governo per consolidare la sua eredità politica nella speranza di un futuro ritorno sulla scena. Con tre o quattro mesi a disposizione, Johnson punta a portare a termine una delle questioni spinose che il suo governo deve affrontare, dall’aumento del costo della vita, all’indipendenza della Scozia, passando per il caos in Irlanda del Nord dovuto alla Brexit.
Nel discorso in cui ha annunciato le sue dimissioni, Johnson ha promesso che non si discosterà dal corso già segnato nei mesi in cui governerà “ad interim”, ma questo non esclude che possa adottare decisioni importanti su temi per i quali la sua politica è già chiara.
Nello stesso discorso ha anche lasciato intuire quale potrebbe essere la sua futura strategia: sostenere che il suo ambizioso programma è stato bloccato dai suoi avversari nel partito, che negli ultimi giorni aveva definito alternativamente «pecore» e «serpenti».
Uno scenario in cui il partito conservatore si divide durante la difficile campagna elettorale per scegliere il suo successore, mentre lui ottiene almeno qualcuno dei risultati promessi ai britannici, segnerebbe probabilmente un buon punto di partenza per un suo futuro ritorno sulla scena.
Come far fuori un primo ministro
Viste dall’altro lato, queste sono le stesse ragioni per cui gli avversari di Johnson vorrebbero le sue dimissioni immediate e la sua sostituzione con una figura ad interim in attesa della scelta del nuovo leader. A cui se ne aggiunge un’altra: il timore che Johnson al governo faccia perdere ulteriori consensi al partito, già in caduta libera nei sondaggi.
Rimuovere Johnson e sostituirlo con un primo ministro ad interim per qualche mese sarebbe una significativa “innovazione” in termini di precedenti. Per trovare una caso simile, infatti, bisogna risalire al 1834, quando Lord Wellington, il vincitore di Waterloo, servì come primo ministro ad interim durante un viaggio dell’allora capo di governo.
Ma se Johnson non dovesse farsi da parte da solo, c’è poco che i suoi compagni di partito possono fare, oltre che protestare. La loro unica scelta per liberarsi di Johson sarebbe l’opzione nucleare: votare insieme all’opposizione laburista una mozione di sfiducia.
Si tratterebbe di una decisione senza precedenti nella moderna politica britannica. I conservatori potrebbero avere presto l’occasione di decidere se vogliono compiere questo passo. I leader laburista Keir Starmer ha promesso che presenterà una mozione di sfiducia se Johnson resterà al governo. Se dovesse mettere in pratica la sua promessa, i conservatori dovranno decidere quanto davvero ci tengono a liberarsi subito di Johnson.
Il prossimo passaggio
Salvo sorprese nel fine settimana, il prossimo passaggio chiave in questa crisi si svolgerà lunedì, quando sono fissate le elezioni per rinnovare gli organi esecutivi del Comitato 1922, il nome del gruppo conservatore alla camera dei Comuni. Primo compito del nuovi eletti sarà decidere quando dare il via alle procedure di selezione del nuovo leader di partito.
Si tratta di un procedimento in due fasi. Nella prima, i parlamentari selezionano due candidati favoriti con una serie di votazioni. Nella seconda, i circa 100mila iscritti al partito sceglieranno il loro favorito tra i candidati selezionati dal gruppo parlamentare.
Se l’esecutivo del Comitato 1922 deciderà di iniziare subito le procedure di voto, il sostituto di Johnson potrebbe essere selezionato entro settembre. Se sceglieranno di attendere fino a dopo la pausa estiva, Johnson potrebbe resistere a Downing Street fino a novembre.
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