La Commissione elettorale centrale ha deciso ieri di non rinviare il voto a causa delle alluvioni che hanno interessato in particolare l’area centrale del paese, con la sola eccezione dei quattro comuni più colpiti. Sullo sfondo le influenze russe
È una Bosnia-Erzegovina profondamente sotto shock quella che oggi si recherà al voto per le elezioni amministrative per l’ottava volta dalla fine della guerra degli anni Novanta.
La Commissione elettorale centrale ha deciso ieri di non rinviare il voto a causa delle alluvioni che hanno interessato in particolare l’area centrale del paese, con la sola eccezione dei quattro comuni più colpiti, Jablanica, Konjic, Kiseljak e Kresevo. Urne aperte anche a Fonjca, dove il rinvio è stato disposto solo per tre seggi elettorali.
Le piogge torrenziali abbattutesi sul paese nella notte tra giovedì e venerdì dopo mesi di siccità hanno provocato almeno 19 vittime. Il bilancio è provvisorio, mentre sono ancora in corso le operazioni di ricerca di decine di dispersi.
Le inondazioni hanno inghiottito e isolato interi villaggi, come Jablanica, a circa 70 chilometri a sud ovest da Sarajevo, divenuta il tragico simbolo delle alluvioni che hanno colpito il paese, con le sue moschee sommerse di acqua e fango fino alle cupole.
Sfruttamento del suolo
Distrutta anche l’arteria stradale e ferroviaria principale che collega la capitale a Mostar, nell’Erzegovina. Sebbene occorrerà tempo per valutare l’entità dei danni, gli ecologisti puntano il dito contro gli artefici dello sfruttamento del suolo, che insieme alle croniche disfunzionalità del paese, hanno reso più drammatico l'impatto di eventi meteorologici estremi sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico. Una catastrofe che risveglia l’incubo della primavera 2014, quando le inondazioni avevano colpito 1,6 milioni di persone in Serbia e Bosnia.
Il bilancio fu allora di 47 morti e decine di miliardi di danni. L’incubo degli ultimi giorni non è bastato però a fermare le operazioni di voto considerato un importante test per le forze politiche al governo nel paese e nelle due entità che lo compongono, la Federazione croato-musulmana (FBiH) e la Repubblica serba di Bosnia (Rs).
Il trend politico
In particolare, il voto odierno potrebbe consolidare (o meno) una tendenza emersa nelle ultime due tornate elettorali, le amministrative del 2020 e le elezioni generali del 2022, che hanno registrato una battuta d’arresto per i principali partiti etno-nazionalisti della Bosnia del dopoguerra: il Partito di azione democratica (Sda) del leader bosniaco-musulmano Bakir Izetbegović; l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd) guidato dal serbo-bosniaco Milorad Dodik; e l'Unione democratica croata di Bosnia-Erzegovina (HdzBiH), partito gemello dell’Hdz al governo in Croazia, il cui presidente è il croato-bosniaco, Dragan Čović.
Una tendenza emersa con maggiore evidenza nella comunità bosniaco-musulmana dove la leadership dell’Sda è messa in crisi dalla Troika, una coalizione di forze liberali che mette insieme partiti di centrodestra e centrosinistra.
Dopo aver incassato dei risultati significativi alle amministrative del 2020, prima tra tutti Sarajevo, la Troika è riuscita a imporsi alle generali del 2022, mandando i nazionalisti dell’Sda all’opposizione sia a livello statale sia a livello di entità, ed eleggendo il suo candidato, Denis Bećirović, per lo scranno della presidenza riservato ai bosniaci-musulmani, presidenza che viene condivisa con altri due membri che rappresentano le comunità croato e serbo-bosniache.
Analogo il discorso per la leadership nazionalista di Dodik il cui partito, l’Snsd, alle scorse amministrative ha subìto importanti sconfitte, come il capoluogo della Rs Banja Luka, pur restando la forza politica più forte nella maggioranza dei comuni della Rs. Affermatosi in modo controverso alle elezioni del 2022, tra accuse di irregolarità diffuse, l’Snsd potrebbe riuscire a recuperare terreno nel voto odierno a causa delle divisioni che hanno spaccato il fronte dell’opposizione.
Riflettori puntati in particolare su Banja Luka dove tra i candidati spicca Davor Dragičević, che nel 2018 accusò le autorità locali di aver coperto i responsabili della morte di suo figlio, David. Vicenda assurta a simbolo delle violazioni dello stato di diritto nel paese e confluita in un movimento civico ‘Giustizia per David’ che ha animato per mesi le proteste di piazza nel cuore della Rs per arrivare anche a Sarajevo.
Resta quasi incontrastato il dominio dell’HdzBiH nella comunità croato-bosniaca. Qui il voto più atteso è nella città di Mostar, con il sindaco Mario Kordić in corsa per una riconferma affatto scontata.
Tensione secessionista
Il voto si terrà poi sullo sfondo di una Bosnia in preda a una delle più profonde crisi istituzionali del dopoguerra, alimentata dall’agenda secessionista di Dodik e dalla retorica nazionalista culminata nella feroce campagna contro la risoluzione dell’Onu che ha istituito la giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica.
Una secessione giuridica, come l’hanno ribattezzata gli analisti, che il leader nazionalista sta portando avanti con leggi che rappresentano un attacco all’ordine costituzionale della Bosnia. Una delle norme bocciate dalla Corte Costituzionale riguarda proprio la legge elettorale varata dalla Rs in contrapposizione alla riforma voluta dall’Alto rappresentante, Christian Schmidt, una figura prevista dai trattati di pace per vigilare sul loro rispetto. Gli ampi poteri di cui gode consentono all’Alto rappresentante di imporre delle leggi, oltre che di destituire funzionari che violano gli obblighi previsti dai trattati.
Dall’inizio del suo mandato, nel 2021, Schmidt è intervenuto più volte sulla legge elettorale anche in modo molto controverso, quando nel 2022 ne ha annunciato la modifica a urne appena chiuse. L’ultima delle sue riforme, nota come ‘pacchetto integrità’, è stata varata all’indomani dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue della Bosnia-Erzegovina, deciso nel marzo scorso.
La riforma si articola in diverse misure volte principalmente a garantire la trasparenza e l’integrità del processo elettorale, falsato finora dalle irregolarità su vasta scala denunciate negli anni da attivisti e organizzazioni internazionali. L’intervento di Schmidt ha inasprito il confronto con Dodik che ne contesta la legittimità al punto da finire sotto processo per aver disobbedito alle delibere dell’Alto rappresentante.
L’influenza russa
A destabilizzare ulteriormente il quadro, le interferenze del Cremlino entrato a gamba tesa nella campagna elettorale in Bosnia. Nei giorni scorsi, ad esempio, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e l'ex premier Dmitry Medvedev hanno inviato delle lettere a Dodik per elogiare il coraggio suo e della popolazione della Rs nell'opporsi alla politica «aggressiva» e «neo-coloniale» dell’Occidente nei Balcani.
Tra gli sponsor di Dodik, anche l’Ungheria di Viktor Orbán che finora ha bloccato le misure restrittive dell’Ue contro la dirigenza serbo-bosniaca, sanzionata invece da Washington. A dare manforte a Dodik, il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, volato in Rs proprio nel rush finale della campagna elettorale per ribadire l’opposizione alle sanzioni contro rappresentanti democraticamente eletti in Rs e per rafforzare le relazioni economiche dell'entità serba con Budapest.
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