A metà mandato, il ritardo sulle forniture e lo scontro ideologico con la Cina aggravano una situazione sanitaria sulla quale il governo ha già perso il controllo
- I risultati della più estrema linea negazionista al mondo sono evidenti. Oltre 215.000 morti e nessun segnale di rallentamento del contagio. Tragedie di risonanza mondiale, come la crisi dell'ossigeno a Manaus.
- Con una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti, il Brasile ha garantite al momento soltanto poche milioni di fialette, che non coprono nemmeno i due terzi della prima dose del gruppo prioritario.
- La soluzione impeachment non è più esclusiva dell'opposizione. Se dovesse continuare la crisi dei vaccini, e fermarsi del tutto il processo di acquisto e produzione, la miccia sarebbe pronta.
RIO DE JANEIRO. Caduto l'amico Trump, in un Brasile travolto dalla pandemia e nessuna speranza di uscirne presto, la domanda è se sia arrivata l'ora dell'impeachment per il presidente Jair Bolsonaro. Una questione in verità aperta da tempo per il leader di estrema destra – oggi a metà del mandato di quattro anni – ma che si è scontrata finora con un fatto inequivocabile: la sua popolarità, pur oscillante, è sempre stata troppo alta per un processo politico incerto come la messa in stato di accusa.
Nonostante il Brasile abbia una certa familiarità con l'allontanamento forzato di un presidente (Fernando Collor 1992, Dilma Rousseff 2016), esiste una norma non scritta che ritiene insufficienti le maggioranze politiche di Camera e Senato affinché l’operazione abbia successo. Occorre una indignazione popolare decisamente forte, che si rifletta sui propri rappresentanti e provochi al momento opportuno parecchi cambi di casacca. Oggi il consenso popolare del presidente è in calo, ma ancora attorno al 30 per cento.
Una lista di fallimenti
Incapace, instabile, ipocrita, malvagio, genocida. Sono soltanto alcuni degli epiteti rivolti a Bolsonaro che dai social sono ormai passati nei media mainstream. Dove l'allontanamento è richiesto a gran voce anche da settori che lo avevano sostenuto. In due anni di governo Bolsonaro ha finora fallito in economia, nelle questioni ambientali e nei rapporti internazionali, e persino nella sua truce agenda conservatrice, ma nulla è comparabile con la gestione tragica della crisi sanitaria.
I risultati della più estrema linea negazionista al mondo sono inequivocabili. Oltre 215.000 morti e nessun segnale di rallentamento del contagio. Assenza di una leadership nazionale su chiusure e distanziamento, a fronte di bizzarri appelli antiscientifici alla “prevenzione”.
Tragedie di risonanza mondiale, come la crisi dell'ossigeno a Manaus. Infine, e siamo al paradosso, lo scetticismo presidenziale sui vaccini, che ha portato all'attuale stallo. Con una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti, il Brasile ha garantite al momento soltanto 10-15 milioni di fialette, che non coprono nemmeno i due terzi della prima dose del gruppo prioritario: anziani oltre i 75 anni, personale delle strutture sanitarie, indios. Gli esperti stimano che nemmeno tutto il 2021 sarà sufficiente per far terminare la pandemia. E intanto si continuerà a morire.
Il caos vaccino
L'incapacità del governo Bolsonaro nell’ ottenere in tempo i vaccini dall'estero o di produrli in proprio è un mix tipico di ideologia e inettitudine che sta segnando questa triste stagione in Brasile. Per principio Bolsonaro si era opposto alla soluzione più a portata di mano, il vaccino cinese Coronavac, prodotto in partnership con il laboratorio di San Paolo Butantan.
«Non compreremo mai questa robaccia cinese», aveva imposto ai suoi, con un occhio soprattutto alle intenzioni del suo rivale politico João Doria, governatore di San Paolo, che invece sul prodotto asiatico puntava tutto. Quando ha visto, dieci giorni fa, che Doria faceva sul serio e a poche ore dall'approvazione delle autorità sanitarie era già davanti alle telecamere con una infermiera sorridente, la «prima vaccinata del Brasile», il governo federale ha accusato il colpo.
In precedenza aveva comprato dall'India in fretta e furia qualche milione di dosi del vaccino AstraZeneca, che non sono mai arrivate. Quando poi ha ceduto sul prodotto “cinese”, Bolsonaro si è ritrovato con un pugno di mosche in mano, in fondo alla fila e pagando il prezzo dei continui screzi con il governo di Pechino.
Per essere prodotto in Brasile il Coronavac ha bisogno del principio attivo che può soltanto arrivare dalla Cina. E loro, i «creatori del virus», che poi secondo Bolsonaro era solo «una influenza da nulla», gliela stanno facendo pagare. Con scuse burocratiche è tutto assai rallentato. E per effetto della ritorsione cinese, l'istituto Butantan ha dovuto fermare la produzione. Risultato: in Brasile finora le vaccinazioni avanzano con il contagocce.
Senza ossigeno
Le notizie dall'Amazzonia intanto restano terribili. Dopo che gli ospedali di Manaus sono rimasti senza ossigeno, ora arrivano notizie di morti asfissiati da città a molte ore di fiume dalla capitale. Decine di neonati in incubatrici sono stati trasferiti in aereo in altre città.
Smacco supremo, il Brasile ha dovuto accettare scorte di ossigeno dal Venezuela di Nicolás Maduro, l'unico paese con collegamento via terra con Manaus. Il ministro della Salute, l'inetto generale Eduardo Pazuello, su quella poltrona in quanto unico che accetta di obbedire a Bolsonaro sul Covid-19, continua a mentire.
Nel governo sapevano della situazione ossigeno a Manaus dieci giorni prima e non hanno agito, mentre si opponevano al lockdown duro. Peggio di tutto, i siti del governo continuavano a suggerire le cosiddette “cure preventive”.
È sempre la fissazione per la clorochina, la stessa di Trump, il farmaco che secondo Bolsonaro dovrebbe essere somministrato per prevenire l'infezione. A un anno dall'esplosione della pandemia, e dopo decine di studi internazionali sull'inefficacia delle misure alternative al distanziamento, in Brasile continuano a circolare video con persone felici che si strappano la mascherina, invocando libertà, clorochina e diritto di scelta sul vaccino.
Prima che sia troppo tardi
È sufficiente tutto questo per estromettere Bolsonaro dal potere? Alla Camera sono depositate 60 richieste di impeachment, ma il presidente dalla Camera Rodrigo Maia non le ha mai prese in considerazione, prima per mancanza di consenso politico, ora perché lui è in scadenza, tra cinque giorni, e «ci penserà il mio successore».
A Brasilia si ammette che l'idea dell'impeachment non è più esclusiva dell'opposizione. Se dovesse continuare la crisi dei vaccini, e fermarsi del tutto il processo di acquisto e produzione, la miccia sarebbe pronta. Il solo caso Manaus, quando arriveranno i dati certi sulle morti per asfissia, potrebbe essere imputato al capo dello stato, e non stiamo parlando più di crimine “politico”, ovviamente. L'ultima relazione della ong Human Right Watch accusa Bolsonaro di “sabotare” gli sforzi per controllare la pandemia.
Circola anche il concetto di impeachment “preventivo”, nato dopo l'invasione del Congresso Usa da parte delle squadracce filo Trump. Bolsonaro ha appoggiato l'ex leader della Casa Bianca nella teoria dei brogli elettorali, arrivando a criticare anche il sistema di voto elettronico in Brasile. «È soggetto a frodi – ha detto, senza spiegare perché – Se non lo cambiamo avremo problemi nel 2022».
In una intervista al País, edizione brasiliana, l'avvocato Pedro Abramovay della fondazione Open Society, fa notare che «insistendo nella teoria dei brogli, quelle di Bolsonaro non sono soltanto congetture. Stiamo parlando di un uomo che ha costruito la sua intera vita politica screditando la democrazia».
Se un golpe a Capitol Hill, nonostante tutto, è rimasto fantapolitica, sulla solidità della democrazia brasiliana qualche dubbio in più è lecito porselo. È la linea di chi vorrebbe estromettere Bolsonaro ora, prima che sia troppo tardi.
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