Il summit che si apre oggi in Russia darà il via libera all’ingresso di nuovi paesi contrari alle sanzioni e sensibili alle sirene cinesi. Un blocco eterogeneo e senza statuto che muove il 35 per cento del Pil. Giovedì il segretario Onu Guterres incontra il presidente russo
Il gruppo ribattezzato Brics+ dopo l’ingresso, il 1° gennaio scorso, di altri cinque paesi membri, al vertice che si apre oggi a Kazan si appresta a dare il benvenuto anche alla Thailandia e alla Malesia. E così, alla vigilia di un summit che per la Russia presidente di turno dimostra il suo non-isolamento, Mosca ha fatto sapere che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, vedrà giovedì Vladimir Putin al summit dei Brics: è la prima volta che i due si vedono dal 2022. Per il Cremlino è un altro modo per dare sostanza allo slogan che «i Brics esprimono gli interessi della maggioranza del pianeta».
Un’iperbole, alla quale si contrappone l’auto consolazione, in voga in occidente, secondo cui l’allargamento in agenda (che segue quello a Iran, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia) renderà i Brics troppo eterogenei e perciò incapaci di rafforzare concretamente quel multipolarismo col quale vogliono rimpiazzare il Washington consensus delle “vecchie” istituzioni internazionali.
Ebbene questo obiettivo fondativo potrebbe essere sottoposto a breve a una prova del fuoco, in caso di attacco israeliano a Tehran: i Brics – che pure non costituiscono una “alleanza” – riusciranno a esprimere unità d’intenti, mettendo in campo una risposta che vada oltre la semplice retorica?
Ma torniamo alla richiesta d’accesso di Bangkok e Kuala Lumpur, che ci aiuta a capire cosa si aspettano gli aspiranti Brics (una trentina in lista d’attesa, tra cui la Turchia, che fa parte della Nato). A spingere tra le braccia di un’organizzazione con motore politico e finanziario sino-russo questi due membri dell’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (Asean) centrali nei traffici marittimi globali è anzitutto l’opportunità di allargare gli orizzonti di cooperazione economica.
I Brics infatti ospitano il 45 per cento della popolazione mondiale, generano il 35 per cento del prodotto interno lordo (contro il 30 per cento del G7), danno vita a due quinti degli scambi globali e custodiscono oltre il 40 per cento delle riserve di greggio.
In tale contesto la Thailandia sta provano a sviluppare il suo settore automotive aprendosi agli investimenti cinesi (BYD ha inaugurato l’estate scorsa uno stabilimento a Rayong, che sarà uno hub per l’area Asean e oltre), mentre la Malesia ha puntato sui semiconduttori, anche in questo caso stendendo un tappeto rosso di incentivi ed esenzioni fiscali alle compagnie cinesi (come a quelle occidentali).
Blocco in ascesa
Per la Thailandia e la Malesia – come per gli altri nuovi arrivati – stare nei Brics non significa, almeno nell’immediato, cambiare alleanze, per mettersi sotto un fantomatico ombrello sino-russo. Le élite di Bangkok e di Kuala Lumpur non sono interessate a scenari geopolitici da Guerra fredda, ma intendono approfittare delle fiorenti relazioni intra-Brics.
Dalla fondazione il 16 giugno 2009 (a Yekaterinburg, in Russia), il gruppo ha fatto registrare due tendenze di grande rilievo per l’economia globale. Secondo l’analisi di Boston Consulting Group (Bcg), negli ultimi 15 anni il valore dei flussi commerciali all’interno dei paesi membri ha superato quello tra i Brics e il G7; e la crescita della Cina ha contribuito a quella del Pil dei Brics.
Questi trend favoriscono l’affermazione della visione di Pechino di un mondo senza sanzioni “unilaterali” che ostacolano gli affari e in cui i rapporti tra governi, al di là del loro colore, dovrebbero essere incentrati sulla convenienza reciproca, “win-win”, come dicono i cinesi. L’aggressione all’Ucraina ha finito per rafforzare queste istanze del cosiddetto “Sud globale”, con l’impatto dell’embargo del G7 contro Mosca che è stato fortemente ridimensionato dall’impennata delle esportazioni di gas e petrolio dalla Russia verso la Cina e l’India (tre dei fondatori dei Brics, assieme a Brasile e Sudafrica).
Come evidenzia la ricerca di Bcg, «il fatto che molti dei maggiori acquirenti e venditori di energia siano all’interno dello stesso gruppo potrebbe dar vita ad un sistema parallelo di scambio di energia. Ciò consentirebbe transazioni tra le economie Brics+ al di fuori del sistema finanziario guidato dall’occidente e al riparo da futuri programmi di sanzioni, e potrebbe dar loro la capacità di influenzare i prezzi del petrolio».
Istituzionalizzazione
In definitiva, è vero che i Brics+ si presentano al loro secondo allargamento scarsamente istituzionalizzati: non hanno uno statuto; hanno una presidenza annuale a rotazione, ma non una segreteria; non hanno una loro area di libero scambio. Ed è altrettanto evidente che al loro interno spiccano rivalità geopolitiche come quella tra Cina e India e tra Arabia Saudita e Iran.
Ma è altrettanto chiara la loro spinta per il cambiamento. Ad esempio, dieci anni fa, hanno istituito una banca, la New Development Bank (Ndb, con quartier generale a Shanghai), che ha finanziato progetti infrastrutturali e di sviluppo sostenibile nei paesi Brics e nei mercati emergenti per 35 miliardi di dollari, e ha istituito un Contingent Reserve Arrangement (Cra) per soccorrere gli stati membri in caso di crisi finanziaria. La Ndb e il Cra rappresentano l’alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale rispettivamente.
Secondo il suo capo, la ex presidente brasiliana Dilma Rousseff, la Ndb (un quinto dei prestiti della quale sono stati concessi in yuan) dovrebbe promuovere lo sviluppo di un sistema finanziario internazionale più equo rispetto a quello incentrato sulle istituzioni di Bretton Woods, dalle quale diversi paesi emergenti sono stati danneggiati più che aiutati.
Rousseff ha definito l’impiego nelle transazioni tra i Brics delle rispettive valute nazionali, invece del dollaro, come una “opzione strategica”, in quanto paesi che sono grandi esportatori di materie prime potrebbero aumentare gli investimenti reciproci affrancandoli dal biglietto verde. inoltre, Cina e Russia guidano la ricerca sulle valute digitali.
E a Kazan la Russia dovrebbe proporre nuove misure per un “sistema di pagamento alternativo” al dollaro. Insomma se è giusto analizzare i limiti di un blocco eterogeneo, è senz’altro più interessante provare a valutare le novità che l’appuntamento di Kazan aggiungerà alla sfida lanciata dai Brics all’ordine liberale internazionale.
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