La performance dell’African National Congress (Anc) nelle elezioni del 29 maggio scorso è stata – come si prevedeva – disastrosa. L’Anc è scesa al 41 per cento, dal 57,5 per cento che aveva nel 2019.

È la prima volta che il partito scende sotto il 50 per cento e si prevedono decisioni difficili per l’Anc ma soprattutto per il presidente Cyril Ramaphosa.

I dilemmi sono numerosi: chi verrà scelto come capro espiatorio di tale débâcle? Si dovrà fare un governo di coalizione? Sarebbe una prima assoluta per il parlamento sudafricano che conta 400 seggi, a parte il caso speciale del primo governo Mandela del 1994. In caso di alleanza, con quali forze l’Anc dovrebbe provare a convivere? Il centrodestra dell’Alleanza democratica è a circa il 23 per cento ma rimane ideologicamente molto lontano. Restano nel campo delle possibilità un’intesa con il nuovissimo partito populista uMkhonto weSizwe (MK con il 14 per cento) creato pochi mesi fa e guidato dall’ex capo dello stato Jacob Zuma, o con gli Economic Freedom Fighters di Julius Malema (EFF con circa il 10 per cento).

Con entrambi l’Anc è da tempo in fortissima polemica, più per fatti personali che per ideologia. Ci sono anche partiti minori, che tuttavia non superano i pochi punti percentuali. C’è infine la possibilità di un governo di unità nazionale che incorpori tutte e cinque le maggiori forze: opzione definita in Sudafrica con il suggestivo appellativo di “Torre di Babele”. La responsabilità della prima mossa incombe su Ramaphosa.

Secondo Africa Report, solitamente ben informato, se il presidente non riesce a concludere in pochi giorni un patto di coalizione, rischia di essere rapidamente messo in minoranza nel suo partito e di conseguenza estromesso dalla presidenza. Tra l’altro tra i tanti temi delicati e critici da discutere vi sono proprio quelli economici per i quali Ramaphosa – il massimo esponente del black business sudafricano – aveva promesso una rapida riforma.

Invece la corruzione continua a regnare sovrana, come nel caso della ritardata privatizzazione dell’azienda elettrica nazionale Eskom e di altre aziende pubbliche: la cronica mancanza di luce elettrica e di altri servizi è diventata scandalosa per un paese come il Sudafrica, ma l’Anc si oppone ancora e non vuole mollare la presa. Secondo i suoi oppositori si tratta esclusivamente di un affare di corruzione: Eskom serve ad erogare continue mazzette e favori.

Ecco perché a oggi è difficile immaginare come Zuma o Malema potrebbero inserirsi in una coalizione nazionale con Anc. L’unica ipotesi è che l’Anc in cambio ceda il potere nelle ricche provincie del Kwazulu Natal e del Gauteng, rispettivamente all’Mk e all’Eff, o affidi ministeri cruciali (come quello dell’economia e delle finanze) ai possibili alleati. Intanto proseguono localmente i conteggi manuali dei voti in mezzo a forti accuse di brogli. L’opposizione chiede a gran voce un riconteggio nazionale che ancora non è stato accettato. I risultati ufficiali del voto dovrebbero essere annunciati a breve ma non è certo che si riesca. La data è importante anche perché dopo l’annuncio ci sono solo 14 giorni per il partito maggioritario (ancora l’Anc comunque) per formare una coalizione capace di ottenere il voto di fiducia in parlamento.

La scelta del leader

Le prossime settimane sono dunque cruciali soprattutto per l’assetto politico del Sudafrica. L’Anc ha una tradizione di leadership collettiva e ciò significa che per Ramaphosa tutto è ora in bilico: lui stesso si era offerto di dimettersi alla fine del 2022, dopo un rapporto parlamentare che lo coinvolgeva in possibili illeciti. All’epoca i dirigenti del partito avevano respinto tali dimissioni ma potrebbe accadere ora che le accettino, anche perché Zuma ha già dichiarato che non accetterà nessuna coalizione se ci sarà ancora Ramaphosa alla guida.

La vera domanda che ci si pone nell’Anc è chi potrebbe essere il leader migliore e più adatto a negoziare con gli altri partiti: non è mai accaduto prima e i dirigenti dell’Anc non sono certo famosi per la loro flessibilità e capacità di dialogo. Infine c’è da tenere presente che mentre si fanno speculazioni sul governo nazionale, in contemporanea si svolgono i negoziati per i vari governi provinciali, tutti altrettanto difficili. Nel Gauteng ad esempio, centro economico del paese, l’Anc è scesa al 33,7 per cento dei voti (con il 60 per cento scrutinato): anche in questo caso è la prima volta dal 1994 che il partito scende sotto il 50 per cento. Lo stesso è accaduto in molte altre province.

Seguire i risultati sudafricani e le trattative politiche potrà dare un’immagine del futuro politico di questo paese così importante a livello internazionale: basti pensare al suo ruolo nei BRICS o nella controversa questione della giustizia internazionale per la guerra a Gaza.

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