Francoforte indaga, oltre che su Fca, anche sui fornitori che costruiscono le centraline di controllo delle emissioni. Oltre a Bosch, coinvolta già nello scandalo Volkswagen, entra in gioco un fornitore italiano
- Sulla base di nuovi elementi di prova, la procura di Francoforte accusa Fiat Chrysler di aver manomesso, d’accordo con due fornitori, le centraline per il controllo delle emissioni dei suoi motori diesel.
- Fca ha dichiarato nel 2016 che le due aziende che forniscono lo strumento che sarebbe stato manomesso sono Bosch e Magneti Marelli. Bosch è già stata condannata da un tribunale tedesco per queste accuse. Ha anche patteggiato con una corte americana per lo stesso motivo.
- I nuovi elementi hanno portato a una serie di perquisizioni in sedi del gruppo in Germania, Svizzera, Italia e Regno Unito, utili non solo alla procura di Francoforte, ma anche a quella di Torino, che nel 2017 aveva già aperto un fascicolo in seguito a un esposto dell’associazione di consumatori Codacons.
Fiat Chrysler si sarebbe accordata con due suoi fornitori per manipolare le centraline che regolano le emissioni dei motori diesel in modo da aggirare i controlli. È questa la tesi formulata dalla procura di Francoforte sul Meno che ha portato lo scorso 22 luglio a perquisizioni in numerose sedi del gruppo Fca in Germania, Svizzera, Regno Unito e Italia. L’indagine per truffa, sovrapponibile alla fattispecie italiana di frode in commercio, era stata aperta nel 2017 contro ignoti, ma nel 2019 nuove evidenze hanno portato a individuare dieci impianti produttivi da perquisire.
Gli inquirenti hanno trovato diverse mail in cui il produttore si accorda con i fornitori per calibrare le Electronic control units (Ecu). Si tratta delle centraline che gestiscono i sistemi di riduzione delle emissioni, che in alcuni casi sono composti da catalizzatori, in altri da strumenti che permettono il ricircolo dei gas di scarico. Il codice di programmazione di queste unità è generalmente posseduto dall’azienda che produce il componente, che lo adatta di volta in volta insieme al costruttore alle specificità del modello.
Uno studio congiunto dell’università della Ruhr di Bochum e della University of California di San Diego pubblicato nel 2017 spiega come i cosiddetti defeat devices (i componenti manomessi) nella centralina Bosch della 500X riescano a identificare una situazione di test dell’automobile (contrapposta all’utilizzo su strada) attraverso l’analisi di una serie di variabili. Nel caso della 500X, analizzata dallo studio, la variabile in questione è il tempo: il motore attiva una procedura per cui il sistema dopo la scadenza di un limite di tempo predefinito diminuisce la frequenza della rigenerazione del catalizzatore, procedura necessaria dopo un periodo di accumulo delle emissioni inquinanti. “Riducendo la frequenza della rigenerazione – si legge nel testo – il costruttore può migliorare il consumo di carburante e allungare la vita del filtro antiparticolato, il costo è un aumento delle emissioni di ossidi d’azoto”. Il consumo massimo di carburante per il ciclo di guida è infatti fissato a 1,3 litri: attraverso questo stratagemma dai test emerge un consumo molto basso ottenuto al prezzo di emissioni al di sotto alla soglia consentita.
Una volta trascorso il lasso di tempo necessario per l’omologazione, però, le emissioni aumentano notevolmente, visto che il sistema di rigenerazione, che diminuisce l’efficienza del motore, viene rallentato. Quando lo strumento riconosce che la vettura si trova in una fase di test, il ricircolo avviene soltanto per 26 minuti e 40 secondi, un tempo che “coincide con la durata dei test standard”, scrivono i ricercatori.
Da quanto emerge dalle mail in mano ai procuratori di Francoforte, Fca avrebbe deciso insieme ai due fornitori delle Ecu come aggirare al meglio i test programmando in maniera apposita la centralina. L’indagine di Francoforte riguarda perciò anche le due aziende che realizzano questa particolare centralina: una è Bosch, nel secondo caso si tratta di un “fornitore italiano”.
In un’audizione di fronte al Committee of inquiry into emission measurements in the automotive sector, la Commissione d’inchiesta istituita dal parlamento europeo in seguito al dieselgate, Fiat Chrysler ha dichiarato che le Ecu utilizzate nelle sue vetture sono esclusivamente di Bosch e di Magneti Marelli. L’affermazione è del 2016, quando Magneti Marelli era ancora di proprietà diretta di Fca, mentre dal 2019 la società è parte del gruppo giapponese Calsonic Kansei.
L’indagine di Francoforte prende le mosse dalle rilevazioni sulle emissioni sopra la soglia consentita dei veicoli Fiat effettuate nel 2016 dal Kraftfahrtbundesamt (Kba), l’authority tedesca competente per l’omologazione dei veicoli. La segnalazione è arrivata al ministero dei Trasporti, al quale il Kba risponde: a sua volta, il Bundesverkehrsministerium si è rivolto al corrispondente ministero in Italia, che però ha respinto le accuse rispondendo che le emissioni erano in regola. La discordanza tra le due analisi ha portato a un interessamento della Commissione europea, che non si è ancora espressa sulla questione.
La procura di Francoforte è riuscita a dare un nome ai suoi indagati nel 2019, quando da un’inchiesta parallela, gestita dai colleghi di Stoccarda, sono emersi i carteggi che accusano Fca e i suoi fornitori. Stoccarda indagava su Bosch, accusata di essere complice nella truffa del dieselgate avendo fornito lo strumento per aggirare i controlli a diversi costruttori, e l’ha condannata a una multa di 90 milioni di euro per omessa vigilanza.
Qualche mese prima, anche la Corte suprema dello stato di New York aveva certificato che Bosch aveva “consapevolmente sviluppato, programmato o ricalibrato il software di controllo delle emissioni che i suoi clienti Volkswagen e Fiat Chrysler impiegavano”. Nel documento che accompagna il patteggiamento da quasi 99 milioni di dollari concluso con il procuratore generale, Letitia James, si legge anche che questo software veniva utilizzato in combinazione con i defeat devices necessari per ingannare i controlli.
Nella stessa indagine era stata coinvolta anche Fiat Chrysler stessa, che alla fine aveva versato oltre 72 milioni di dollari per patteggiare la causa. La procura aveva indagato in particolare su vetture Ram 1500 e Jeep Grand Cherokee con motori diesel V6 da tre litri prodotte tra il 2014 e il 2016. L’indagine riguardava oltre 100.000 automobili vendute negli Stati Uniti.
Francoforte, invece, guarda a un panorama di modelli più ampio. La procura ha avviato una ricerca pubblica di testimoni per stimare il danno complessivo della presunta truffa e raccogliere eventuali iniziative di privati per inserirle nel procedimento generale. Sono invitati a presentarsi tutti coloro che hanno acquistato modelli Fiat, Jeep, Alfa Romeo e Iveco euro 5 ed euro 6 prodotti tra il 2014 e il 2019 con motori che vanno da 1,3 a 3 litri: si tratta in tutto di una decina di modelli, per ciascuno poi esistono diverse motorizzazioni. In tutto sarebbero coinvolte oltre 200.000 vetture in circolazione in Germania.
Per ottenere ulteriori prove, Francoforte ha anche emesso una rogatoria internazionale facendo riferimento a Eurojust, l’agenzia europea per la collaborazione internazionale in materia di giustizia. Le perquisizioni hanno riguardato sedi di Fca in Baden-Württemberg e Assia, nel cantone Turgovia in Svizzera e in Piemonte.
Le perquisizioni, che hanno permesso agli inquirenti di raccogliere materiale prodotto in un arco di tempo che va indietro fino al 2015, non sono state utili soltanto alla procura di Francoforte, ma anche a quella di Torino. Nel 2017, infatti, in seguito a un esposto del Codacons, era già stato aperto in Italia un fascicolo che prevedeva come ipotesi di reato la frode in commercio, un procedimento parallelo a quello tedesco. L’associazione dei consumatori aveva richiesto approfondimenti prima sulla Jeep Grand Cherokee, nel mirino dell’Epa, l’agenzia americana per l’ambiente, poi anche su Fiat 500, Doblò e Jeep Renegade, oggetto invece dell’attenzione dell’autorità di omologazione tedesca.
Il procuratore aggiunto, Vincenzo Pacileo, che ha in mano sia questa inchiesta che la rogatoria dei tedeschi, dando seguito all’esposto aveva anche cercato una consulenza per verificare che fosse stato davvero utilizzato un defeat device. Le indagini, però, non erano andate molto oltre. Più che i test, però, ora saranno le prove testimoniali raccolte da Francoforte a fornire nuovi spunti anche a questo procedimento.
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