Il primo ministro canadese si dimette. Addio anche alla la leadership dei liberali. Pesano gli scontri nel partito e la popolarità ai minimi. Il parlamento rimane in pausa fino a fine marzo, ma non sono ancora previste elezioni anticipate. Conservatori in vantaggio nei sondaggi
Justin Trudeau è fuori dai giochi. Dopo il crollo del suo gradimento e le dimissioni in polemica con la sua linea nel rapporto con il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump della sua vice Chrystia Freeland, il primo ministro canadese ha rassegnato le proprie dimissioni da premier e da leader del partito liberale, annunciate da Rideau Cottage, la sua residenza ufficiale.
«Il parlamento è stato paralizzato per diversi mesi. Dopo il periodo di governo più lungo di un esecutivo di minoranza mi sono rivolto alla governatrice generale per comunicarle che abbiamo bisogno di una nuova sessione parlamentare» ha detto Trudeau annunciando le sue dimissioni. «Mi dimetto, ho chiesto al presidente del partito liberale di avviare il processo di selezione del nuovo leader. Il paese merita una vera scelta alle prossime elezioni e ho realizzato che, se devo combattere battaglie interne, non sarei la scelta migliore».
Le dimissioni arrivano prima che Trudeau possa essere sfiduciato in parlamento: il partito conservatore aveva infatti già promesso una mozione di sfiducia per la ripresa dei lavori.
Il futuro
Ora, per il partito liberale si apre una corsa contro il tempo per scegliere un nuovo leader che possa condurlo alle elezioni contro Pierre Poilievre, capo dei conservatori e una delle voci più pronte a chiedere le dimissioni di un Trudeau sempre più in difficoltà. Il figlio d’arte di un altro primo ministro canadese ha infatti rinunciato anche a correre per le prossime elezioni per il partito liberale: in poche settimane ora i progressisti dovranno avviare delle primarie interne per determinare chi li porterà al voto – previsto entro ottobre – contro i conservatori, attualmente parecchio in vantaggio nei sondaggi. Per il momento, Trudeau ha rinunciato a indire elezioni anticipate, ma si è imitato a chiedere una proroga della pausa invernale del parlamento al 24 marzo.
Il «reset» che il primo ministro auspica per la politica canadese serve per calmare le acque e garantire al partito più tempo per cercare il suo nuovo volto. Resta il rischio che alla ripresa il governo debba comunque affrontare una mozione di sfiducia con il rischio di perderlo, ma con la sua mossa Trudeau ha fatto guadagnare ai liberali almeno tre mesi pieni. Il fatto di non andare immediatamente al voto è però una decisione criticata da opposizioni e diversi osservatori, preoccupati che un governo in cui i ministri liberali saranno impegnati nella corsa alla successione della leadership possano non essere all’altezza di una situazione già molto difficile per Ottawa. Sui mesi che separano la politica canadese dal voto si allungherà infatti la politica protezionista di Trump: già soltanto la minaccia di nuovi dazi ha contribuito a peggiorare in maniera drastica lo stato di salute dell’esecutivo di Trudeau. Ad aggravare la faglia tra lui e Freeland, infatti, è stato l’atteggiamento del premier nei confronti del presidente eletto.
Contro i consigli della sua vice, nota per essere una grande sostenitrice del rigore fiscale, il premier aveva tentato un appeasement con Trump imbarcandosi per una visita a Mar-a-Lago. Una decisione che per la ministra delle Finanze era equivalsa a una linea rossa a cui ha reagito con le dimissioni in polemica con la linea economica sbrigliata di Trudeau e con il netto rifiuto di un’altra posizione, meno illustre, che le era stata proposta dal primo ministro. Sui social media Freeland aveva criticato apertamente le politiche economiche del governo, definendole «stratagemmi politici costosi» e aveva invitato Trudeau a ad affrontare con più serietà la minaccia dei dazi. Sulle sue dimissioni, considerate insieme al venir meno della fiducia dei circoli locali del partito catalizzatore della scelta Trudeau però non si espone. «Ho sperato che Chrystia accettasse di continuare a essere mia vice e occuparsi di uno dei dossier più importanti per i canadesi, ma ha deciso diversamente».
La successione
Il totonomi sulla successione è già partito, ma il partito è diviso su quale possa essere la strategia migliore per sfidare i conservatori: tutelare l’eredità di Trudeau o imboccare una nuova via? In cima alla lista c’è proprio Freeland, ex giornalista e originaria dell’Alberta, anche se è una rappresentante dell’area di Toronto.
Vengono considerati in corsa anche l’ex banchiere centrale Mark Carney, la ministra degli Esteri Mélanie Joly e l’ex governatrice Christy Clark. C’è poi chi tira in ballo Dominique LeBlanc, molto vicino a Trudeau e chiamato dal primo ministro a sostituire Freeland dopo il suo addio. Tutti, comunque, partecipi delle politiche di Trudeau, secondo il conservatore Poilievre, quindi indegni di fiducia.
La certezza del premier uscente è che i tempi stringono e, soprattutto, c’è bisogno di un suo passo indietro per abbassare la temperatura della politica canadese, divisa da uno scontro che verte – secondo il primo ministro – in primis sulla sua persona.Il terzo mandato del premier liberale si conclude così con un parlamento paralizzato da ostruzionismo e polarizzazione, che, auspica Trudeau, «diminuirà quando alle prossime elezioni non sarò più il leader dei liberali».
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