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Raffaele Cantone ha ricostruito la storia della raccomandazione al rampollo del giudice Marco Mancinetti per i test di medicina di un’università in Albania. Una vicenda partita dalle dichiarazioni dell’ex avvocato dell’Eni Piero Amara
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La registrazione tra Centofanti e l’ex rettore di Tor Vergata: «Era pronto a cacciare i soldi». Ma secondo Cantone non ci sono evidenze per andare a giudizio: ecco perché Mancinetti, accusato di induzione alla corruzione, deve essere archiviato.
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Ora Amara rischia il processo per calunnia. Ma nel documento Cantone non risparmia nessuno: elenca le bugie di Palamara, la versione improbabile di Mancinetti, le giustificazioni surreali dell’ex rettore di Tor Vergata.
Secondo il procuratore capo della procura di Perugia Raffaele Cantone, l’ex pm Luca Palamara già imputato per corruzione a Perugia ha raccomandato, o più precisamente «ha avuto un interessamento fattivo», per il figlio del suo amico magistrato Marco Mancinetti. Intenzionato a fare entrare il rampollo alla facoltà di medicina dell’università Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, in Albania. Per il capo della procura umbra che sta indagando sull’esistenza della fantomatica Loggia Ungheria e su altre dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara però, lo stesso Mancinetti, ex membro del Csm indagato a Perugia per istigazione attiva alla corruzione, deve essere archiviato «sotto il profilo della insussistenza del fatto, quanto meno per essere contraddittori ed incerti gli elementi di prova raccolti».
La richiesta di archiviazione di Cantone risale a qualche mese fa ed era nota, ma Domani è riuscita a leggerla integralmente per la prima volta. Si tratta di un documento notevole. Non solo perché racconta nei dettagli la contorta storia del figlio di uno dei ras della corrente moderata di Unicost, faccenda in cui intervengono lobbisti, ex rettori di Università prestigiose, faccendieri compiacenti e magistrati l’un contro l’altro armati. Ma pure per la ricostruzione che Cantone fa di quello che può essere definito il “metodo Amara”. Un modus operandi attraverso cui il corruttore seriale di giudici diventato pentito mischia spesso fatti veri con l’invenzione pura, offrendo pezzi di verità genuina abbelliti da deformazioni che rendono difficile maneggiare le sue testimonianze. Anche quando si rivelano (come in questo caso) almeno in parte attinenti alla realtà.
Buoni e cattivi
Nella vicenda, però, è difficile separare buoni e cattivi come si credeva. Partiamo dal principio. È noto che l’inchiesta su Mancinetti, rimasta nei dettagli finora segreta, sia partita dalle dichiarazioni dell’ex legale dell’Eni nel dicembre del 2019. Amara aveva detto ai pm milanesi che Cosimo Ferri (magistrato e deputato renziano secondo Amara appartenente a “Ungheria”) tempo prima gli aveva chiesto un favore: aiutare il potente giudice Mancinetti perché il figlio superasse – nel 2017 - i quiz per l’ingresso di una facoltà di medicina italiana, ma con sede a Tirana. Il legale di Siracusa aveva detto di aver messo in contatto Mancinetti con il lobbista Fabrizio Centofanti, che a sua volta lo aveva portato al cospetto degli ex rettori di Tor Vergata, ateneo che ha una convenzione con quello albanese. Amara sottolineava pure come Centofanti gli avrebbe detto che Mancinetti nell’incontro con i rettori «aveva offerto del denaro ai rettori, facendo una pessima figura». In un altro interrogatorio (stavolta davanti a Cantone, a cui i magistrati di Milano giravano nel 2020 l’inchiesta per competenza) Amara non solo conferma la sua versione ma definisce l’entità della cifra che Mancinetti avrebbe proposto agli ex vertici di Tor Vergata: 8mila euro tondi tondi.
Oltre alle dichiarazioni suddette, si scopre adesso che i giudici hanno lavorato per mesi su un’altra prova. Una registrazione consegnata ai pm di Milano da Giuseppe Calafiore, amico ed ex socio del faccendiere. Nel file si sentono le voci di Centofanti e di Aldo Brancati, anziano ex capo dell’ateneo romano. Il colloquio avviene il 23 maggio 2019 durante una cena a casa del professor Enrico Garaci, anche lui ex rettore di Tor Vergata. A tavola Centofanti decide di provocare gli astanti sulla vicenda del figlio di Mancinetti per conservarsi nel cassetto – si giustificherà poi davanti a Cantone – un’evidenza di quanto avvenuto due anni prima. In modo da difendersi da eventuali attacchi giornalistici contro di lui.
Sia vero o no, per i pm di Perugia alcuni passaggi della registrazione «appaiono decisamente inequivocabili». In effetti, si sente l’imprenditore chiedere: «Tu ti ricordi due anni fa quel magistrato di Roma, Marco Mancinetti, che è un gip...che venne da noi, a pietire per il figlio che non riusciva e entrare a medicina? Te lo ricordi l’incontro? Gli hai portato il povero Luca Palamara no?». Brancati risponde a Centofanti di ricordarsi bene della faccenda, aggiungendo pure una presunta disponibilità del Mancinetti di pagarlo per il favore richiesto: «Si! Ha detto: “Quello che posso fare per lei, professore!”. “No” dico io “Io non ho bisogno di niente”. “No, mi dica mi dica...”. “No, no”...Era pronto a cacciare i soldi». Brancati fa intendere che lui ha rifiutato la proposta economica: nel caso si sarebbe mosso per favorire il figlio di Mancinetti solo per motivi «di amicizia. Lo faccio per Fabrizio, lo faccio per Luca».
Spintarella a Tirana
È proprio la registrazione (che secondo Centofanti Calafiore copierà a sua insaputa, consegnandola ai pm di Milano in modo da confermare le parole di Amara) che porta Cantone a indagare Mancinetti e a cominciare lunghe investigazioni. Attraverso le chat di Whatsapp sequestrate, i pm scoprono che Palamara si era già interessato alla prova di accesso del figlio di Mancinetti per il Campus Biomedico di Roma nell’estate del 2017, tanto che l’ex membro del Csm aveva inviato al Palamara il codice di partecipazione all’esame. Il test era però andato male, così il pm romano aveva qualche giorno dopo inviato a Mancinetti un link dell’Università di Tirana, aggiungendo: «Si può fare, domani ti dico».
Secondo l’informativa della Guardia di Finanza un incontro tra i due magistrati e Brancati, al tempo preside della facoltà di medicina dell’ateneo albanese è avvenuta «con elevata probabilità» già il giorno dopo l’invio del link. Non è un caso nemmeno che Palamara chieda il pomeriggio a Mancinetti i dati anagrafici del figlio e «della figlia di Angela», che i pm di Perugia identificano nella figlia di un altro magistrato, Angela Turzi (del tutto estranea all’inchiesta).
Non è finita. Il 19 settembre Mancinetti girava a Palamara anche il numero di iscrizione dell’università di Tirana. Mentre il 25 settembre a pochi giorni dal concorso albanese l’ex magistrato incontrava l’ex moglie di Mancinetti, il magistrato Annamaria Soldi, al bar del Palazzo Montemartini di Roma. Insieme ai due c’è Nicola Di Daniele, professore ordinario di medicina a Tor Vergata.Il 2 ottobre Mancinetti annuncia trionfante a Palamara che «Enri è dentro!». Bisognava festeggiare, aggiunge Palamara, con una cena insieme «a quelli di Tor Vergata» che insistono a celebrare la promozione.
Italian job
Cantone è quasi certo che la raccomandazione, definita dal pm «interessamento fattivo», sia davvero avvenuta. Se la proposta di denaro di cui accenna Brancati da parte di Mancinetti non è provabile e la cifra di ottomila euro ipotizzati da Amara sembra «totalmente inventata», la richiesta di archiviazione del reato di induzione alla corruzione descrive però una storia all’italiana dove quasi tutti i protagonisti sembrano mentire, occultare, nascondere parti di verità. Fatto grave, per magistrati, pubblici ufficiali e professori universitari.
Brancati sentito dall’accusa ammette di aver avuto negli anni molte segnalazioni «andate in porto» da parte di ragazzi italiani che non avevano superato i test in Italia, ma nega di aver visto o conosciuto Mancinetti e Palamara. E la registrazione con la sua voce? «Non so perché posso aver detto cose diverse nel colloquio registrato», la sua surreale risposta.
Palamara e Mancinetti , interrogati da Cantone, hanno negato qualsiasi mediazione di sorta, ma le loro dichiarazioni secondo il pm «appaiono non credibili...entrambi forniscono versioni chiaramente claudicanti e assolutamente non compatibili rispetto alle chat». Mancinetti ha detto che ha mandato i codici di accesso «perché voleva capire se poteva» mettere «il figlio in un collegio a Tirana. Cosa c’entra il codice con la sistemazione in collegio?» si domanda ancora il capo della procura umbra. Pure Palamara ammette di avere avuto il codice, ma dice di non averlo «comunicato a nessuno: io spesso facevo intendere un mio interessamento, ma poi non intervenivo in alcun modo».
Il pm cacciato dalla magistratura per Cantone è però poco attendibile: si spinge persino a negare di essere stato nel bar di Montemartini con l’ex moglie di Mancinetti e il professore Di Nicola. Ma come dimostrano gli accertamenti bancari del Gico della Guardia di Finanza «è lui che paga le consumazioni in orario compatibile in cui l’incontro è terminato!».
Metodo Amara
Cantone, alla fine del documento, si pone infine una domanda chiave. Che ci riporta al punto di partenza: come mai Amara ha detto il falso autoaccusandosi di aver messo in contatto Mancinetti con Centofanti per una raccomandazione avvenuta se lui non ha rivestito ruoli da protagonista? E perché ha tirato in ballo Ferri e «inventato» la cifra degli 8mila euro? «Forse Amara aveva bisogno di fatti ritenuti di rilievo per accreditare le dichiarazioni sull’esistenza di un’organizzazione paramassonica, la cosiddetta Loggia Ungheria», ipotizza il procuratore capo. Aggiungendo che forse il legale aveva saputo della registrazione fatta da Centofanti e voleva così «sfruttarla a suo vantaggio».
Partire dal vero o dal verosimile ma gonfiare i fatti con menzogne per essere più appetibile come testimone d’accusa: una strategia spericolata che costringerà Amara – nonostante la storia del figlio di Mancinetti sembra essere vera, anche se priva di risvolti penali – a difendersi in un nuovo processo per calunnia a Milano. Probabilmente il primo di una lunga serie.
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