- In plateale contrasto con la fredda ospitalità riservata a Joe Biden nel luglio scorso, i reali sauditi hanno accolto in pompa magna Xi Jinping, che ieri ha partecipato al primo vertice tra la Cina e i paesi arabi.
- L’Arabia Saudita è il primo acquirente globale di armamenti e i suoi principali fornitori sono, da anni, gli Stati Uniti, ma nel periodo 2017-2021 le sue importazioni di armi cinesi sono aumentate del 290 per cento rispetto al 2012-2016.
- La cooperazione militare con i sauditi rivela l’aspirazione di Pechino a pesare di più in medio oriente, un’area – che ha al centro proprio l’Arabia Saudita – fondamentale per la crescita della Cina, a cui la maggior parte del greggio arriva dal Golfo Persico.
In plateale contrasto con la fredda ospitalità riservata a Joe Biden nel luglio scorso, i reali sauditi hanno accolto in pompa magna Xi Jinping, che ieri ha partecipato al primo vertice tra la Cina e i paesi arabi. Mercoledì sera il volo Air China del presidente cinese è atterrato a Riad scortato da dieci aerei da guerra sauditi e ieri la King Saud University gli ha conferito un dottorato in management honoris causa.
«L’attuale situazione internazionale e regionale sta subendo profondi e complessi cambiamenti e in tale contesto è cresciuta l’importanza strategica delle relazioni Cina-Arabia Saudita», ha dichiarato ieri Xi. E nel complesso dei rapporti sempre più stretti tra la Repubblica popolare cinese e la petromonarchia dei sauditi c’è un aspetto al quale a Washington stanno prestando grande attenzione: la cooperazione militare.
Sono stati i media cinesi a rivelare che, dopo l’air show di Zhuhai del mese scorso, l’Arabia Saudita ha acquistato armamenti made in China per un valore di oltre 4 miliardi di dollari: 300 droni CH-4, missili balistici antinave YJ-21, e sistemi anti-droni Silent Hunter. L’industria bellica cinese non aveva mai ricevuto una commessa così ricca da Riad.
L’Arabia Saudita è il primo acquirente globale di armamenti e i suoi principali fornitori sono, da anni, gli Stati Uniti. L’ultima fornitura da parte dell’amministrazione Biden risale all’agosto scorso: missili Patriot (3 miliardi di dollari) per difendersi dagli attacchi degli houthi dallo Yemen.
Non solo armamenti
I droni armati CH-4 (sperimentati nel pattugliamento a largo di Taiwan) serviranno invece ai sauditi per colpire le milizie houthi all’interno del paese confinante. Gli stessi CH-4 vengono utilizzati dall’esercito pachistano contro gli islamisti che in Belucistan attaccano le infrastrutture della nuova via della Seta.
Se confermata, la vendita ai sauditi dei nuovi YJ-21 sarebbe decisamente più problematica. Si tratta infatti di missili ipersonici, che viaggiano alla velocità di mach 10 e con una gittata stimata tra i 1.000 e i 1.500 chilometri. Il loro commercio è vietato dall’accordo multilaterale Missile Technology Control Regime (al quale Pechino si è impegnata ad aderire nel 2002), che proibisce ai 35 paesi contraenti di esportare vettori con una portata superiore a 300 chilometri.
Song Zhongping, ha confermato che «le capacità delle armi che la Cina esporta in Arabia Saudita stanno diventando sempre più elevate». Secondo l’ex istruttore dell’Esercito popolare di liberazione (Epl), la cooperazione nel campo della difesa tra i due paesi è destinata ad allargarsi a esercitazioni militari congiunte, frequenti comunicazioni e operazioni anti pirateria.
L’industria bellica cinese è in pieno boom, innescato dal progetto di Xi di costruire un’armata «in grado di combattere e vincere le guerre». La modernizzazione dell’Epl è una bonanza per il complesso militare industriale cinese, in continua crescita: 76 miliardi di dollari di fatturato e profitti per 4,5 miliardi di dollari nel 2021.
Per quanto riguarda l’export la Cina è quarta e – secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute – detiene il 4,6 per cento del mercato globale, dietro a Stati Uniti (39 per cento), Russia (19 per cento), e Francia (11 per cento). Ma, secondo lo stesso Sipri, nel periodo 2017-2021 le esportazioni belliche cinesi verso l’Arabia Saudita sono aumentate del 290 per cento rispetto al 2012-2016.
La cooperazione militare con i sauditi rivela l’aspirazione di Pechino a pesare di più in medio oriente, un’area – che ha al centro proprio l’Arabia Saudita – fondamentale per la crescita della Cina, a cui la maggior parte del greggio arriva dal Golfo Persico, mentre le sue merci raggiungono l’Europa attraverso il Canale di Suez.
Il nodo Yemen
D’altro canto i sauditi – che tra il 2020 e il 2021 hanno assorbito il 18 per cento dell’export bellico Usa – hanno manifestato esplicitamente la loro intenzione di diversificare, una decisione sulla quale hanno influito sia l’attrattiva delle industrie di stato cinesi, che producono armi sofisticate a prezzi molto competitivi, sia le tensioni con Washington, che – già con Obama nel 2016 e di nuovo con Biden l’anno scorso – ha ufficialmente sospeso la vendita di armi “offensive” per frenare gli attacchi sauditi nello Yemen.
Nel 2019, durante un dibattito alla vigilia delle presidenziali Usa, Biden aveva promesso di rendere l’Arabia Saudita uno “stato paria” come risposta all’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista e dissidente fatto a pezzi l’anno precedente nel consolato saudita di Istanbul.
L’estate scorsa a Riad Biden è tornato a chiedere spiegazioni a Mohammed bin Salman sull’assassinio di Khashoggi (di cui il principe saudita è considerato il mandante), ha preteso un rialzo della produzione di greggio per frenare l’inflazione, ha tentato di coinvolgere Riad in un’alleanza anti Iran. Ma non ha convinto i sauditi, tantomeno sull’allarme per l’espansione della Cina in medio oriente.
Riad è pronta ad acquistare da Pechino anche caccia, elicotteri, navi da guerra? Non è da escludere. Tuttavia, come ha ricordato la ricercatrice dell’Israel-China Policy Center dell’israeliano Institute for National Security Studies, Tuvia Gering: «Non c’è nessuno che possa sostituire gli Stati Uniti come garante della sicurezza nel Golfo per quanto riguarda stivali sul terreno, tecnologia, rete di alleanze, politica, diplomazia e sanzioni, nonché comunicazioni, intelligence e sistemi d’arma terrestri e marittimi integrati».
Secondo Zhou Chenming, del centro studi pechinese di scienza e tecnologia militare Yuan Wang, «la strategia che sceglierà Pechino non sarà molto aggressiva, perché questo non sarebbe utile alla stabilità regionale, in quanto potrebbe innescare un nuovo round della corsa agli armamenti».
Intanto nel marzo scorso il jet da combattimento stealth bimotore FC-21 (l’F-35 cinese) è stato una delle attrazioni principali del World Defense Show di Riad, dove la Cina ha portato 11 produttori di armamenti, contro i 71 accorsi dagli Stati Uniti.
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