Telefonata tra il presidente russo e quello cinese. Da Pechino via libera ai colloqui tra Mosca e Washington. Ma sull’Ucraina prevale il sacro rispetto dell’integrità territoriale. Per questo il governo cinese rimane defilato sul negoziato
Ha suscitato clamore l’esclusione dell’Unione europea dal tavolo, allestito dall’Arabia Saudita, attorno al quale martedì scorso si sono seduti Russia e Stati Uniti (i primi tre produttori di petrolio), avviando un dialogo a due sul futuro dell’Ucraina.
Se ignorare gli (ex?) alleati fa parte della logica della diplomazia unilaterale di Donald Trump, più enigmatica è apparsa l’assenza della Cina, che il 24 febbraio 2023 aveva pubblicato una proposta per una «soluzione politica» della guerra.
Trump ha dichiarato che vorrebbe vedere presto Xi, mentre quest’ultimo è atteso a Mosca da Vladimir Putin. Lunedì 24, nel terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, i due hanno avuto una conversazione telefonica, su richiesta russa, hanno sottolineato i media di Pechino.
Trump potrebbe incontrare nei prossimi giorni Putin, e Xi ha voluto coordinarsi col presidente russo, dando il suo via libera e garantendo l’assistenza della Cina, che dunque in questa fase assiste defilata.
Anche perché Pechino, che non ha riconosciuto l’annessione della Crimea nel 2014, difficilmente potrebbe appoggiare quella di altri pezzi di territorio ucraino, se non contraddicendo radicalmente il rispetto, che considera sacro, del principio di integrità territoriale (Tibet e Xinjiang costituiscono circa il 30 per cento del territorio della Cina). E così Xi si è limitato a dire a Putin che «la Cina è lieta di vedere che la Russia e le parti interessate hanno compiuto sforzi positivi per risolvere la crisi».
La mancanza a Riad di una poltrona per Wang Yi, accanto a quella del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che ha discusso col suo omologo Marco Rubio, ha fatto ipotizzare che il riavvicinamento di Washington a Mosca abbia (anche) l’obiettivo di seminare zizzania nella «partnership strategica onnicomprensiva» tra Cina e Russia, corroborata dall’amministrazione Biden, che ha contrastato invano entrambe.
Ora però, nonostante l’imprevedibilità del Trump II, quella degli Stati Uniti che vanno a braccetto con la Russia (a Riad si è parlato di ristabilire normali relazioni bilaterali, ndr) lasciando in disparte la Cina è una suggestione, che contrasta con le strategie di Mosca e Pechino, e con lo sviluppo dei commerci tra due paesi che condividono un confine lungo 4.300 chilometri.
I soldi non sono tutto
Secondo Kirill Dmitriev, amministratore delegato del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif), nella capitale saudita, oltre che della rimozione delle sanzioni contro Mosca e del ritorno in Russia delle aziende Usa a partire dal secondo trimestre di quest’anno, Rubio e Lavrov hanno esaminato progetti congiunti nell’Artico e in ambito energetico (in linea col grido di battaglia trumpiano «drill baby, drill!»).
Tuttavia, al di là degli affari, Russia e Stati Uniti hanno interessi geopolitici divergenti. A cominciare dall’Artico, dove Trump ha rivendicato il controllo sulla Groenlandia, mentre Mosca ha iniziato a condurre war game con l’Esercito popolare di liberazione.
Inoltre, tre anni di conflitto in Ucraina hanno fatto decollare l’interscambio Cina-Russia, in barba all’embargo decretato dal G7: da 147 miliardi di dollari (nel 2021) a 244,8 (l’anno scorso), evidenziando la complementarità (elettronica, automobili e prodotti chimici in cambio di idrocarburi) tra le rispettive economie, mentre Stati Uniti e Russia sui combustibili fossili sono concorrenti.
Nell’èra che a Washington definiscono di «rinnovata competizione tra grandi potenze», sia la Cina sia la Russia temono gli Stati Uniti e seguono l’antico adagio «il nemico del mio nemico è mio amico».
Victor Gao, vicepresidente del centro studi pechinese Centre for China and Globalisation, l’ha messa così: «La Russia non si fiderà al 100 per cento di Trump e non si rivolgerà agli Stati Uniti a scapito della sua amicizia paritaria con la Cina». E così Jinping e il suo “migliore amico” Vladimir Vladimirovič si vedranno a Mosca il 9 maggio, per celebrare assieme la Giornata della vittoria sul nazismo, e un rapporto che – passato per i lunghi anni di tensione (1961-1989) seguiti alla rottura sino-sovietica – non è mai stato così saldo, come confermano i 43 vertici tra Xi e Putin da quando i due sono al potere.
La Russia ha inaugurato da tempo una politica estera “rivolta verso est”, in reazione ad anni di tensioni con l’Occidente e proiettata verso la de-dollarizzazione, mentre sperimenta con la Cina meccanismi per superare le sanzioni “unilaterali”.
Contraltare multipolare
Trump scommette tutto sulla forza (finanziaria e militare soprattutto) degli Stati Uniti, Xi e Putin sull’attrattiva del loro “multipolarismo” che promette protagonismo ai paesi del Sud globale. A Trump, che la scorsa settimana ha detto che “gli piacerebbe” riportare la Russia nel G7, l’ambasciatore russo in Canada, Oleg Stepanov, ha risposto che Mosca «non ha alcun interesse a rivisitare istituzioni obsolete».
I cinesi sanno benissimo che Putin sarà ultra-cauto rispetto alle profferte statunitensi, perché non si fida. Durante i colloqui a margine del G20 della settimana scorsa a Johannesburg, Wang e Lavrov hanno concordato di aumentare la collaborazione nei nuovi organismi internazionali a trazione sino-russa – i Brics e la Shanghai Cooperation Organization – oltre che delle Nazioni unite e del G20, facendo da contraltare al disprezzo di Trump per le piattaforme multilaterali.
Insomma, se anche uno dei motivi per cui Trump vuole la pace in Ucraina è quello di concentrarsi contro il suo avversario strategico numero uno – la Cina – quest’ultima può contare su relazioni con la Russia che, proprio la guerra in Ucraina, ha irrobustito.
Wang Yiwei, specialista in affari europei presso l’Università Renmin di Pechino, ha affermato che anni di sanzioni occidentali contro la Russia le hanno reso impossibile fidarsi dell’Occidente. «Dopo il conflitto Russia-Ucraina, l’industria, l’economia e l’energia russa sono state fortemente intrecciate con la Cina. Questo è strutturale e persino permanente. È difficile che ritorni verso l’Occidente», ha concluso.
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