Vuole dividere l’Occidente» (esiste un “Occidente unito”?). «Ha visitato i paesi antiamericani» (in realtà in Francia è stato per il sessantesimo e in Ungheria per il settantacinquesimo anniversario delle relazioni bilaterali). «Divide et impera» (come se fosse appurato che la Cina ha ambizioni egemoniche globali).

Le sei giornate di Xi Jinping in Francia, Serbia e Ungheria, concluse venerdì 10 maggio con il rientro a Pechino del presidente cinese, hanno suscitato commenti che riflettono la diffidenza e l’avversione che – esacerbate dalla gestione della pandemia e dalla quasi alleanza con la Russia – stanno accompagnando l’ascesa della Cina. Sentimenti che rischiano di farci perdere di vista un quesito fondamentale: che cosa vuole davvero la Pechino?

Per quanto riguarda l’Europa, la leadership cinese vorrebbe che elaborasse una “autonomia strategica”: che facesse da contraltare agli Stati Uniti, la potenza che teme e con la quale – al di là della retorica di Xi sul «mondo grande a sufficienza affinché sia la Cina sia gli Stati Uniti abbiano successo» – è convinta che i rapporti rimarranno tesi per molti anni.

Che Pechino, prima e più che con Bruxelles, tratti, separatamente, con Parigi e Berlino (il cancelliere Olaf Scholz si è recato in visita ufficiale in Cina il mese scorso) è un effetto della disunità europea, non la causa.

Questa stessa divisione – che si manifesta tra la Germania che frena sulla fornitura di armi più potenti all’Ucraina ed Emmanuel Macron che straparla di invio di truppe Nato per difendere Kiev – permette a Pechino di ignorare gli appelli europei a smettere di sostenere economicamente Mosca e di proporsi come mediatrice di pace, come dimostra il sostegno offerto da Xi alla trovata macroniana di una «tregua olimpica globale».

L’accoglienza dei leader

Non è un caso che il 7 maggio a Belgrado Xi abbia evitato di partecipare alla cerimonia con la quale è stato ricordato il bombardamento da parte dei caccia Nato della locale ambasciata cinese nel 1999.

Pechino inoltre ha fatto coincidere il tour europeo di Xi con l’annuncio dell’estensione a tutto il 2025 dell’esenzione del visto per i viaggi in Cina fino a 15 giorni per 12 paesi, dieci dei quali dell’Ue (Italia compresa).

Durante il viaggio di Xi sono stati sottoscritti investimenti miliardari: sia infrastrutturali (soprattutto in Serbia), delle sempre più internazionalizzate aziende di stato, sia produttivi (in Francia e Ungheria), di compagnie private.

Negli stessi giorni la terza portaerei cinese, la Fujian (dal nome della provincia di fronte a Taiwan) completava il suo viaggio inaugurale e la sonda lunare Chang’e-6 entrava nell’orbita lunare per raggiungere per la prima volta nella storia il “dark side of the moon”.

Per costruire un rapporto intimo col «président chinois», Macron e sua moglie Brigitte hanno regalato a Xi e consorte, Peng Liyuan, una gita – piuttosto fantozziana – in una baita sui Pirenei, in mezzo a un’abbondante nevicata, tra salumi e formaggi accompagnati da canti pastorali.

Aleksandar Vučić invece gli ha fatto trovare quello che in Cina è tabù, perché ricorda gli eccessi di Mao: ventimila persone adulanti sotto il palazzo presidenziale che gridavano: «Serbia, Cina!». Viktor Orbán – nella giornata in cui si celebravano i 25 anni dall’ingresso del paese nell’Ue – ha fatto addobbare le strade di Budapest e i ponti sul Danubio con migliaia di bandiere della Cina e dell’Ungheria.

Nessun isolamento

Le immagini di un presidente a vita soddisfatto tra leader occidentali amici vengono rimandate da giorni senza sosta nei social: rappresentano una Cina che, nonostante l’embargo hi-tech decretato da Joe Biden, malgrado il de-risking della Commissione, è tutt’altro che isolata.

L’accoglienza che i leader europei hanno riservato a Xi (e il recente viaggio di Scholz) vanno ben oltre le consuetudini dei protocolli diplomatici ed evidenziano che i leader europei intendono intensificare piuttosto che ridurre le relazioni con la Cina.

Anche se in maniera diversa: la Francia punta soprattutto ad attirare investimenti cinesi, la Germania a difendere la presenza delle sue compagnie nel mercato cinese.

Dopo quelli siglati da Scholz, gli accordi firmati questa settimana da Edf, Alstom, Suez, Orano e altre big francesi con partner cinesi segnalano l’intenzione delle compagnie europee di cooperare nei settori industriali della green economy, che si incrocia la scelta strategica della Cina di rafforzare la sua presenza nelle relative filiere globali, per favorire lo sviluppo socio-economico del paese e scongiurare ogni ipotesi di de-risking.

© Riproduzione riservata