Quando l’impero britannico ha sottratto Hong Kong alla dinastia cinese Qing con il Trattato di Nanchino del 1842, l’isola «non era nulla di più di un territorio arido con appena una casa sopra». Gli inglesi aggiunsero l’intera penisola di Kowloon ai loro possedimenti coloniali diciotto anni dopo, come parte della Convenzione di Pechino.

Il controllo britannico su Hong Kong nel 1898 era stato formalizzato da un governo cinese debole e frammentato. L’imperatore Qing, il penultimo a governare la Cina, acconsentì con riluttanza all’ennesima umiliazione, accettando di cedere Hong Kong agli inglesi per novantanove anni. 

La Cina non ha mai scordato la propria inettitudine e quando si è avvicinata la data di scadenza del contratto, il Partito comunista cinese ha inteso riprendersi ciò che riteneva di diritto della Cina.

L’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher sperava di rinnovare l’accordo di cessione di Hong Kong al Regno Unito, poiché pensava che Pechino dipendesse dai flussi di capitale che Hong Kong produceva per la Cina continentale, in quanto principale punto di riferimento tra oriente e occidente.

Thatcher aveva fatto male i conti. Dopo l’incontro con Deng Xiaoping nel 1982, disse che Deng aveva respinto il suo desiderio di un altro «contratto» britannico su Hong Kong minacciando Hong Kong: nelle sue parole «la Cina potrebbe entrare e riprendersi Hong Kong».

Qualunque cosa sia successa nella Great Hall tra Thatcher e Deng e nei negoziati successivi, gli inglesi sono infine stati costretti a cedere Hong Kong alla Cina, che come previsto ne ha ripreso il controllo nel 1997.

Anche la Cina accettò un’importante concessione nella dichiarazione sino-britannica congiunta del 1984: avrebbe mantenuto le strutture politiche ed economiche uniche di Hong Kong per altri cinquant’anni in base a un principio che è diventato noto come “un paese, due sistemi”.

Deng avrebbe potuto benissimo entrare a Hong Kong e riprendersela, ma non era nel suo interesse né in quello di Pechino. Riconosceva che il futuro a lungo termine di Hong Kong era già scritto: gli inglesi erano in declino e la Cina era diventata abbastanza potente da far sì che il vero potere di Hong Kong appartenesse alla Cina senza far caso a cosa fosse scritto su un pezzo di carta.

Il legame con la crisi attuale

Cosa ha a che fare tutto ciò con il punto di vista della Cina sulla situazione tra Russia e Ucraina? Più di quanto si possa immaginare. I media occidentali sono carichi di speculazioni sul fatto che la Cina sostenga le ambizioni geopolitiche della Russia in Ucraina e osservano da vicino il dispiegarsi della crisi come proxy delle relazioni della Cina con Taiwan. Tempo fa Barron’s, una influente pubblicazione finanziaria statunitense, ha persino posto la domanda: «La Cina invaderà Taiwan se la Russia attacca l’Ucraina?». 

Ciò smentisce un malinteso fondamentale sulla posizione strategica della Cina nei confronti di Taiwan e del modo in cui la Cina interpreterà il comportamento della Russia in Ucraina. Inoltre non tiene conto della lezione imparata studiando il comportamento della Cina nei confronti di Hong Kong negli anni Ottanta, quando la Cina ha rivendicato il suo territorio perduto solo per mezzo della parola.

La prima cosa importante da ricordare è che l’Impero britannico non è stata l’unica potenza straniera ad aver tagliato e fatto a pezzi il territorio cinese per il proprio tornaconto. I giapponesi, i francesi, gli Stati Uniti e persino i portoghesi hanno tutti beneficiato del caos politico interno della Cina. Così, del resto, ha fatto anche la Russia, che con il Trattato di Pechino del 1860 “si appropriò” di una lunga striscia di costa del Pacifico alla foce del fiume Amur. Quel territorio è poi diventato Vladivostok, la principale base navale russa nel Pacifico.

Per la Cina, la Russia non è una potenza asiatica tormentata da nemici occidentali. Nella prospettiva cinese la Russia è una potenza colonialista europea, e in effetti, una mappa della Cina odierna porta le cicatrici per mostrarlo. Di conseguenza, Cina e Russia non si sono mai fidate l’una dell’altra durante la Guerra fredda, anche se erano le due potenze comuniste più forti del mondo. Hanno anche combattuto una breve guerra nel 1969 su un confine conteso.

Oggi, ovviamente, Cina e Russia sembrano essere migliori amiche. Ma la loro relazione è di convenienza geopolitica, non di vero allineamento strategico. La Russia esporta energia e la Cina è il maggiore importatore di energia al mondo.

Ancora più importante, sia la Russia sia la Cina trovano che le loro ambizioni strategiche siano minacciate dagli Stati Uniti, che dai tempi dell’amministrazione Trump hanno trattato la Cina e la Russia come rivali alla pari. Di conseguenza, la Cina e la Russia negli ultimi anni si sono avvicinate più che in qualsiasi altro momento nella storia di queste due civiltà storiche.

Il presidente cinese Xi Jinping ha persino dichiarato dopo una recente videochiamata con il presidente russo Vladimir Putin che la Cina e la Russia dovrebbero «difendere gli interessi di sicurezza di entrambi i paesi con maggiore efficacia».

Linguaggio prudente

Potrebbe sorprendere, ma il rapporto tra la Russia e la Cina è molto più complicato di così. Prendiamo in considerazione la lunga dichiarazione congiunta Cina-Russia che Xi e Putin hanno rilasciato all’inizio di questo mese. Il linguaggio forbito esprime la profondità del rapporto tra Cina e Russia, ma a una lettura più attenta il documento si presta a un’interpretazione più sfumata.

A un certo punto, ad esempio, Cina e Russia affermano di essere «seriamente preoccupate per le serie sfide di sicurezza internazionale» e si impegnano «per un forte sostegno reciproco in difesa dei loro interessi fondamentali, della sovranità statale e dell’integrità territoriale».

La frase immediatamente successiva del documento parla del sostegno della Russia al principio della Cina unica, ovvero che Taiwan è una parte inalienabile della Cina e che Mosca non impedirà alla Cina di assorbire Taiwan ogni volta che lo ritenga prudente.

Il documento non dice nulla sull’Ucraina. La Cina non ricambia la generosità della Russia, riconoscendo le pretese della Russia sull’Ucraina. La Cina, infatti, riconosce l’Ucraina come paese indipendente.

Oltre a riconoscere gli interessi reciproci, Cina e Russia hanno anche convenuto che «nessuno stato può o dovrebbe garantire la propria sicurezza separatamente dalla sicurezza del resto del mondo e a spese degli altri stati». O la Cina ha appena firmato un documento con cui gli inquilini centrali non sono in accordo (difficile da immaginare per un paese così scrupoloso sui protocolli diplomatici), oppure la Cina ha un problema da affrontare, vale a dire, che un’invasione russa dell’Ucraina viola i principi fondamentali della politica estera cinese.

L’invasione russa dell’Ucraina, dal punto di vista di Pechino, sarebbe un’altra impresa coloniale della Russia e comporterebbe l’uso di una forza illegittima per rovesciare un governo che la Cina riconosce come indipendente e sovrano.

Il linguaggio estremamente prudente della Cina sulla crisi russo-ucraina chiarisce il dilemma strategico per l’Ucraina. La Cina naturalmente apprezza che gli Stati Uniti siano distratti dall’aumentare il proprio potere nel Pacifico, dovendo concentrarsi sulle ambizioni russe in Ucraina. E inoltre ha interesse a sostenere le sue relazioni pragmatiche con la Russia per il momento: non schierarsi a fianco della Russia nello stallo sull’Ucraina sarebbe un duro colpo per le relazioni bilaterali tra Mosca e Pechino.

Eppure la Cina non può approvare che la Russia si presenti a cose fatte in questo modo. Questo è il motivo per cui il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto al segretario di stato americano Antony Blinken che «le ragionevoli preoccupazioni per la sicurezza della Russia dovrebbero essere prese sul serio e risolte».

In altre parole: la Cina simpatizza per la Russia fino a un certo punto. Dopotutto i confini della Nato si sono avvicinati pericolosamente alla Russia, al punto da privare Mosca di qualsiasi profondità strategica. Inoltre, le sanzioni statunitensi contro la Russia e i tentativi di sostenere le forze democratiche al suo interno ricordano a Pechino la guerra commerciale degli Stati Uniti contro la Cina e le simili minacce degli Stati Uniti nei confronti di Taiwan e Hong Kong.

Il caso Hong Kong

Questo non significa però che la Cina approverà una generale invasione dell’Ucraina – campagna assai difficile da vincere. Ricordiamo Hong Kong: la Cina ha fatto la sua mossa su Hong Kong quando sapeva che gli inglesi non sarebbero stati in grado di fare resistenza; mentre non ha fatto una mossa simile su Taiwan perché sa di non avere la forza militare necessaria per sostenere le minacce che ciò causerebbe.

Questo è un gioco di lunga durata per la Cina: aspetterà che i tempi siano maturi e di rafforzarsi finché non sarà pronta. 

Non è così per la Russia che si muove in gran parte per debolezza e in posizione difensiva. La Russia rimane una potenza militare formidabile, ma nemmeno il suo esercito può sperare di invadere l’Ucraina, conquistare Kiev e occupare il paese a tempo indeterminato. Di certo Mosca non può raggiungere un tale obiettivo con appena 180mila soldati.

L’Ucraina è un paese delle stesse dimensioni della Francia e la parte occidentale del paese è diventata fortemente anti-russa. Un’invasione dell’intero territorio causerebbe un’insurrezione interminabile, per non parlare della catastrofe economica. Se la Russia si prendesse l’Ucraina, la Cina non solo disapproverà le azioni della Russia, ma penserà che quest’ultima sia tremendamente miope.

Strategicamente, una guerra russo-ucraina sarebbe una manna per la Cina. La Russia si troverebbe ad affrontare sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, il che significa che si troverebbe a dover vendere petrolio e gas naturale alla Cina, aumentando la leva cinese sulla Russia.

Significherebbe anche tenere gli Stati Uniti impegnati con gli affari europei, riducendo la concentrazione e la forza che gli Stati Uniti sono in grado o disposti a schierare nel Pacifico.

La Cina non sfrutterà l’occasione per invadere Taiwan, ma continuerà quello che ha fatto per decenni: costruire la sua influenza politica ed economica su Taiwan con la speranza di metterci di fronte a un fatto compiuto, simile a quello di Hong Kong.

Così se la Russia invaderà l’intera Ucraina e gli Stati Uniti non accorreranno in aiuto di Kiev (o se non riuscissero a frenare Mosca), la Cina potrà chiamare Taipei e dire: «È questo l’alleato su cui state puntando per il futuro?». Questo è l’approccio-Hong Kong alla geopolitica: sfruttare una crisi senza muovere un dito.

Traduzione a cura di Monica Fava.

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