- Negli ultimi dieci anni, più di 900.000 membri (circa l’1 per cento dei 95 milioni di iscritti) sono stati cacciati dal Partito comunista nell’ambito della campagna contro piccoli e grandi corrotti lanciata da Xi Jinping nel 2013.
- In passato, ai cicli di repressione seguivano quelli di liberalizzazione, finché le mazzette ricominciavano a circolare spudoratamente e le manette riprendevano a tintinnare.
- Xi invece ha reso l’anticorruzione «permanente» con epurazioni e arresti di massa che sembrano aver rafforzato la legittimità del partito. E dopo i politici adesso toccherà agli imprenditori.
A Sun Lijun le mazzette venivano consegnate nelle cassette del pesce: 300mila dollari in ognuna. Mittente Wang Like, l’ex governatore della provincia orientale del Jiangsu. Con questo stratagemma l’ex viceministro della Pubblica sicurezza ha intascato più di 90 milioni di yuan (14 milioni di dollari), oltre a una quantità di orologi, liquori e altri omaggi con cui in Cina vengono gratificati i politici corrotti.
Espulso nel settembre 2021 per «gravi violazioni della disciplina di partito», il cinquantatreenne Sun è riapparso lo scorso fine settimana sul primo canale della tv di stato, protagonista della puntata d’esordio di Tolleranza zero, documentario sugli ultimi dieci anni di lavoro della Commissione centrale di vigilanza (Ccdi), l’organismo istituito nel 1949 per sovrintendere alla giustizia parallela del partito comunista e diventato la sua «arma organizzativa».
Il filmato di propaganda, trasmesso alla vigilia del VI plenum dalla stessa Ccdi, si apre con le statistiche della campagna contro «mosche» e «tigri» (piccoli e grandi corrotti), lanciata da Xi Jinping nel 2013.
Negli ultimi dieci anni, più di 900.000 membri (circa l’1 per cento dei 95 milioni di iscritti) sono stati cacciati dal partito. A quattro «tigri» è stato riservato un disonore imperituro: nell’ultima risoluzione sulla storia del partito vengono ricordati come i più alti funzionari puniti per «gravi violazioni della disciplina di partito e della legge».
Si tratta dell’ex membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico, Zhou Yongkang; dell’ex segretario del partito a Chongqing ed ex membro dell’Ufficio politico, Bo Xilai; dell’ex segretario del partito a Chongqing ed ex membro dell’Ufficio politico, Sun Zhengcai, e dell’ex segretario dell’Ufficio generale del partito sotto il presidente Hu Jintao, Ling Jihua. Erano considerati avversari politici di Xi e sono stati tutti condannati a lunghe pene detentive per corruzione.
«Mosche» e «tigri»
La risoluzione – che segue le due precedenti volute da Mao nel 1945 e da Deng nel 1981, e che servirà a elevare la statura di leader di Xi in vista del XX Congresso nazionale – sostiene la necessità di eliminare «sistematicamente tutti gli elementi in grado di danneggiare la natura avanzata e l’integrità del partito e tutti i virus capaci di minarne la salute».
In passato, ai cicli di repressione seguivano quelli di liberalizzazione, finché le mazzette ricominciavano a circolare spudoratamente e le manette riprendevano a tintinnare.
Xi invece ha reso l’anticorruzione «permanente» con epurazioni e arresti di massa che sembrano aver rafforzato la legittimità del partito. Secondo un sondaggio del Global Times del mese scorso, «tra la generazione Z cinese, alla quale è stato chiesto quali problemi fondamentali affrontati dalla Cina negli ultimi uno o due decenni abbiano cambiato la sua visione della “democrazia”, o in altre parole, “che cosa le abbiano iniziato a far credere che il sistema politico del Pcc funzioni meglio del sistema politico occidentale?”», il 40,7 per cento degli intervistati ha scelto «la campagna anticorruzione di lunga durata ed efficace del Pcc dopo il suo XVIII Congresso nazionale».
L’opzione è risultata la seconda più popolare dopo la «gestione di successo della pandemia di Covid-19 da parte della Cina (78,7 per cento)». Se il tabloid nazionalista gongola, anche il giallista Qiu Xiaolong (non esattamente un simpatizzante del Pcc) ha raccontato nel suo Cyber China come negli ultimi anni i netizen cinesi abbiano partecipato alle cosiddette «ricerche di carne umana» (rénròu sōusuŏ), trovando e postando su internet le prove per incastrare funzionari che si erano arricchiti illecitamente. In una società segnata da profonde disuguaglianze sociali, il primo episodio di Tolleranza zero ha suscitato centinaia di milioni di interazioni sui social.
Ora tocca agli imprenditori
In Cina è il partito-leviatano che fa pulizia al suo interno e non la magistratura ordinaria, alla quale vengono passate le istruttorie della Ccdi.
Dopo aver stroncato la carriera di centinaia di migliaia di politici, l’anticorruzione si appresta ad abbattersi sugli imprenditori. Nel comunicato di chiusura del suo ultimo plenum la Ccdi afferma infatti che la campagna deve affrontare «nuove sfide e nuove situazioni», tra le quali indagini sulla «espansione disordinata di capitale», per «recidere i legami tra mondo degli affari e potere politico».
Gli analisti cinesi ritengono che a finire nel mirino sarà quella stessa economia digitale sottoposta l’anno scorso a un’inedita pressione regolatoria e a una serie di inedite misure amministrative, dalla multa da 2,8 miliardi di dollari ad Alibaba al delisting da Wall Street imposto a Didi, lo Uber cinese dirottato sulla Borsa di Hong Kong.
«Il capitale sta mostrando la sua intenzione di oltrepassare i limiti», ha affermato Wu Xinwen, docente all’Università Fudan di Shanghai ed esperto di politica, aggiungendo che alcuni imprenditori punterebbero ad allargare la propria influenza ai media pubblici e all’istruzione per ottenere alla fine il potere politico.
Tencent (proprietaria di WeChat) è stata tra le prime ad allinearsi, avendo già denunciato un centinaio di casi di corruzione al suo interno nel 2020 e una settantina nel 2021. Negli ultimi giorni anche ByteDance (TikTok) si è mossa nella stessa direzione.
La Commissione promette che non mostrerà pietà per chi provi a costruire bande politiche, «piccoli circoli» e gruppi di interesse. Nell’anno del XX Congresso, pezzi da novanta della politica, funzionari, imprenditori, tutti devono temere la mannaia della Ccdi, che, ufficialmente, serve l’obiettivo strategico del partito di forgiare funzionari «puri» che – secondo l’espressione di Xi – «non osino, siano incapaci e non abbiano alcun desiderio di corrompersi».
Disciplinare la società
Il nuovo segretario generale arrivò al potere dopo tre decenni di rafforzamento delle strutture statali, che – ha ricordato Li Ling – si era tradotto «nel grado di specializzazione delle istituzioni statali e nello sviluppo di un sistema giuridico statale completo e autonomo con quasi tutte le componenti essenziali di un sistema giuridico sviluppato».
La ricercatrice dell’Università di Vienna che ha coniato per la Ccdi l’appellativo di «arma organizzativa» ha sostenuto (The "Organisational Weapon" of the Chinese Communist Party China's - disciplinary regime from Mao to Xi Jinping) che Xi Jinping ha ritenuto che un’ulteriore separazione del partito dallo stato avrebbe potuto innescare un effetto domino e causarne il crollo, come avvenne in Unione sovietica.
È soprattutto in questo contesto che va inquadrata l’evoluzione della campagna anticorruzione. Per questo nel 2018 alla Ccdi è stata affiancata una nuova istituzione, la Commissione nazionale di controllo (Nsc) – con mandato su tutti i dipendenti pubblici – che condivide con la Ccdi risorse operative e pratiche investigative, compresi i famigerati interrogatori extragiudiziali in luoghi segreti, che hanno semplicemente cambiato nome, da shuāngguī a liúzhì.
Il rapporto tra Ccdi e Nsc è quello tra partito e stato: sono parallele, ma la seconda è sempre subordinata alla prima ogni qual volta s’incontrino. E all’interno sia dell’una che dell’altra vige la più rigida interpretazione del “centralismo democratico”, il principio leninista in base al quale – nella formulazione che gli diede Mao – l’individuo è sottoposto all’organizzazione; la minoranza alla maggioranza; il livello inferiore a quello superiore; e tutti gli iscritti sono sottoposti al Comitato centrale.
Secondo la sinologa Patricia Thornton, nel corso della storia del Pcc il centralismo democratico si è evoluto da «principio organizzativo» da applicare a tutte le strutture del partito a «pratica» che – a partire dal VII Congresso (1945) – trovò espressione nelle campagne di rettifica, attraverso il metodo della critica e dell’auto-critica e le campagne per allargare alle organizzazioni di massa (sindacati, giovani, donne) il consenso raggiunto nel partito; per diventare infine, con la «nuova èra» inaugurata da Xi al XIX Congresso nazionale, uno «strumento di disciplina» codificato, esteso dal partito alla società impiegata nell’apparato statale o inquadrata nelle organizzazioni di massa.
«Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il Partito dirige tutto». Il 18 ottobre 2017, aprendo il XIX Congresso, Xi aveva annunciato con parole chiarissime il suo manifesto politico che in occidente giudichiamo un esperimento «distopico».
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