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La scarsità di CO2, oltre che delle difficoltà di dissetarsi, racconta pure della crisi del sistema commerciale multilaterale, sfiancato da mille fattori, vecchi e nuovi: alle tradizionali resistenze nei confronti della liberalizzazione internazionale degli scambi di fattori produttivi si sono aggiunti, nel tempo, l’avvento massivo della Cina sui mercati e l’unilateralismo statunitense.
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L’uscita del Regno Unito dall’Ue, l’aggressione all’Ucraina e le sanzioni commerciali nei confronti della Russia, completano il quadro. E l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) non stava già benissimo di suo.
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Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Globalizzazione in frantumi”, in edicola e in digitale dal 29 luglio.
Quando, come accade a chi scrive, in particolare nei mesi estivi, il benessere dipende dall’acqua gassata, si potrebbe vivere con una certa ansia la notizia dell’arresto della produzione della stessa da parte di molte multinazionali, causato dalle difficoltà di reperimento dell’anidride carbonica per l’enorme aumento dei suoi costi di produzione, influenzati da quelli dell’energia elettrica, e dalle difficoltà di importazione. E a rischio pare ci siano addirittura molte birre e i prodotti di un colosso come Coca-Cola.
Crisi di sistema
Ma la scarsità di CO2, oltre che delle difficoltà di dissetarsi, racconta pure della crisi del sistema commerciale multilaterale, sfiancato da mille fattori, vecchi e nuovi: alle tradizionali resistenze nei confronti della liberalizzazione internazionale degli scambi di fattori produttivi si sono aggiunti, nel tempo, l’avvento massivo della Cina sui mercati e il suo continuare a viaggiare a scrocco, surfando tra le maglie del sistema, l’unilateralismo statunitense, che con il passaggio dall’amministrazione Trump a quella Biden non è poi mutato granché (ne abbiamo parlato su Domani del 27 gennaio 2021), al punto che Cecilia Malmström, fino al 2019 commissaria europea per il commercio nella commissione Juncker, ha recentemente detto che «l’agenda commerciale del presidente Biden è esattamente la stessa di quella di Trump, a eccezione della sola retorica: è sempre America first».
L’uscita del Regno Unito dall’Ue, l’aggressione all’Ucraina e le sanzioni commerciali nei confronti della Russia, completano il quadro. E l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), la principale organizzazione internazionale competente in materia di scambi commerciali, non stava già benissimo di suo. Istituita da 123 paesi il 1° gennaio 1995, va in crisi pochi anni dopo: già nel novembre 1999, infatti, in occasione della Conferenza ministeriale di Seattle, che fallì anche per questo, vide le violente proteste dei movimenti no-global, che sollevavano questioni ambientali e sociali, sfociate anche in scontri con la polizia.
Il successivo round negoziale, lanciato nel 2001 a Doha, si è faticosamente trascinato per quattordici anni, per produrre solo piccoli risultati e fallire sostanzialmente nel 2015; lo stesso è accaduto con la Conferenza ministeriale di Buenos Aires di due anni più tardi.
La Conferenza di Ginevra
Le Conferenze ministeriali, che si riuniscono una volta ogni due anni e alle quali partecipano i ministri dei 164 stati oggi membri dell’Omc, rappresentano non solo il più alto organo decisionale dell’Organizzazione, che esercita, quando è riunito, tutti i poteri della stessa, ma costituiscono anche la sede in cui quei paesi, che rappresentano quasi il 95 per cento del commercio mondiale, possono assumere nuovi obblighi di liberalizzazione commerciale e, quindi, indirizzare lo sviluppo economico.
Così, mentre l’invasione dell’Ucraina infuria, il Partito democratico degli Stati Uniti asserisce che il sistema commerciale globale «non ha mantenuto le promesse fatte ai lavoratori americani»; gli stessi Stati Uniti, con l’Ue e il Canada, sospendono l’applicazione alla Russia della regola del trattamento generalizzato della nazione più favorita (most favoured nation; ne abbiamo parlato su Domani); i rappresentanti di molti stati abbandonano i consessi internazionali quando intervengono i delegati russi; e infine l’Ue, da sempre strenua sostenitrice del commercio aperto e globalizzato in salsa Omc, in risposta alle azioni aggressive di Stati Uniti e Cina, sta cercando di costruirsi un ruolo di regolatore globale attraverso una galassia di accordi bilaterali che stanno ulteriormente frammentando il sistema, si è finalmente tenuta la dodicesima Conferenza ministeriale dell’Omc (MC12), che ha avuto luogo dal 12 al 17 giugno 2022 a Ginevra, dopo diversi rinvii dovuti alla pandemia.
I suoi risultati (di nuovo non particolarmente lusinghieri, ma in un clima come quello attuale anche un piccolo passo avanti è pur sempre meglio del congelamento totale) sono un altro elemento da leggere per provare a comprendere qual è lo stato di salute del sistema commerciale internazionale: si è trattato della prima Conferenza ministeriale dopo lo scoppio della pandemia, della guerra in Europa, e dell’elezione della prima donna come direttrice generale dell’Organizzazione, Ngozi Okonjo-Iweala, di nazionalità nigeriana.
Risultati raggiunti
Va detto che con l’adesione della Cina e dell’allora neonata Federazione russa all’Omc, l’allargamento a est dell’Unione europea, il successo dell’Asean e i tentativi di accordi Ue/Usa per il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip) e il Partenariato del Pacifico (Tpp), sembrava potesse esserci un nuovo rilancio della cooperazione internazionale per gli scambi commerciali, anche se a parziale scapito dell’universalismo e mediante una sua frammentazione in blocchi regionali, comunque tra loro coordinati dalle norme Omc. Ma l’avvento dei movimenti sovranisti (negli Stati Uniti e nel Regno Unito), la conseguente Brexit, e dapprima la crisi finanziaria globale e poi la pandemia e la guerra hanno indotto negli stati atteggiamenti vigorosamente protezionistici.
In questo contesto, la MC12, tra le (molte) cose a rischio, vedeva la proroga, poi però concessa, della moratoria – applicata ormai da 25 anni – sui dazi doganali per il commercio elettronico, che ha incontrato l’opposizione di India, Sud Africa e Indonesia: la sua mancata conferma avrebbe consentito agli stati di imporre tariffe sulle applicazioni di messaggistica, sulle videochiamate e, più in generale, sui flussi transfrontalieri di dati; qualora ciò fosse avvenuto, per dirla con un diplomatico australiano, l’Omc avrebbe «perso definitivamente la trama» degli eventi. Ma non è avvenuto.
Un altro risultato raggiunto è rappresentato dal consenso raggiunto sulle misure contro i sussidi alla pesca, stimati in 35 miliardi di dollari in tutto il mondo, di cui 20 volti a incentivare la pesca eccessiva e che, secondo i dati delle Nazioni unite, avrebbero portato la quantità di pescato in quantità e modalità biologicamente insostenibili dal 10 per cento del 1974 al 34,2 per cento del 2017: i membri dell’Omc hanno sottoscritto, infatti, un accordo (che ora dovrà essere ratificato da ciascuno) che prevede che nessuno di loro potrà «concedere o mantenere qualsiasi sovvenzione a una nave o a un operatore impegnato in attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (illegal, unreported and unregulated – Iuu) o a qualsiasi attività connessa alla pesca che sostenga quella Iuu”.
Va detto che l’accordo in questione non definisce cosa sia la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, facendo riferimento, per questo, ad altri strumenti internazionali, esterni al sistema Omc: è una caratteristica che evidenzia, una volta di più, lo stretto legame che esiste tra quest’ultimo sistema e l’ordinamento internazionale complessivamente inteso, dal quale, per usare una famosa espressione dell’organo d’appello, «non è in isolamento clinico».
In risposta alle esigenze di produzione e reperimento dei vaccini emerse con forza durante la pandemia, e ostacolate spesso dai diritti di proprietà intellettuale, i membri dell’Omc hanno poi adottato una Dichiarazione ministeriale che prevede la rinuncia a determinati requisiti previsti dall’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (Trips) sulle licenze obbligatorie per la produzione di vaccini Covid-19: gli stati hanno così maggiori possibilità di adottare misure volte a ridurre o annullare l’effetto dei brevetti attraverso deroghe mirate.
Per quanto concerne, poi, la crisi alimentare generata anche dalla guerra e dalle connesse sanzioni e venire incontro alle richieste della comunità internazionale di un’azione immediata per affrontare la carenza di cibo e l’aumento dei prezzi degli alimenti, sono state adottate due Dichiarazioni ministeriali sulla risposta all’emergenza all’insicurezza alimentare e sull’esenzione dai divieti o dalle restrizioni all’esportazione degli acquisti di cibo per fini umanitari fatti dal Programma alimentare mondiale (Pam).
Blocchi contrapposti
Va anche ricordato come, ancora oggi, e a dispetto di questi timidi segnali positivi, il sistema commerciale multilaterale continui a subire il grave limite del blocco del suo meccanismo di soluzione delle controversie, quello che una volta era stato definito “il gioiello della sua corona”, a causa della perdurante opposizione degli Usa di nominare i nuovi giudici dell’organo d’appello permanente, ormai tutti decaduti per scadenza del mandato.
Si tratta di un atteggiamento conseguente alle forti critiche mosse già dall’amministrazione Obama al fatto che tale organo, a giudizio degli Stati Uniti, invece di limitarsi a dirimere le controversie commerciali applicando il diritto esistente, avesse, negli anni, svolto quasi una funzione suppletiva delle Conferenze ministeriali via via fallite, con la creazione di nuovi obblighi. Questo esercizio indebito di poteri avrebbe (anche) consentito all’Omc di dare parzialmente ragione all’Ue in una controversia sulle sovvenzioni per gli aerei che contrapponeva, come parti sostanziali, Airbus a Boeing: il sistema commerciale multilaterale, infatti, pur contemplando come sue parti solo gli stati, in realtà, sostanzialmente, influenza le posizioni giuridiche delle imprese private.
La Camera di commercio degli Stati Uniti ha affermato che l’obiettivo primario della MC12 avrebbe dovuto essere quello di «riaffermare il multilateralismo e il commercio basato su regole come la via per rilanciare la crescita economica globale (…): l’Omc deve anche dimostrare di essere in grado di rispondere alle sfide più urgenti del nostro tempo, in particolare la salute, i cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare».
Al di là del suo contenuto materiale, non può essere negato, infatti, che una disciplina degli scambi basata su un sistema di regole consensualmente condivise, magari poi da fare oggetto di ulteriore specificazione in specifici contesti regionali, appare ancora alla sua esplosione in molteplici blocchi tra loro sigillati e privi di coordinamento, che vedrebbe con ogni probabilità la soccombenza di quelli di dimensioni più ridotte (come il caso della pesca sembra dimostrare).
Insomma, pare che l’“Omc andrà avanti, ma barcollando”.
Arancha González, ex capo di gabinetto dell’ex direttore generale dell’Omc Pascal Lamy, ha detto che se si guardano le cifre, non si percepisce alcuna deglobalizzazione: «Non la vedo nel commercio, non la vedo negli investimenti e certamente non la vedo negli scambi digitali»; ma è sempre più evidente la frammentazione del sistema in blocchi omogenei, con gli Usa che cercano di investire nei soli paesi alleati (il “friendshoring”), la Cina che sta costruendo una sua rete attraverso la Belt and Road Initiative e l’Ue che, specie per trovare alternative a petrolio e gas russi, sta provando a fare ricorso solo a stati “amici” come Norvegia e Usa, appunto.
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