L’attentato al presidente, una tragica costante nella storia politica americana, è un’accelerazione potente del trend di vittoria già in atto di Donald Trump alla Casa Bianca a causa, finora delle debolezze intrinseche del candidato democratico, Joe Biden. Fatta questa premessa le reazioni internazionali rendono in modo plastico e dalla lettura tra le righe dei comunicati di solidarietà al candidato repubblicano, chi vede migliorare, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca le proprie opportunità di contare di più a Washington, e chi, invece, vede ridursi i suoi spazi di manovra.

L’est Europa

Il più preoccupato è, ovviamente, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky che teme di perdere finanziamenti e il prezioso sostegno militare con il ritorno del tycoon alla Casa Bianca che non ha mai fatto mistero, in passato, di essere pronto ad abbandonare Kiev al proprio destino, secondo la logica di America First e degli europei “scrocconi” che non pagano il biglietto per poter godere della difesa americana nella Nato.

Non a caso di fronte all'attentato a Donald Trump, Mosca ha ironizzato, esortando gli Stati Uniti a usare i fondi per la polizia invece che inviare armi all'Ucraina. Rivolgendosi a «coloro che negli Usa votano per la fornitura di armi» al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha denunciato il sostegno a Kiev, che secondo lei ha alimentato «attacchi contro il presidente russo».

«Forse sarebbe meglio usare questi soldi per finanziare la polizia americana e altri servizi che dovrebbero garantire la legge e l'ordine negli Stati Uniti?», ha aggiunto, puntando il dito contro le «politiche di incitamento all'odio». Al di là dell’ironia fuori posto resta chiaro il posizionamento di Mosca che vede con estremo favore il ritorno di Trump al potere che renderà inevitabile la resa di Kiev e la sua “finlandizzazione” senza alcuna possibilità di accedere all’Alleanza atlantica. Mosca è già pronta a trattare con il nuovo inquilino della Casa Bianca e con cinismo vede finire l’esperimento ucraino di avvicinamento a Bruxelles, forse all’Unione europea, sicuramente alla Nato.

La Cina e l’India

Più preoccupata la dirigenza cinese che vede in Trump un duro negoziatore pronto ad erigere nuove pesanti barriere commerciali in difesa dei prodotti americani e a favorire il ritorno delle produzioni in territorio americano o quanto meno messicano o canadese.

Certo il presidente cinese, Xi Jinping, ha espresso domenica la sua «compassione e simpatia» a Trump, ferito in un attentato durante un comizio in Pennsylvania. «La Cina sta seguendo da vicino la situazione» ha detto in una nota un portavoce del ministero degli Esteri cinese. Ma al là delle doverose parole di circostanza resta il fatto che Pechino teme il ritorno dell’ideatore di Maga, "Make American Great Again”, attraverso dure politiche commerciali di protezionismo che hanno inceppato la crescita economica del gigante asiatico in favore dell’India di Narendra Modi.

L’Europa

Un timore, quello del ritorno di politiche protezionistiche, che colpirà anche i dirigenti europei che dovranno affrontare il ritorno di Trump pronto a mettere dazi e gabelle ai prodotti made in Eu e a chiedere maggiori contributi alle spese per la difesa comune. Una spinosa querelle che ben conosceva l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, che cercò di resistere alle pressanti richieste del Tycoon in vari G7 e riunioni Nato, non sempre con successo.

Tra i politici europei, però, ci sarà qualcuno più soddisfatto degli altri del ritorno di Trump alla Casa Bianca. «I miei pensieri e le mie preghiere sono rivolti al presidente Donald Trump in queste ore buie». Lo ha scritto su X il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che nei giorni scorsi aveva incontrato Trump nella sua residenza a Mar-a-Lago in Florida dove aveva riferito della sua personale opposizione espressa, secondo la Bloomberg, nel summit svoltosi a Washinton per i 75 anni della Nato, di contrarietà all’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica.

Anche il premier ungherese Orbán non ha mai fatto mistero in passato di preferire Trump al candidato democratico Biden e di sostenere le esigenze russe rispetto a quelle espresse dalla dirigenza ucraina sul conflitto in corso tra i due paesi. Orbán ora vede una finestra di opportunità che potrebbe porre fine all’assedio europeo alle sue disinvolte politiche interne verso le minoranze e il rispetto della divisione dei poteri.

Anche in Medio Oriente il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è detto «scioccato» per l’attentato. Bibi, come viene chiamato comunemente, non ha mai fatto mistero di preferire Trump, che quando era presidente ha deciso di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e ha inaugurato la politica degli Accordi di Abramo. Numerosi commentatori israeliani hanno scritto sui media locali che Netanyahu, che ha anche cittadinanza americana, avrebbe allungato i tempi dei negoziati in corso per il cessate il fuoco a Gaza proprio con l’obiettivo di arrivare a novembre e al cambio della guardia alla Casa Bianca, così da negoziare poi da una situazione di forza con i palestinesi.

© Riproduzione riservata