L’allora presidente del consiglio oggi senatore interviene sul caso del ricercatore ucciso al Cairo: «Se avessi saputo prima sarei stato in condizioni di lavorare, non so come sarebbe andata». E attacca la Gran Bretagna: «Chi non ha detto la verità dovrà farlo, sia esso in Egitto sia esso nel Regno Unito». Il presidente della commissione Palazzotto (Leu): «L’Egitto non ha voluto ricevere l’ambasciatore Massari per giorni»
Matteo Renzi è intervenuto nella commissione di Inchiesta parlamentare sull’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso al Cairo a fine gennaio 2016. Allora Renzi era presidente del consiglio: «Abbiamo saputo il 31 gennaio, se avessi saputo prima sarei stato in condizioni di lavorare prima, non so come sarebbe andata». Oltre ad aprire a una storia non scritta, l’ex premier ha rimesso in discussione la posizione dell’Egitto.
Regeni è stato rapito il 25 gennaio 2016 e fu trovato torturato e ucciso nove giorni dopo. Il presidente della commissione, Erasmo Palazzotto (LeU), ha fatto presente che l’ambasciata ha comunicato tempestivamente quanto stava accadendo al ministero degli Esteri presentando una denuncia formale alle autorità egiziane il 27 gennaio: «Come mai non è stato avvisato? Come mai le autorità egiziane non hanno collaborato?»
Dopo quasi cinque anni ancora il caso non è stato chiarito e mentre la procura di Roma si avvia a concludere le indagini il prossimo 4 dicembre, Renzi difende l’Egitto: «La non collaborazione è un falso. La non sufficiente collaborazione egiziana è la realtà, ma se noi diciamo che gli egiziani non hanno fatto niente, non ci rendiamo conto anche del perché la loro reazione sia una reazione, come posso dire, di stupore».
Palazzotto ha replicato: «La non collaborazione si è verificata nelle ore successive al rapimento: il ministro degli Interni, che gestisce l'Agenzia di sicurezza nazionale di cui i 5 agenti sono indagati per aver torturato e ucciso Regeni, si è rifiutato di ricevere l’ambasciatore Massari fino al 2 febbraio».
Renzi ha detto: «I fatti sono che non è vero che fino al 2 le autorità fingono di non ascoltarci. Il punto vero è che dal 31 noi ci mettiamo in moto, non è che chiediamo un appuntamento per Massari, ci attacchiamo al telefono, tanto è vero che qualcosa accade in Egitto».
La ricostruzione di Renzi
Per l’ex presidente del consiglio c’è stata «prudenza» nell’avvisarlo quando era premier. «L'ambasciatore Massari apprende la notizia qualche ora dopo la mancata presentazione di Regeni a un appuntamento con la persona con la quale doveva cenare. C'è negli uffici una qualche prudenza nell'informare il presidente del Consiglio. A me l'informazione arriva direttamente il 31 gennaio 2016 dall'ambasciatore Massari, che aveva il mio cellulare, e prendo immediatamente i contatti con il ministro degli Affari esteri e con l'autorità delegata per i Servizi».
Renzi ha aggiunto: «Magari qualcuno in Egitto cercava di cavarsela facendo finta di niente». Nelle settimane successive si è mosso a livello personale con il presidente egiziano Al-Sisi: «Bisogna tirarsi giù il cappello per il lavoro della procura di Roma, che è stato particolarmente importante. Io personalmente ho chiesto al presidente di al-Sisi di accettare di rispondere alle domande di un media indipendente italiano». Richiesta accettata dal presidente con un’intervista a Repubblica a marzo 2016. «Per il nostro stile di governo, se tu sei una democrazia liberale, mandi i magistrati e la stampa. Nonostante tutto, la stampa e la giustizia sono due cardini al pari delle istituzioni».
Renzi attacca la Gran Bretagna e ha detto che chi non ha detto la verità dovrà farlo: «Sia esso in Egitto sia esso nel Regno Unito». Il paese «su questa storia non ha chiarito fino in fondo. Mi limito a dire questo. C'è qualcosa che non torna nella professoressa che decide di non rispondere», ha sottolineato.
Un delegato speciale
Renzi ha ricordato che nel 2014-2016 la minaccia del terrorismo dell’Isis era molto sentito e l’Egitto veniva visto come un partner obbligato. Ancora oggi per il leader di Italia viva bisogna mantenere un rapporto con il paese. Su questo punto ha attaccato il governo: «Io penso che vada perseguita la strada di dialogo con l'Egitto con le condizioni della democrazia liberale. Io penso che vada fatto in modo coordinato», dunque non fare visite ripetute con esponenti diversi: «Ci si va con uno stile».
La sua proposta è un delegato speciale e non la ritira dell’ambasciatore: «Non metto minimamente in discussione la scelta che la Camera ha fatto di istituire la commissione d'inchiesta, che come tale rispetto. Io penso che in questa fase ciò che servirebbe al paese, l'ho detto al professor Conte e a Gentiloni, è un’autorità delegata». Nel caso specifico «io credo che ciò che serve in Egitto non è il ritiro della diplomazia, ma l'invio di un inviato speciale nominato dal presidente del consiglio perché aiuti nella ricerca dei responsabili». Tutto il resto, ha concluso, è «un posizionamento con i propri followers».
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