Francesco ci riprova: con l’esortazione apostolica Laudate deum, pubblicata il 4 ottobre, giorno in cui si celebra San Francesco, ha cercato di mettere a punto una seconda parte, una sorta di “sequel”, di Laudato si’.
Ma, come spesso avviene, la seconda puntata della serie non è all’altezza della prima. Se l’enciclica ispirata a San Francesco sganciava definitivamente l’ambientalismo dalla nicchia dello specialismo dal sapore vagamente integralista per farlo entrare di diritto fra le grandi sfide che investono l’umanità del prossimo futuro in tutti i suoi aspetti, in Laudate deum prevale un tono più apocalittico, drammatizzante, in definitiva pessimista sulle possibilità delle società contemporanee di affrontare la crisi climatica.
Allo stesso modo, se il segno sotto il quale è iniziata la grande assemblea sinodale in Vaticano per discutere del futuro della chiesa è appunto la speranza, la capacità di costruire relazioni a di là dei conflitti e delle diversità di opinioni, la nuova esortazione apostolica del pontefice – che pure con l’assise in corso interagisce – è cosparsa di amarezza e frustrazione di fronte al disastro ambientale.
In definitiva, la seconda tappa del papa dedicata alla cura della casa comune, sembra mancare di una profonda «visione, fatta di gran pianura e maggior cielo», per dirla con i versi di un autore amato da Francesco come Jorge Luis Borges.
Cop di Parigi e delusioni
Certo, Laudato si’ uscì a ridosso del summit mondiale sul clima di Parigi del 2015 (la cop 21), durante il quale vennero raggiunti importanti accordi per rallentare il riscaldamento climatico, e anzi l’intervento del papa fu d‘aiuto ai governi che spingevano per l’accordo, a cominciare da quello francese; la situazione odierna è assai differente.
I successivi summit non hanno confermato le volontà espresse a Parigi, sono stati anzi poco produttivi, e come tali vengono per altro descritti un po’ inutilmente nella Laduate deum.
Nel testo dedicato «a tutte le persone di buona volontà», inoltre, quasi nessuno spazio viene dedicato ai tanti esempi di scelte virtuose, in controtendenza rispetto al quadro generale, volte ad arginare la crisi climatica, compiute da Paesi del nord e del sud del mondo, da piccole comunità, da singole regioni o aree metropolitane.
Né, sul versante opposto, si esce dal generico quando si citano gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, dimenticando quali eventi sono stati particolarmente significativi in questi anni (si pensi alla gigantesca alluvione che ha devastato il Pakistan poco più di un anno fa, o agli incendi che hanno colpito nord America e Australia).
Cina e occidente
Il nuovo documento del papa è cosparso da una spolverata populista quando indica in generiche élite globali i nuovi nemici dei bisogni dei popoli, se la prende un po’ con il progresso tecnologico e scientifico colpevole di illudere l’umanità di essere onnipotente e di poter trovare soluzioni per ogni problema, in tal senso lancia un allarme – del tutto fuori contesto – contro l’intelligenza artificiale.
Se la prende con toni sprezzanti con i negazionisti del cambiamento climatico, mette sul banco degli imputati l’economia di mercato, la smania di potere e di guadagno e naturalmente l’occidente. E qui sta forse, dal punto di vista del problema clima, l’errore più grave dal punto di vista scientifico.
I grandi inquinatori del mondo sono infatti Cina, Usa, India, Ue, Russia e Giappone (si vedano per esempio i dati dell’International energy agency o delle stesse Nazioni Unite). Un impasto di paesi emergenti e di classiche superpotenze, con la Cina che detiene nettamente il primato in quanto a emissioni dannose.
È pur vero che ciascuna di queste realtà si sta impegnando a ridurre l’utilizzo di energia derivante dai combustibili fossili, ma appunto, le cose sono più articolate e complesse di quanto non emerga da un terzomondismo un po’ datato che traspare in modo fin troppo evidente tra le righe de testo.
Multilateralismo senza Onu
Più interessante la parte in cui Francesco lancia la proposta di un nuovo multilateralismo, sebbene anche questa resti un po’ confusa. «Il mondo - si legge in proposito - sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale».
«Tutto ciò – si afferma subito dopo - presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace. In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni».
Tuttavia non si capisce bene, in Laudate deum, che fine abbia fatto la storica posizione del Vaticano a favore di una riforma dell’Onu a cominciare dal Consiglio di sicurezza.
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