- «Costruire una nuova stagione». È questo l’obiettivo – annunciato all’apertura dei lavori dal ministro degli Esteri Antonio Tajani – della conferenza.
- Il presidente tunisino Saied è il primo a parlare dei rappresentanti invitati. «Non è più possibile trovare delle soluzioni a questo fenomeno con accordi bilaterali», ha detto, prima di accusare il colonialismo di essere una delle cause scatenati dei flussi migratori.
- La conferenza, però, è anche l’occasione giusta per l’Italia per cercare di convincere alcuni stati africani a votare in suo favore nello scrutinio segreto che si terrà a Parigi a fine 2023.
«Immigrazione» e «cooperazione», sono le due parole più pronunciate dalla premier Giorgia Meloni in occasione della grande conferenza organizzata a Roma sul tema. Manca all’appello il tanto decantato Piano Mattei, diventato oramai uno slogan di politica interna e di cui ancora non c’è traccia.
In una Farnesina blindata e con un «caldo atroce», come rimarcato dal premier libico Abdel Hamid Dbeibeh all’apertura dei lavori, le delegazioni dei venti stati partecipanti alla conferenza sono stati accolti dall’insegna di “Expo 2030”. La conferenza, infatti, è anche l’occasione giusta per l’Italia per cercare di convincere alcuni stati africani a votare in suo favore nello scrutinio segreto che si terrà a Parigi a fine 2023.
Immigrazione
«Costruire una nuova stagione». È questo l’obiettivo – annunciato all’apertura dei lavori dal ministro degli Esteri Antonio Tajani – della conferenza. La premier Meloni ha parlato di “processo di Roma” e ha delineato gli obiettivi del governo italiano: contrastare l’immigrazione illegale, controllare i flussi (visti gli oltre 83mila arrivi da inizio anno), dare sostegno ai profughi e rifugiati, e aumentare i progetti di cooperazione con gli stati africani.
L’ospite d’onore della conferenza, però, è il presidente tunisino Kais Saied che è stato il primo a parlare dei leader invitati alla «grande iniziativa». Saied ha rimarcato la necessità di siglare partenariati strategici come quello siglato lo scorso 16 luglio a Tunisi con l’Unione europea, che ha portato al paese una prima tranche di 255 milioni di euro. «Non è più possibile trovare delle soluzioni a questo fenomeno con accordi bilaterali», ha detto il presidente tunisino, che nel suo discorso ha additato al colonialismo una delle cause scatenati dei flussi migratori.
Il suo obiettivo è ricevere nuovi finanziamenti senza sottostare alla condizioni poste dal Fondo monetario internazionale, che in cambio di un prestito di circa due miliardi di dollari chiede di tagliare i sussidi statali. E proprio per questo, da Roma il presidente tunisino ha lanciato la proposta di creare un nuovo «fondo monetario internazionale che possa essere finanziato dai crediti che vengono cancellati, dai soldi rubati, per gettare le basi per un nuovo sistema».
Nei saluti iniziali ha preso parola anche il premier libico Dbeibeh che punta anche lui a un macro accordo come quello siglato a Tunisi la scorsa settimana. «Ci fa soffrire vedere un migrante lottare contro la morte insieme al suo bambino. I nostri cuori piangono davanti a queste immagini», ha detto Dbeibeh riferendosi alle immagini in cui si vede una donna e sua figlia morti di stenti in mezzo al deserto lungo il confine con la Tunisia.
Dbeibeh assicura di essere pronto a fornire aiuti ai migranti, ma per fare questo servono i soldi dell’Europa. Le dichiarazioni del premier sono però contraddittorie rispetto al trattamento riservato dai servizi di sicurezza libici ai migranti presenti sul territorio.
L’Europa
Se in rappresentanza del governo italiano oltre a Meloni e Tajani erano presenti anche i ministri Salvini e Piantedosi, per Bruxelles sono venuti a Roma il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della commissione Ursula von der Leyen. A Roma sono arrivati anche rappresentanti i governanti di Cipro, Malta e Grecia. Della sponda sud del Mediterraneo è assente solo la Spagna, dove sono in corso le elezioni nazionali.
«Vogliamo che l’accordo con la Tunisia rappresenti un modello da emulare, un modello per il futuro», ha detto von Der Leyen. Un modello ai quali puntano anche i rappresentanti (autocrati o meno) degli altri stati africani arrivati a Roma che sperano di attrarre nuovi investimenti soprattutto nel settore delle energie rinnovabili.
Per questo ai lavori hanno partecipato anche delegazioni di alto livello della Banca Mondiale, della Banca islamica dello sviluppo, della Banca europea degli investimenti e del Fondo monetario internazionale.
Expo 2030
L’occasione, però, è anche quella giusta per cercare di convincere i paesi ancora in dubbio a votare l’Italia come paese ospitante dell’Expo 2030.
Dopo una lunga campagna, Riad ha già dichiarato di avere i 120 voti necessari per aggiudicarsi la vittoria senza andare al ballottaggio, ma il governo italiano spera di riuscire a invertire il risultato finale.
Etiopia e Somalia sono i due paesi che Roma spera di convincere, lo farà durante una serie di incontri bilaterali che si terranno anche in questi giorni alla sede della Fao nella capitale, dove è previsto per il 24-26 luglio un vertice sulla sicurezza alimentare.
Non è un caso se l’Arabia Saudita ha inviato a Roma il suo ministro dell’Interno mentre erano assenti le alte cariche della monarchia saudita. Presente invece il capo di stato degli Emirati Arabi Uniti, interessato a nuovi investimenti in un’Africa che ha sempre più bisogno di soldi.
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