- All’inizio della pandemia da Covid-19 la Corea del Sud fu unanimemente considerata come un modello al quale rifarsi. Ora le cose sono cambiate: gli ospedali sono in sofferenza, c’è chi muore a casa, è stato imposto un coprifuoco.
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A gennaio dovrebbe essere data attuazione a un progetto pilota – che avrà come epicentro Puch’ŏn, una delle città più densamente popolate nelle vicinanze della capitale Seoul – volto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, del riconoscimento facciale e di migliaia di telecamere a circuito chiuso per tracciare i movimenti di coloro che hanno contratto il virus.
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La pandemia ha comunque provocato un crescente sentimento di impotenza in seno alla popolazione sudcoreana, favorendo un processo di frammentazione sociale. Ciò, almeno stando a recenti indagini condotte dalla Seoul National University, avrebbe avuto origine dalla percezione in base alla quale non tutti sarebbero rispettosi delle linee guida e delle restrizioni adottate dal governo.
All’inizio della pandemia da Covid-19 la Corea del Sud fu unanimemente considerata come un modello al quale rifarsi: la celerità della risposta alla diffusione del virus – dovuta anche alle passate esperienze con le sindromi Sars e, soprattutto, Mers – e l’adozione di nuovi metodi tecnologici di contenimento non solo avevano evitato l’applicazione di qualunque forma di lockdown generalizzato nel paese, ma anche limitato il numero dei decessi (sul finire di ottobre 2021 il tasso di decessi in Corea del Sud era di 54 su un milione, mentre la media mondiale era di 628 su un milione).
Anche sul fronte dei vaccini la Corea, dopo un’iniziale esitazione, ha reagito efficacemente, raggiungendo il 92 per cento circa della popolazione adulta con almeno una dose. Negli ultimi tempi, tuttavia, le condizioni sono peggiorate, a causa di un repentino aumento dei contagi e dei decessi: ciò ha imposto l’adozione di un’ordinanza in base alla quale i locali pubblici debbano chiudere tra le nove (ristoranti, bar) e le dieci (cinema, teatri, sale concerti) di sera; il divieto di assembramento; la verifica dello status di vaccinati nei locali pubblici; e la limitazione negli accessi dall’estero a causa dell’aumento dei casi della variante Omicron.
Queste misure, che dovrebbero rimanere in vigore fino a domenica, rappresentano un netto passo indietro rispetto allo schema governativo di “convivenza con il Covid-19” adottato a novembre, in base al quale erano state eliminate praticamente tutte le limitazioni, ad eccezione dell’uso della mascherina.
Morire a casa
La questione che più ha scioccato l’opinione pubblica sudcoreana è stata l’assenza di posti disponibili nelle strutture ospedaliere, dato che la saturazione nei reparti di terapia intensiva ha ormai superato l’80 per cento nell’intero paese. Stando alle statistiche ufficiali, nelle ultime cinque settimane 29 pazienti hanno perso la vita nelle proprie abitazioni senza avere la possibilità di essere ammessi in ospedale, visto che non c’erano posti letto disponibili.
Considerata la situazione, il governo, a partire dai primi di novembre, ha emanato varie direttive in cui si ordina agli ospedali di riservare una quantità maggiore di posti letto a coloro che sono in condizioni critiche a causa del virus. L’incidenza della pandemia, tuttavia, continua a vanificare gli sforzi compiuti dalle autorità visto che il numero dei pazienti che sviluppano sintomi gravi è all’incirca il triplo dei posti letto disponibili allo stato attuale.
Come accaduto in molti altri paesi, coloro che soffrono di altre patologie gravi faticano quindi a rivolgersi agli ospedali per ricevere qualunque tipo di cura. Questa situazione ha provocato grande indignazione nell’opinione pubblica, che ha ferocemente attaccato le autorità governative sostenendo come queste abbiano avuto a disposizione ben due anni di tempo per prepararsi a fronteggiare – aumentando la capacità degli ospedali – una violenta recrudescenza del virus. Persino l’associazione dei medici ha espresso le proprie critiche, sostenendo come le condizioni in cui versa il sistema sanitario del paese mostrino chiaramente come il governo non sia stato capace di anticipare il peggio.
Riconoscimento facciale
A gennaio dovrebbe essere data attuazione a un progetto pilota – che avrà come epicentro Puch’ŏn, una delle città più densamente popolate nelle vicinanze della capitale Seoul – volto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, del riconoscimento facciale e di migliaia di telecamere a circuito chiuso per tracciare i movimenti di coloro che hanno contratto il virus.
Ciò nonostante il fatto che la Corea del Sud fosse già stata, nei mesi scorsi, al centro di forti critiche internazionali a causa della presunta violazione della privacy personale dei propri cittadini, considerato che era già in vigore una sorta di tracciamento legato all’utilizzo delle carte di credito e dei telefoni cellulari.
Il nuovo sistema si baserà su algoritmi e sulla tecnologia del riconoscimento facciale per analizzare una serie di immagini catturate da più di 10mila telecamere a circuito chiuso al fine di tracciare i movimenti delle persone colpite dal virus, con chi queste abbiano avuto contatti e persino se indossassero o meno la mascherina.
Il problema dei dati
Il ricorso a nuove tecnologie per contenere la diffusione del virus non è di certo una novità assoluta, dato che negli ultimi tempi diversi sono stati i paesi – Cina, Russia, India, Giappone e alcuni stati americani – che hanno deciso di adottare, almeno in via sperimentale, questo genere di sistemi di riconoscimento.
L’attuazione di questo nuovo sistema dovrebbe, almeno nelle parole di chi lo ha elaborato, dimezzare il tempo attualmente necessario per l’elaborazione dei dati relativi a un singolo individuo ed eliminare completamente la possibilità di errore nel tracciamento.
Nonostante la popolazione sudcoreana abbia in generale sostenuto con favore l’adozione di pratiche intrusive per favorire l’attenuazione della diffusione del virus, svariate associazioni per i diritti umani e alcuni giuristi hanno espresso i propri timori sulla possibilità che le autorità centrali possano custodire il controllo sui dati incamerati anche ben oltre le necessità imposte dalla pandemia. A tali richiami l’Agenzia di controllo e prevenzione ha risposto seccamente sostenendo come tali tecnologie siano perfettamente legali perché utilizzate nel quadro della normativa per la prevenzione dalle epidemie.
La frattura sociale
La pandemia ha comunque provocato un crescente sentimento di impotenza in seno alla popolazione sudcoreana, favorendo un processo di frammentazione sociale. Ciò, almeno stando a recenti indagini condotte dalla Seoul National University, avrebbe avuto origine dalla percezione in base alla quale non tutti sarebbero rispettosi delle linee guida e delle restrizioni adottate dal governo.
In aggiunta, è necessario sottolineare che la pandemia ha esacerbato una già precaria condizione di frattura sociale dovuta alla perdita di almeno un milione di posti di lavoro, che, in grandissima parte, ha pesato sui lavoratori precari del terziario. L'incapacità del governo di stabilizzare i prezzi ha esacerbato il dualismo economico, rendendo queste diseguaglianze strutturali ancora più acute.
Ci sono sicuramente delle lezioni da imparare guardando alla reazione sudcoreana alla pandemia: malgrado una risposta sanitaria estremamente competente al principio, il virus ha infatti rivelato profonde fragilità sociali e crescenti disuguaglianze. Senza l’adozione di una serie di importanti riforme socioeconomiche non ci potrà essere alcuna ripresa inclusiva e sostenibile. Qualcosa di cui il prossimo governo, che emergerà dalle elezioni di marzo, dovrà certamente occuparsi.
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