- La vera sorpresa del primo turno delle presidenziali francesi è stato Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, che ha ottenuto il 22 per cento.
- Ora una buona parte di quei voti potrebbero però andare a Marine Le Pen.
- Mélenchon e Le Pen condividono alcune battaglie ideali (ad esempio quella antieuropeista). In passato già con Jean-Marie Le Pen si era parlato di gaucho-lepénisme.
Il primo turno delle presidenziali in Francia ha riproposto il duello del 2017 tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Stavolta, però, il primo compete per la successione a sé stesso in un clima politico mutato per eventi interni ed esterni al contesto francese.
Lo stacco fra i due candidati si è accorciato (27,84 per cento Macron, 23,15 per cento Le Pen) facendo fibrillare i sostenitori dell’uno e dell’altra. La vera sorpresa è però Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, sinistra estrema che ha avuto un crescendo costante nel corso di questa campagna.
Un’ascesa legata sia al tratto carismatico del leader, sia perché Mélenchon ha mescolato il suggestivo populismo dello studioso argentino Ernest Laclau,tematiche non più presenti nei programmi e nelle parole dei partiti storici della sinistra.
Così è arrivato terzo (21,95 per cento), perdendo per poco l’ingresso al ballottaggio, ma divenendone protagonista indiretto, arbitro del confronto visto che i suoi voti saranno importanti per ciascuno dei due sfidanti.
Infatti, al di là della sua volontà («Non un voto dei miei deve andare a Marine Le Pen» ha urlato già domenica sera), ciò che conta è altro. Secondo un sondaggio appena uscito il 33 per cento circa dei voti di Mélenchon potrebbe andare a Macron e il 23 per cento circa alla leader del Rassemblement national. Insomma, un bel pacchetto di voti sarebbe in favore della destra estrema. E bisogna capire il perché.
Un antico corteggiamento
Alcune ragioni hanno radici lontane, altre sono legate al momento contingente. Quest’ultime hanno a che vedere con una coincidenza di posizioni da parte delle due forze politiche su alcuni temi. Sia Mélenchon sia Le Pen, infatti, condividono un certo antieuropeismo, l’“antimondialisation” ed entrambi hanno fatto dello slogan “popolo contro le élites” un asse della loro proposta elettorale.
Quelle lontane risalgono invece agli inizi degli anni Novanta, quando il Front national di Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, ha iniziato a raccogliere consensi presso consistenti fasce operaie deluse dalle politiche della presidenza Mitterrand (in quegli anni in “cohabitation” con la destra di Jacques Chirac), tanto da modificare alcune scelte politiche del partito che ha iniziato a impegnarsi con associazioni e organismi per diverse “couches” (strati) sociali.
Inoltre molti militanti usciti dal Partito comunista francese (Pcf), delusi dalla sua impotenza politica, sono confluiti nel Fn, convinti di trovare con esso la via per un riscatto sociale e l’affermazione di diritti negati.
Non a caso Le Pen padre aveva affidato a un fuoriuscito del Pcf, André Barthelemy, l’organizzazione della struttura del partito che ricalcava quella dei partiti comunisti e seguiva il modello di partito di massa con una precisa articolazione sul territorio e una gerarchizzazione dei ruoli al suo interno.
All’epoca si parlava di gaucho-lepénisme, un fenomeno singolare per il panorama francese che riproponeva in certo modo, e lo fa anche oggi, il principio hegeliano degli opposti che si toccano.
Non c’è dubbio quindi che questo elemento sia presente anche nel Rassemblement di Marine Le Pen che è erede in tutti sensi del vecchio partito, continuatrice di un impero politico che ha saputo abilmente modellare fra continuità e mutamento. E parimenti non c’è dubbio che fra gli elettori di Melénchon ve ne sia una parte sensibile al richiamo dell’appello populista della destra estrema.
Dopotutto questo primo turno è stato un vero sconvolgimento all’interno della V Repubblica. Il sistema della “quadriglia bipolare” che caratterizzava il sistema partitico in seguito alla “rivoluzione” costituzionale di Charles de Gaulle, si è sbriciolato a vantaggio dei partiti estremi, fuori dai poli, sia a destra sia a sinistra, lasciando con percentuali irrisorie i socialisti e i repubblicani. Mentre gli ecologisti di Yannick Jadot non hanno sfondato come in altri paesi europei. Non solo, come dimostra il tasso di astensione, ricompaiono l’incertezza e il “declinisme” francese.
Rimane un grande spazio al centro che Macron era riuscito a conquistare, nel 2017, puntando sull’effervescenza del suo movimento En Marche. Un moderno centauro che mostrava il soffio agile del rinnovamento e faceva però leva sul vecchio notabilato. La destra e la sinistra erano state sbaragliate e inglobate nel suo progetto di rinnovamento. Ora, dopo una presidenza discussa e tormentata, Macron deve riuscire, con più difficoltà, a riconquistare quel grande centro per conquistare un nuovo quinquennato all’Eiseo.
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