Il piano di deregulation, l’ondata di licenziamenti e il primo malcontento popolare. E l’immagine già comincia a logorarsi. La missione per ritornare a un paese senza diritti, senza Stato assente e senza opposizione. Che piace agli imprenditori
Il presidente argentino, già noto in campagna elettorale come “l’uomo della motosega”, dopo l’insediamento del 10 dicembre 2023 ha continuato a esibire senza freni il suo personaggio con l’ossessiva presenza in rete fatta di centinaia di tweet ogni giorno: si calcola che passi fino a sette ore aggrappato al cellulare. Ma, a suo modo, governa.
Nei suoi primi cento giorni è riuscito a litigare con il parlamento, con i governatori delle province e con alcuni ministri che ha messo alla porta; dice di avere una “missione”. Ma quanto durerà il consenso popolare raccolto in una stagione sulfurea di talk show e insulti alla casta? Per ora è sostenuto da settori economici e finanziari e frange popolari che parlano il suo stesso linguaggio. Rivendica la dittatura militare, attingendo così ai giovanissimi, indifferenti alla disputa con il Regno Unito per la sovranità delle isole Malvinas, tema invece caro ad altre generazioni di argentini.
In Italia la sua elezione è stata accolta con una sorta di senso di inevitabilità, considerato il dissesto economico e una non ben identificata corruzione dilagante: nella lettura europea, l’inflazione galoppante e il debito crescente hanno origine nel peronismo, accostato al fascismo di Mussolini. Così molti commentatori confidano che la “cura Milei” sia salutare, pazienza per i diritti umani. La retorica anticasta coincide con l’antistatalismo che piace agli economisti che salutano la creazione del primo disavanzo nelle finanze pubbliche. Pazienza per i costi sociali.
Dietro il presidente si muove un mondo sconosciuto anche ai suoi elettori: la congrega di avvocati, operatori finanziari e ceo che ha redatto il documento poi trasformato nel Dnu, Decreto Necessità e Urgenza, firmato dal presidente prima di Natale, annunciato come una terapia-shock per liberalizzare l’economia: una gigantesca deregulation in 366 articoli che inciderebbe profondamente nella natura stessa dello Stato argentino.
Uno dei settori più ambiti è quello dell’energia e idrocarburi. I risultati si sono visti subito: benzina e carburanti hanno registrato un aumento del 121 per cento in 40 giorni. I beneficiari sono Tecpetrol SA, del Gruppo Techint della famiglia Rocca, Pae di Marcos Bulgheroni, Exxon, Chevron e Axion Energy.
La Unión Industrial Argentina (l’equivalente di Confindustria) ha contribuito – tramite il suo titolare, l’avvocato Funes de Rioja – alla redazione del capitolo IV del Dnu, quello che punta alla precarizzazione del lavoro. Funes de Rioja è esperto in materia: è stato il rappresentante dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro ai tempi di Videla.
Il Dnu smonta la legislazione che protegge l’ambiente, la “Ley de Bosques”: i beneficiari sono l’impresa Cresud di Eduardo Elsztain, che possiede quasi un milione di ettari di bosco, l’ex presidente Maurizio Macri tramite la sua Socma, e l’attuale ministro dell’economia Luis Caputo: potranno disboscare e passare a soia o allevamenti.
La Cámara de Comercio Argentino-Norteamericana (Amcham) è presieduta dal ceo di JP Morgan con i suoi azionisti principali, i fondi di investimento, azionisti dei gestori dei tre principali impianti di litio. Il segretario di Stato Usa Blinken ha incontrato Milei il 23 febbraio per «consolidare i rapporti di amicizia fra i due paesi». E assicurare al suo un trattamento speciale sul litio.
La Asociación Empresaria Argentina (Aea) rappresenta i principali gruppi economici del paese, e comprende il Gruppo Modena-Fiat. Uno dei vice presidenti è Héctor Magnetto del potente gruppo mediatico Clarín, nemico di Cristina Kirchner.
Il prestito e il debito
Di fronte all’immediato costo sociale, la domanda è come sia possibile che larga parte degli strati più deboli abbia votato Milei. Il ciclo politico di crescita e inclusione sociale iniziato con i Kirchner è finito il 9 dicembre 2015 quando è eletto il presidente Mauricio Macri. Nei primi due anni l’inflazione però sale al 40 per cento, il Pil cala del 10, i poveri crescono fino a 1.500.000 e gli indigenti a 600mila. Crollano i consumi, la produzione cala. Le mobilitazioni popolari si fanno quotidiane.
La rielezione di Macri si presenta difficile: l’aiuto arriva dal Fondo Monetario, allora presieduto da Christine Lagarde, col beneplacito dell’amministrazione Trump: nel giugno 2018 viene concesso a Macri un prestito di 47mila milioni di dollari, avviando l’ennesimo ciclo di indebitamento.
I fondi però sono poi evaporati senza lasciare traccia. Alcuni media hanno pubblicato la lista delle cento grandi imprese che hanno portato fondi all’estero: guarda caso, sono i sostenitori dell’attuale presidente.
Vince il candidato del “Frente de Todos”, Alberto Fernández, con Cristina Kirchner vicepresidente. Ma le speranze vanno deluse: prima il Covid, poi la siccità e infine la guerra in Ucraina complicano il già arduo compito di risollevare il paese: si tenta di rinegoziare il pagamento al Fmi senza risultati, la grande distribuzione con aumenti ingiustificati alimenta l’inflazione. Le differenze tra il presidente e la vicepresidente diventano pubbliche, il malcontento comincia a crescere: ed è qui che nei talk show comincia a farsi notare Javier Milei, con un’intensa campagna anti casta, diventando così L’Uomo della Motosega.
Italiani d’Argentina
Per anni un gruppo di imprese italiane si è aspramente opposto ai governi Kirchner: imprese che non hanno mai visto di buon occhio tasse e vincoli alle esportazioni. Forse il più noto di questi imprenditori è Paolo Rocca, di Techint Argentina. Sostenitore di Milei, oggi alcuni dei suoi manager occupano alte cariche al ministero del lavoro e nella Ypf, la compagnia petrolifera nazionale argentina. Il Gruppo petrolifero argentino Pae (Pan American Energy) è guidato da Alejandro e Marcos Bulgheroni. Alejandro è un importante investitore nel vino italiano.
Eduardo Eurnekian, titolare della Corporación América è un argentino di origini armene. Controlla il 60 per cento di Toscana Aeroporti; Milei ha lavorato in una delle sue imprese. Cristiano Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli e Urbano Rattazzi, dopo 50 anni nel Gruppo Fiat Argentina, oggi gestisce Modena, impresa di elicotteri, ed è un altro sostenitore di Milei. E all’elenco degli amici del presidente non può mancare il cognome Benetton, padroni della “Compañía de Tierras Sur Argentino” che possiede 941mila ettari di campi e foreste nella Patagonia; quello della persecuzione giudiziaria contro le famiglie Mapuche che occupavano piccoli terreni nella terra comprata dai Benetton.
Per l’Italia l’Argentina è il paese della crisi permanente e dei default a catena. Eventi che sono espressione di un scontro frontale: da una parte le oligarchie legate ai capitali esteri, dall’altra la controparte che integra il mondo del lavoro e della piccola impresa, settore che si è espresso storicamente nel peronismo, movimento che ha però coltivato profonde contraddizioni.
Oggi il primo blocco sociale vede in Milei un personaggio capace di portare lo scontro fino alle ultime conseguenze. Il presidente persegue le sue ossessioni, come “deficit zero”, e per riuscirci ha congelato salari e liberalizzato i prezzi, tagliato enti della cultura e del welfare, provocando un’ondata di licenziamenti. Ora la domanda è: di quanto tempo dispone il presidente per portare a termine la sua “missione”?
La clessidra e la motosega
Il programma di Milei non punta a risolvere i problemi del paese con gli stimoli al mercato e risanando le falle del sistema; vuole una nuova Argentina senza diritti per la stragrande maggioranza dei cittadini, con uno Stato assente, un parlamento docile, sindacati dimezzati e organizzazioni dei diritti umani ridotte al silenzio. Per il momento l’opposizione parlamentare ha retto l’urto sul Dnu ma si divide tra il bisogno di confrontarsi col governo o lasciare che i fatti logorino l’immagine del presidente.
Nel frattempo l’opposizione sociale comincia a muoversi. La prima contestazione viene dal mondo del lavoro: la Cgt, storica sigla sindacale, il 24 gennaio ha convocato lo sciopero generale: la partecipazione è stata altissima. Lo scorso 24 marzo, all’anniversario del golpe, nella giornata della Memoria, Buenos Aires si è riversata in piazza contro il negazionismo di governo sulla contabilità desaparecidos: ma la presenza massiccia dei sindacati ha reso evidente che nella memoria argentina c’è anche il piano economico della giunta militare. E ricorda da vicino quello della motosega.
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