Adattabilità, logistica e qualità sono la forza dell’industria cinese, che fa il boom di esportazioni. Mentre gli Usa possono chiudersi, l’Ue no: l’automotive tedesca è troppo integrata con quella di Pechino
Il prossimo paese ad alzare un muro contro le auto made in China potrebbe essere il Brasile, dove l’Anfavea, l’associazione che rappresenta – tra le altre – Ford, Volkswagen e Honda sta premendo sul presidente Lula affinché sia avviata un’inchiesta anti-dumping sui produttori cinesi. L’accusa è la stessa che l’anno scorso ha indotto la Commissione europea a imporre dazi fino al 45,3 per cento sui veicoli elettrici importati dalla Cina: Pechino viola le regole, “inondando” i mercati globali di automobili sottocosto.
Nel 2024 nell’Ue sono state vendute 14 milioni di macchine. Secondo i dati di Jato, solo il 4,9 per cento di quelle consegnate nell’Europa a 28 (Regno Unito incluso) arrivava dalla Cina. Per trovare una compagnia cinese nella classifica delle vendite bisogna scendere al trentunesimo posto, dove c’è il colosso Byd (50.265 unità, +216 per cento rispetto al 2023). In Brasile – sesto mercato globale – erano cinesi circa il 10 per cento dei 2,6 milioni di unità vendute nel 2024.
La capacità produttiva della Cina – 40 milioni di auto con motore a combustione interna (Ice) e 20 milioni di veicoli a nuova energia (Nev) – è superiore alla metà della domanda globale attuale (90 milioni di auto). Ma il mercato interno nel 2024 ha assorbito circa 25 milioni di unità. Di conseguenza i produttori hanno bisogno di sbocchi all’estero.
La Cina è passata così da esportare un milione di macchine nel 2020 a sei milioni nel 2024. Il timore dei “vecchi” marchi americani, europei e asiatici, è che mercati storicamente regionali come quelli dell’automotive vengano tutti conquistati dalle cinesi, imbattibili nella produzione dei Nev, al centro della transizione green.
Tuttavia, fermarne l’avanzata è una fatica di Sisifo, perché la forza delle aziende cinesi – oltre che nel sostegno statale – risiede in un’adattabilità, logistica e qualità fuori dal comune. A meno di blindarsi con tariffe del 100 per cento e vietare la costruzione di impianti, come ha fatto Joe Biden (sulle fabbriche cinesi Trump si è al contrario mostrato possibilista). L’Europa non può farlo, perché per Bruxelles – e, in particolare, per Berlino – la Cina è un partner economico-commerciale troppo importante, e perché l’industria dell’automotive tedesca è troppo integrata con quella cinese.
Non solo sussidi
Il grosso degli incentivi governativi è arrivato negli anni passati, quando (a partire dal 2015) il piano “Made in Cina 2025” ha inserito quello Nev tra i settori strategici della manifattura nazionale. Per il 2025 sono stati confermati sussidi da 20mila yuan (circa 2.600 euro) per ogni veicolo rottamato per comprare un Nev.
A cui si sommano i forti sconti con i quali da tre anni una quarantina di brand stanno combattendo una guerra dei prezzi per conquistare il mercato interno, destinata a decimarli. Secondo gli analisti cinesi, sopravviveranno solo una manipolo di big: Byd, Chery, Nio, Li, Aito (Huawei) e qualche altro.
Chery l’anno scorso ha venduto all’estero circa la metà (1.144.588) del totale delle auto consegnate (2.603.916). Ma la casa di Wuhu è il primo esportatore nazionale, tutte le altre sono molto meno internazionali: Byd, ad esempio, ha esportato circa un decimo (417.204) dei Nev venduti (4.272.145). Ciò evidenzia che i marchi cinesi non sono ancora riconosciuti all’estero.
La loro adattabilità si manifesta nella capacità di sfornare centinaia di modelli diversi e in quella di cambiare marcia: ad esempio tornando a scommettere sulle ibride, dopo che i consumatori cinesi si sono fatti prendere dall’ansia di ricarica e i dazi dell’Ue hanno colpito solo le elettriche pure (per adesso).
Una dimostrazione della potenza della logistica cinese è andata in scena a fine anno, quando – in vista di possibili tariffe – nei porti brasiliani sono state ammassate 70mila auto (quattro mesi d’inventario di Byd e Great Wall). Byd, che ha il suo punto di forza in una integrazione verticale molto spinta (quasi tutti i componenti vengono fabbricati all’interno della compagnia), può contare su un’intera flotta di navi ro-ro (carico-scarico), tra le quali la “Shenzhen” può ospitare fino a 9.200 automobili.
Le cinesi hanno vinto anche grazie alle batterie (circa un terzo del costo delle auto elettriche), scommettendo su quelle al litio ferro fosfato (Lfp), che si sono dimostrate più performanti di quelle agli ioni di litio. Ora stanno rilanciando puntando sui sistemi di guida autonoma e sui software all’avanguardia.
DistrettiL’eccezione tedesca
Mentre gli Usa (e il Canada) si sono chiusi, l’Ue ha varato dazi inefficaci. E al suo interno spicca l’eccezione della Germania, che ha scelto la via della collaborazione con l’industria cinese dell’auto.
Per espandere la sua presenza nel settore in un paese dove può vantare 39 impianti, 90mila dipendenti e 50 milioni di automobilisti che guidano un veicolo del gruppo, Volkswagen ha messo in atto una politica che punta sulla cooperazione con e sull’acquisizione di aziende locali all’avanguardia nelle tecnologie chiave per i Nev.
Il cuore pulsante della nuova strategia del gruppo di Wolfsburg è il suo mega impianto di Hefei (nella provincia dello Anhui), un investimento da 2,5 miliardi di euro, all’interno del quale c’è la più grande struttura di sviluppo della compagnia al di fuori della Germania, che dovrebbe essere pronta nel 2026 e aiutare Volkswagen ad avvicinarsi alla media dei brand cinesi di un nuovo modello ogni 2,5 anni (attualmente VW è ferma a uno ogni quattro anni).
Volkswagen ha stretto una partnership strategica con XPeng su piattaforma e software, che permetterà di mettere a fattore comune le competenze ingegneristiche VW e la tecnologia per veicoli intelligenti del produttore di Nev con stabilimenti nella provincia meridionale del Guangdong.
A partire dall’anno prossimo, la joint-venture Volkswagen Anhui produrrà due modelli a marchio VW frutto di questa sinergia. Il colosso tedesco ha anche acquisito la maggioranza di Gotion High-Tech, compagnia cinese leader nella produzione di batterie. Il 16 settembre 2023 quest’ultima ha avviato la produzione di batterie (per veicoli passeggeri elettrici e sistemi di stoccaggio di energia) nell’impianto di Gottinga, in Bassa Sassonia, al centro della Germania.
Nel dicembre 2023 l’unità software Volkswagen Cariad ha annunciato la creazione di una joint-venture, chiamata Carizon, con Horizon Robotic, azienda pechinese all’avanguardia nello sviluppo della guida autonoma e di Advanced Driver Assistance Systems (Adas).
Regole comuni
Sempre nella direzione di offrire sul mercato cinese auto elettriche in linea con le aspettative dei consumatori cinesi va la joint-venture (annunciata il 13 aprile 2023) tra Cariad (49 per cento) e la pechinese ThunderSoft (51 per cento), specializzata in sistemi di connettività e infotainment che premetterà a VW lo sviluppo di abitacoli intelligenti e connessi. Durante l’ultima visita a Pechino del cancelliere tedesco Olaf Scholz (13-16 aprile 2024), Cina e Germania hanno sottoscritto una dichiarazione d’intenti per la cooperazione sulla guida autonoma e connessa. Si tratta di un memorandum – sostenuto dall’associazione dei produttori tedeschi di auto VDA – col quale la seconda e la terza economia del pianeta s’impegnano a lavorare assieme su standard e regole comuni sulla gestione dei dati, per risparmiare risorse nelle fasi di sviluppo e produzione dei veicoli autonomi e connessi.
Da parte loro, i produttori cinesi sono pronti a investire negli impianti tedeschi che Volkswagen ha in programma di dismettere, in particolare in quelli di Dresda e Osnabrueck, che impiegano 340 e 2.300 lavoratori rispettivamente e dei quali VW ha annunciato la chiusura nel 2025 e nel 2027.
Secondo i “pessimisti” questa strada alternativa – alla chiusura statunitense e alla linea incerta dell’Ue – intrapresa dalla Germania non potrà che condurre in una direzione: l’avvento di macchine ufficialmente europee, ma con powertrain e batteria cinese. Una rivoluzione rispetto alle vecchie joint-venture, nelle quali erano i paesi più avanzati a fornire tecnologia alla Cina.
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