- Il 12 luglio del 2021 Vladimir Putin ha pubblicato un saggio dal titolo “Sull’unità storica di russi e ucraini”.
- «Il muro che negli ultimi anni si è innalzato tra Russia e Ucraina, tra parti che essenzialmente sono lo stesso spazio storico e spirituale – scrive Putin –, è a mio avviso la nostra più grande sventura e disgrazia».
- È importante rileggere oggi quelle parole alla luce di ciò che sta accadendo in Ucraina.
Durante la recente “Linea diretta”, quando mi è stato chiesto delle relazioni tra Russia e Ucraina, ho risposto che i russi e gli ucraini sono un popolo solo, una cosa sola. Queste parole non erano dettate da considerazioni di breve respiro, o suggerite dal contesto politico attuale.
Ho ripetuto ciò che ho detto in svariate occasioni e in cui credo fermamente. Per questo ritengo necessario spiegare la mia posizione più nel dettaglio e chiarire la mia visione della situazione attuale.
Innanzitutto vorrei sottolineare che il muro che negli ultimi anni si è innalzato tra Russia e Ucraina, tra parti che essenzialmente sono lo stesso spazio storico e spirituale, è a mio avviso la nostra più grande sventura e disgrazia.
Si tratta innanzitutto di conseguenze dei nostri errori, commessi in diversi momenti. Ma sono anche il risultato delle azioni deliberate di forze che hanno sempre cercato di minare la nostra unità. Praticano il divide et impera da sempre. Non c’è nulla di nuovo. I tentativi di fare leva sulla questione nazionale e seminare discordia all’interno di un popolo hanno lo scopo ultimo di dividere e di mettere le parti di un unico popolo le une contro le altre.
Guardare la storia
Per comprendere il presente e scrutare il futuro bisogna guardare la storia. È impossibile ripercorrere in quest’articolo eventi accaduti nel corso di oltre un millennio. Mi limiterò dunque ai momenti decisivi che è importante richiamare alla memoria, sia in Russia sia in Ucraina.
Russi, ucraini e bielorussi discendono dall’antica Rus’, che all’epoca era il più grande stato in Europa. Gli slavi e le altre tribù che vivevano in questo vasto territorio – da Làdoga, Novgorod e Pskov a Kiev e Černigov – erano uniti da un’unica lingua (che oggi chiamiamo russo antico), da relazioni economiche, dal governo dei principi della dinastia dei Rjurik e – dopo il battesimo della Rus’ – dalla fede ortodossa. La scelta spirituale fatta da san Vladimir, principe di Novgorod e granduca di Kiev, determina ancora oggi la nostra affinità.
Il trono di Kiev occupava una posizione dominante nell’antica Rus’. È stato così dal tardo Nono secolo. La Cronaca degli anni passati ha condensato per gli anni a venire le parole di Oleg il profeta su Kiev: «Che sia la madre di tutte le città russe». In seguito, come altri stati europei dell’epoca, l’antica Rus’ ha attraversato una fase di declino del governo centrale e una crescente frammentazione. Al tempo stesso la nobiltà e la gente comune percepivano la Russia come spazio comune, la loro patria.
La frammentazione si è intensificata dopo la feroce invasione di Batu Khan, che devastò tante città, tra cui Kiev. La parte nord-orientale della Rus’ finì sotto il controllo dell’Orda d’oro, ma mantenne una sovranità limitata.
I territori meridionali e occidentali della Russia divennero parte del Granducato di Lituania, che significativamente è chiamato nelle fonti storiche il Granducato di Lituania e Russia.
I membri della nobiltà e i clan dei boiardi passavano da un principe all’altro, lottando tra loro ma anche stringendo amicizie e alleanze. Il voivoda di Volinia Bobrok e i figli del granduca di Lituania Algirdas – Andreij di Polock e Dimitrij di Brjansk – combatterono al fianco del granduca di Mosca Dmitrij Ivanovič sul campo di battaglia di Kulikovo.
Allo stesso tempo, il granduca di Lituania Jogaila, figlio della principessa di Tver – unì le sue truppe a quelle del can mongolo Mamaj. Tutte queste cose fanno parte della nostra storia comune, ne riflettono la natura complessa e multidimensionale.
Lingua e religione
È importante notare che sia nei territori russi occidentali che in quelli orientali si parlava la stessa lingua. La religione era quella ortodossa. Fino alla metà del XV secolo la chiesa ortodossa rimase unificata.
Nella fase successiva, la Rus’ di Lituania e la Rus’ di Mosca si contesero il ruolo di polo d’attrazione dei territori dell’antica Rus’. Mosca divenne il centro della riunificazione, continuando la classica tradizione statuale russa. Furono i principi moscoviti – discendenti di Aleksandr Nevskij – a porre fine al giogo straniero e a riunificare i territori storicamente russi.
Nel Granducato di Lituania andavano in scena dinamiche diverse. Nel XIV secolo la classe dirigente locale si convertì al cattolicesimo. Nel XVI secolo venne siglata l’Unione di Lublino con il Regno di Polonia, che sancì la nascita della Confederazione polacco-lituana.
La nobiltà cattolica polacca ricevette considerevoli proprietà fondiarie e privilegi nel territorio della Rus’. In conformità con l’Unione di Brest del 1596, parte del clero ortodosso della Russia occidentale si sottomise all’autorità del papa. Il processo di polonizzazione e latinizzazione iniziò, e l’ortodossia fu destituita.
Di conseguenza, nel corso del XVI e del XVII secolo il movimento di liberazione della popolazione ortodossa divenne particolarmente forte nella regione del Dnepr. Gli eventi accaduti all’epoca dell’atamano Bogdan Chmelnickij, i cui seguaci lottarono per l’autonomia dalla Confederazione polacco-lituana, sono stati un momento di svolta.
La Confederazione polacco-lituana
Nell’appello del 1649 al re della Confederazione polacco-lituana, l’Etmanato cosacco chiedeva il rispetto dei diritti della popolazione russo-ortodossa, l’assegnazione a un russo di rito greco della carica di voivoda di Kiev e la fine delle persecuzioni religiose.
Ma i cosacchi non ascoltarono tali richieste. Bogdan Chmelnickij le inoltrò dunque a Mosca, che invece le prese in considerazione. Il 1° ottobre 1653 i membri del massimo organo rappresentativo dello stato russo, lo Zemskij Sobor, decisero di sostenere i loro fratelli di fede e di porli sotto la propria tutela. Nel gennaio del 1654 il trattato di Perejaslav confermò tale scelta.
Successivamente, gli ambasciatori di Chmelnickij e di Mosca visitarono decine di città, tra cui Kiev, nelle quali le popolazioni fecero professione di lealtà allo zar russo. Nulla del genere era accaduto dopo la firma dell’Unione di Lublino.
In una lettera inviata a Mosca nel 1654 Chmelnickij ringraziava Aleksej Michajlovič per aver preso «l’intero Etmanato cosacco e l’intero mondo russo-ortodosso sotto l’alta e potente autorità dello zar». Significa che negli appelli al re di Polonia e allo zar di Russia i cosacchi si definivano russo-ortodossi.
Nel corso della lunga guerra tra la Russia e la Confederazione polacco-lituana, alcuni successori di Chmelnickij si “separarono” da Mosca o cercarono sostegno da Svezia, Polonia e Turchia. Ma per la gente si trattava di una guerra di liberazione.
Al conflitto pose fine nel 1667 la tregua di Andrusovo. Il risultato definitivo fu sancito dal trattato di pace perpetua del 1686. Lo stato russo incorporò Kiev e i territori sulla riva sinistra del Dnepr, incluse le regioni di Poltava, Černigov e Zaporože. Le popolazioni vennero così riunite alla parte principale del mondo russo-ortodosso. Questi territori erano detti della “piccola Russia” (Malorossija).
“Presso il confine”
Il nome Ucraina veniva perlopiù usato con il significato dell’antico lemma russo “okraina” (letteralmente: “Presso il confine”), rinvenuto in fonti scritte del XII secolo in riferimento a diversi territori di frontiera. Analogamente, in base alla documentazione storica, l’aggettivo “ucraino” si riferiva in origine alle guardie di confine.
Sulla riva destra del Dnepr, rimasta sotto la sovranità della Confederazione polacco-lituana, vennero ripristinati i vecchi ordinamenti e la repressione sociale e religiosa divenne più intensa.
I territori sulla riva sinistra del fiume, invece, sotto la protezione dello stato unificato, conobbero un periodo di rapido sviluppo. Dalla sponda opposta migrarono in massa, cercando sostegno da chi parlava la loro stessa lingua e professava la loro stessa fede.
Durante la grande guerra del nord contro la Svezia, gli abitanti della Malorossija non ebbero alcun dubbio sulla parte dalla quale schierarsi. Solo un piccolo gruppo di cosacchi sostenne la ribellione di Mazepa. Le persone di tutti i ranghi si consideravano russi e ortodossi.
Gli alti ufficiali cosacchi, appartenenti alla nobiltà, raggiunsero in Russia l’apice delle loro carriere politiche, diplomatiche e militari. Gli studenti dell’Accademia Kyiv Mohyla giocarono un ruolo di primo piano nella vita ecclesiastica. Era stato così durante l’Etmanato – una formazione statuale sostanzialmente autonoma caratterizzata da una peculiare struttura interna – e fu così successivamente nell’impero russo.
Gli abitanti della Malorossija contribuirono in molti modi diversi alla costruzione di un grande paese comune, all’organizzazione della sua statualità e al suo sviluppo scientifico e culturale. Presero parte all’esplorazione e allo sviluppo della regione degli Urali, della Siberia, del Caucaso e dell’Estremo Oriente. Non a caso, durante il periodo sovietico, gli ucraini hanno ricoperto posizioni di vertice, inclusa quella più elevata. Basti ricordare che Nikita Chruščëv e Leonid Brežnev, le cui carriere partitiche avevano una dimensione prevalentemente ucraina, guidarono il Partito comunista dell’Unione sovietica (Pcus) per quasi trent’anni.
La Nuova Russia
Nella seconda metà del diciottesimo secolo, in seguito alle guerre con l’impero ottomano, la Russia incorporò la Crimea e i territori della regione del mar Nero, che divennero noti come Nuova Russia (Novorossija) e vennero popolati da persone provenienti da tutte le province russe.
Dopo la partizione della Confederazione polacco-lituana, l’impero russo recuperò gli antichi territori russi occidentali a eccezione della Galizia e della Transcarpazia, che divennero parte dell’impero austriaco, successivamente austro-ungarico.
L’annessione dei territori russi occidentali nell’impero non fu il mero risultato di decisioni politiche e diplomatiche. Alla sua base c’erano la comunanza di fede, le tradizioni culturali comuni e – voglio sottolinearlo ancora una volta – l’affinità linguistica.
Già all’inizio del diciassettesimo secolo Joseph Rutskij, membro della gerarchia della chiesa uniate, spiegava a Roma che gli abitanti della Moscovia consideravano fratelli i russi della Confederazione polacco-lituana, che la loro lingua scritta era assolutamente identica e che le differenze nelle rispettive lingue colloquiali erano insignificanti. Faceva un’analogia tra i romani e i bergamaschi, che come sappiamo sono il centro e il nord dell’Italia moderna.
Molti secoli di frammentazione e separazione in stati diversi hanno naturalmente dato luogo a peculiarità linguistiche regionali, che a loro volta hanno generato idiomi locali. Questi ultimi hanno arricchito la lingua letteraria, soprattutto grazie a Ivan Kotljarevskij, Grigorij Skovorod e Taras Ševčenko. Le loro opere sono il nostro patrimonio letterario e culturale comune.
Taras Ševčenko scriveva versi in ucraino e prosa principalmente in russo. I libri di Nikolaj Gogol’, patriota russo nato a Poltava, sono scritti in un russo pieno di espressioni e modi di dire tipici della Malorossija. Come è possibile separare il patrimonio comune tra Russia e Ucraina? Soprattutto, perché farlo?
I territori sudoccidentali dell’impero russo – la Malorossija e la Novorossija – e la Crimea si svilupparono come entità caratterizzate da una grande varietà etnica e religiosa. In queste aree vivevano tatari, armeni, greci, ebrei, caraiti, krymchak, bulgari, polacchi, serbi, tedeschi e altri popoli, che preservarono le loro rispettive fedi, tradizioni e usanze.
Non ho intenzione di idealizzare nulla. È noto che la circolare Valuev del 1863 e in seguito l’Ems Ukaz del 1876 imposero restrizioni alla pubblicazione e all’importazione di testi religiosi e sociopolitici in lingua ucraina. Ma è importante non perdere di vista il contesto storico di allora.
Tali decisioni furono prese sullo sfondo dei drammatici eventi che avevano luogo in Polonia e del desiderio dei capi del movimento nazionale polacco di sfruttare a proprio vantaggio la “questione ucraina”. Aggiungo poi che romanzi, libri di poesie e brani popolari erano esclusi dalle restrizioni alla pubblicazione.
La Prima guerra mondiale
Ci sono prove oggettive del fatto che l’impero russo ha visto il processo di sviluppo dell’identità culturale della Malorossija dispiegarsi all’interno della grande nazione russa che univa gli abitanti della “grande” Russia (velikaja) , della “piccola” Russia (malaja) e della Russia “bianca” (belaja, per Bielorussia).
Al tempo stesso, tra l’élite polacca e parte dell’intelligenzia della Malorossija iniziava a prendere forma l’idea di un popolo ucraino come nazione separata dalla Russia. Dal momento che questa tesi non si fondava su alcuna base storica, perché non poteva esserlo, la si cercò di provare con qualsiasi pretesto.
Ci si spinse perfino a sostenere che i veri slavi fossero gli ucraini e non i russi, i moscoviti. “Ipotesi” simili diventarono sempre più armi usate per scopi politici dagli stati europei.
Dalla fine del diciannovesimo secolo le autorità austro-ungariche si sono appropriate di questa narrazione per contrastare sia il movimento nazionale polacco, sia i sentimenti pro Mosca in Galizia.
Durante la Prima guerra mondiale Vienna contribuì alla formazione della cosiddetta Legione dei fucilieri ucraini Sič. I galiziani sospettati di simpatizzare per la cristianità ortodossa e per la Russia furono vittime di una brutale repressione e rinchiusi nei campi di concentramento di Thalerhof e Terezín.
Gli sviluppi successivi comprendono il collasso degli imperi europei, la feroce guerra civile che scoppiò nel vasto territorio dell’ex impero russo e gli interventi stranieri. Dopo la rivoluzione di febbraio, nel marzo 1917, a Kiev fu istituita la Centralna Rada, pensata per essere l’organo più alto del potere. Nella Terza Universale, emanata nel novembre 1917, venne sancita la nascita della Repubblica popolare ucraina, parte della Russia.
L’indipendenza ucraina
Nel dicembre 1917 i delegati della Repubblica arrivarono a Brest-Litovsk, dove la Russia sovietica stava negoziando con la Germania e i suoi alleati. Durante la riunione del 10 gennaio 1918 il capo della delegazione ucraina proclamò l’indipendenza dell’Ucraina. Successivamente la Centralna Rada proclamò l’Ucraina indipendente nella Quarta Universale.
L’indipendenza fu però di breve durata. Solo poche settimane dopo, i membri della Rada firmarono un trattato separato con i paesi del blocco tedesco. Germania e Austria-Ungheria versavano in una situazione disperata e avevano bisogno del “pane e formaggio” ucraini.
Allo scopo di assicurarsi vasti rifornimenti, ottennero il permesso di inviare truppe e personale tecnico nel territorio della Repubblica popolare. In realtà, si trattava di un pretesto per l’occupazione dei territori.
Coloro che oggi hanno ceduto il pieno controllo dell’Ucraina a forze esterne farebbero bene a ricordare che la decisione del 1918 si rivelò fatale per il regime di Kiev. Con il diretto concorso degli occupanti, la Centralna Rada fu esautorata e l’atamano Pavlo Skoropadskij fu portato al potere, al posto della Repubblica popolare ucraina fu proclamato lo Stato ucraino, che essenzialmente era un protettorato tedesco.
Dopo gli eventi rivoluzionari del novembre 1918 in Germania e in Austria-Ungheria, Skoropadskij perse il sostegno delle baionette tedesche e scelse una strada diversa, affermando che l’Ucraina avrebbe dovuto «prendere l’iniziativa per formare una Federazione di tutti i russi».
Il direttorato
Ma di lì a poco il regime sarebbe presto cambiato di nuovo. Era il momento del cosiddetto direttorato. Nell’autunno 1918 i nazionalisti ucraini proclamarono la nascita della Repubblica Popolare dell’Ucraina occidentale e nel gennaio 1919 annunciarono la sua unificazione con la Repubblica popolare ucraina.
Nel luglio 1919 gli ucraini vennero tuttavia sconfitti dall’esercito polacco e il territorio dell’ex Repubblica popolare dell’Ucraina occidentale passò sotto la sovranità della Polonia.
Nell’aprile 1920 Symon Petljura, oggi ricordato in Ucraina come “eroe”, per conto del direttorato della Repubblica popolare ucraina strinse accordi segreti con la Polonia che prevedevano la cessione a quest’ultima della Galizia e della Volinia occidentale in cambio di sostegno militare.
Nel maggio 1920 i seguaci di Petljura entrarono a Kiev con un convoglio polacco. Ma non durò a lungo. Già nel novembre 1920, dopo una tregua tra Polonia e Unione sovietica, ciò che rimase delle forze Petljura si arrese a quegli stessi polacchi che li avevano scortati.
L’esempio della Repubblica Popolare Ucraina mostra l’intrinseca instabilità delle formazioni semi-statuali che sorsero nello spazio dell’ex impero russo durante la guerra civile.
I nazionalisti cercarono di creare i propri stati indipendenti, mentre i leader dei Bianchi peroravano la causa della Russia indivisibile. Molte delle repubbliche fondate dai sostenitori dei bolscevichi non si percepivano fuori della Russia.
Ciononostante, in alcuni casi i capi del partito bolscevico le respinsero. All’inizio del 1918 la Repubblica sovietica del Donetsk-Krivoj Rog fu proclamata e chiese a Mosca di essere ammessa nella Russia sovietica. Mosca rifiutò.
In un incontro con i capi della Repubblica, Lenin insistè che diventassero parte dell’Ucraina sovietica. Il 15 marzo 1918 il Comitato centrale del Partito comunista russo (bolscevico) ordinò esplicitamente che i delegati ucraini – inclusi quelli del bacino del Donetsk – fossero inviati al Congresso panucraino dei Soviet e che tale consesso procedesse alla creazione di «un governo per tutta l’Ucraina». La Repubblica sovietica del Donetsk-Krivoj Rog divenne dunque la parte principale della regione sud-orientale dell’Ucraina.
Il trattato di Riga
Con il trattato di Riga del 1921, stipulato tra Repubblica socialista federativa sovietica russa, Repubblica socialista sovietica ucraina e Polonia, i territori occidentali dell’ex impero russo furono ceduti a Varsavia.
Nel periodo tra le due guerre il governo polacco perseguì attivamente un programma di reinsediamento volto ad alterare la composizione etnica dei territori orientali – il nome polacco di quelle che attualmente sono Ucraina e Bielorussia occidentali e parti della Lituania.
Queste aree furono sottoposte a una rigida politica di “polonizzazione” che soppresse le tradizioni e la cultura locali. Durante la Seconda guerra mondiale tali iniziative vennero usate dai gruppi nazionalisti radicali ucraini come pretesto per atti di terrorismo non solo contro i polacchi ma anche nei confronti di ebrei e russi.
Quando nel 1922 venne creata l’Unione sovietica – di cui la Repubblica socialista sovietica ucraina fu uno dei fondatori – un duro dibattito tra i capi bolscevichi ebbe come esito l’implementazione del piano di Lenin di formare un’unione statuale sotto forma di Federazione di repubbliche tra loro eguali.
Il diritto alla libera secessione dall’Unione fu incluso nella Dichiarazione sulla creazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss) e successivamente nella Costituzione sovietica del 1924.
In questo modo, nelle fondamenta stesse della nostra statualità è stata messa una bomba a orologeria che è esplosa non appena è venuto meno il dispositivo di sicurezza garantito dal ruolo guida del Pcus, collassato per ragioni interne. Ne seguì un “corteo di entità sovrane”.
L’8 dicembre 1991 venne firmato l’accordo di Belaveža, che istituì la Comunità degli Stati indipendenti (Csi) e sancì «la fine dell’Urss quale soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica». L’Ucraina, peraltro, non firmò mai, né ratificò lo statuto adottato dalla Csi nel 1993.
La politica di “radicamento”
Negli anni Venti e Trenta del Novecento i bolscevichi promossero una politica di “radicamento” che prese la forma dell’ucrainizzazione dell’Ucraina. Simbolicamente, come parte di questa politica e con il consenso delle autorità sovietiche, l’ex presidente della Centralna Rada, Mychajlo Hruševskij, uno degli ideologi del nazionalismo ucraino che per un certo periodo aveva goduto del sostegno dell’Austria-Ungheria, fece ritorno nell’Urss e venne eletto membro dell’Accademia delle scienze.
La politica di “radicamento” ebbe senza dubbio un ruolo centrale nello sviluppo e nel rafforzamento di cultura, lingua e identità ucraine. Allo stesso tempo, con il pretesto di combattere il cosiddetto sciovinismo russo l’ucrainizzazione veniva spesso imposta a quelli che non si percepivano ucraini.
Questa politica sovietica garantì a livello statale il riferimento a tre diversi popoli slavi: russi, ucraini e bielorussi, invece della più ampia nazione russa, un’entità trina che comprende gli abitanti della Russia “grande”, “piccola” e “bianca”.
Nel 1939 l’Urss riconquistò i territori precedentemente sottratti dalla Polonia. Una gran parte di questi territori fu accorpata all’Ucraina sovietica. Nel 1940 la Repubblica socialista sovietica ucraina annesse parte della Bessarabia, che era stata occupata dalla Romania dal 1918, e la Bucovina settentrionale. Nel 1948 fu la volta dell’isola dei Serpenti nel mar Nero.
Nel 1954 la regione della Crimea della Repubblica socialista federativa sovietica russa fu ceduta alla Repubblica socialista sovietica ucraina, in evidente violazione delle norme giuridiche allora vigenti.
La Rutenia carpatica
Vorrei ora soffermarmi sul destino della Rutenia carpatica, che divenne parte della Cecoslovacchia in seguito alla dissoluzione dell’Austria-Ungheria. I ruteni costituivano una componente significativa della popolazione autoctona.
Anche se non se ne parla più, dopo la liberazione della Transcarpazia da parte delle truppe sovietiche il congresso degli ortodossi della regione votò per l’inclusione della Rutenia carpatica nella Repubblica socialista federativa sovietica russa o, come repubblica dei carpazi a sé stante, nell’Urss.
La scelta popolare fu però ignorata: nell’estate del 1945 venne proclamata la storica riunificazione tra l’Ucraina carpatica e «la sua antica madrepatria, l’Ucraina» – come riportò allora la Pravda.
L’Ucraina moderna pertanto è interamente un prodotto dell’epoca sovietica. Sappiamo e ricordiamo bene che si è plasmata in misura notevole sui territori della Russia storica. Basta confrontare i confini dello stato russo nel XVII secolo e il territorio della Repubblica socialista sovietica ucraina quando ha abbandonato l’Unione sovietica.
Esperimenti bolscevichi
I bolscevichi hanno trattato il popolo russo come un materiale inesauribile per i loro esperimenti sociali. Sognavano una rivoluzione mondiale che avrebbe spazzato via gli stati nazionali. Per questo furono così generosi nel tracciare i confini o concedere elargizioni territoriali.
Non ha più importanza quale fosse esattamente l’idea dei bolscevichi che hanno tagliato il paese in pezzi. Si può non essere d’accordo sui dettagli minori, sul contesto e sulla logica di alcune decisioni. Ma una cosa è chiara: la Russia di certo è stata derubata.
Lavorando a quest’articolo mi sono basato su documenti pubblici che contengono fatti risaputi, non informazioni segrete. I governanti dell’Ucraina moderna e i loro “protettori” stranieri preferiscono non considerare questi fatti.
Non perdono però occasione, sia all’interno che all’esterno del paese, per criticare «i crimini del regime sovietico» elencando tra questi eventi che non hanno nulla a che vedere con il Pcus, l’Urss, figuriamoci con la Federazione russa. Il tentativo bolscevico di separare la Russia dai suoi territori storici non viene però considerato un crimine. E sappiamo il perché: se la Russia è diventata più debole, quelli che ci vogliono male ne godono.
Naturalmente, all’interno dell’Urss i confini tra le repubbliche non sono mai stati considerati confini di stato; si trattava di frontiere simboliche entro i confini di un solo paese che pur avendo tutte le caratteristiche di una federazione era fortemente centralizzato (anche questa, di nuovo, altra conseguenza del ruolo guida del Pcus).
Nel 1991, però, tutti questi territori e soprattutto le loro popolazioni si trovarono all’improvviso all’estero, strappati, questa volta per davvero, dalla patria storica.
Cosa si può dire di questa cosa? Tutto cambia: paesi e società non fanno eccezione.
Certamente una parte di un popolo, nel processo del suo sviluppo, può per un serie di ragioni e circostanze storiche diventare consapevole di essere una nazione a sé stante. Come dovremmo comportarci in tal caso? C’è una sola risposta: con rispetto!
Volete farvi uno stato per conto vostro? Prego, accomodatevi. Ma a quali condizioni?
Ricorderò le valutazioni di una delle più prominenti figure politiche della nuova Russia, il primo sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobčak. Giurista esperto e convinto che ogni decisione debba essere legalmente fondata, nel 1992 Sobčak offrì la seguente tesi: le repubbliche che avevano fondato l’Unione, avendo denunciato nel 1922 il trattato dell’Unione, dovevano tornare entro i confini che ne delimitavano il territorio prima che entrassero nell’Urss. Tutte le acquisizioni territoriali successive avrebbero dovuto essere oggetto di discussione e negoziato.
In altre parole, quando si lascia un luogo bisogna portarsi via ciò con cui si è venuti. È difficile confutare questa logica. Dirò soltanto che i bolscevichi avevano iniziato a ridisegnare i confini ancora prima della nascita dell’Unione sovietica, manipolando i territori a proprio piacimento, senza alcuna considerazione per l’opinione popolare.
Un unico sistema economico
La Federazione russa ha riconosciuto la nuova realtà geopolitica: non soltanto l’ha riconosciuta, ma ha anche fatto molto per la costituzione dell’Ucraina come stato indipendente.
Durante i difficili anni Novanta e nel nuovo millennio le abbiamo fornito un sostegno considerevole. Qualunque “aritmetica politica” voglia applicare Kiev, tra il 1991 e il 2013 il budget dell’Ucraina consisteva di oltre 82 miliardi di dollari, mentre oggi può fare affidamento unicamente sul miliardo e mezzo che la Russia le paga in cambio del transito del proprio gas verso l’Europa. Se i legami economici tra i nostri paesi fossero stati preservati, l’Ucraina avrebbe incassato decine di miliardi.
Nel corso dei decenni e dei secoli Ucraina e Russia si sono sviluppate come un unico sistema economico. La profonda cooperazione che caratterizzò le nostre relazioni con Kiev trent’anni fa oggi dovrebbe far invidia ai paesi dell’Unione europea. Siamo partner economici perfettamente complementari e interdipendenti. Una simile relazione di reciprocità potrebbe rafforzare i vantaggi competitivi e aumentare i potenziali di entrambi i paesi.
L’Ucraina disponeva di un immenso potenziale che includeva una forte rete infrastrutturale, il sistema per il trasporto del gas, cantieristica navale avanzata, industrie nei settori dell’aviazione, della missilistica e della strumentazione, così come istituti scientifici, di progettazione e ingegneristici di livello mondiale. Appropriandosi di questa eredità e dichiarando l’indipendenza, i leader ucraini hanno promesso che l’economia sarebbe stata una delle principali e che lo standard di vita sarebbe stato tra i migliori in Europa.
Oggi però i giganti dell’industria tecnologica che un tempo erano il fiore all’occhiello dell’Ucraina e dell’intera Unione sovietica stanno affondando. Nell’ultimo decennio la produzione industriale è crollata del 42 per cento.
La misura della deindustrializzazione e del degrado economico è ancor più evidente dai dati sulla produzione di energia elettrica, che in trent’anni si è ridotta sostanzialmente della metà.
Infine, secondo il Fondo monetario internazionale nel 2019 – dunque prima dell’epidemia di coronavirus – il Pil pro capite ucraino era sotto i 4mila dollari. Più basso di quello della Repubblica Albanese, della Repubblica Moldova o del Kosovo, uno stato che non è neppure riconosciuto. L’Ucraina oggi è il paese più povero d’Europa.
Di chi è la colpa?
Di chi è la colpa? Del popolo ucraino? Ovviamente no. Sono state le autorità ucraine a disperdere ciò che le precedenti generazioni erano riuscite a conquistare. Sappiamo quanto gli ucraini siano operosi e talentuosi. Possono ottenere successi e risultati eccezionali con perseveranza e determinazione. Non hanno perso queste qualità, così come non hanno perso la loro franchezza, il loro innato ottimismo e la loro ospitalità.
Sono immutati i sentimenti di milioni di ucraini, che non solo sono cordiali con la Russia, ma provano per lei una grande affezione, proprio come la proviamo noi per loro. Fino al 2014 ci sono stati centinaia di accordi e progetti congiunti allo scopo di sviluppare le nostre economie, gli affari e i legami culturali, rafforzare la sicurezza e risolvere problemi sociali e ambientali comuni.
Queste iniziative hanno portato benefici tangibili a entrambe le popolazioni, il che era per noi la cosa più importante. Per questa ragione abbiamo cercato di avere interazioni proficue con tutti, voglio sottolineare con tutti, i leader dell’Ucraina.
Dopo gli eventi di Kiev del 2014, ho incaricato il governo russo di studiare le opzioni per preservare e mantenere i nostri legami economici nei ministeri e nelle agenzie. Non c’è però stata e ancora non c’è una volontà anche dall’altra parte di fare lo stesso.
Ciononostante, la Russia resta ancora una dei tre principali partner commerciali dell’Ucraina e centinaia di ucraini vengono da noi a lavorare e trovano accoglienza cordiale e sostegno. Ecco, dunque, lo “stato aggressore”.
Rinnegare il passato
Quando l’Unione sovietica è collassata, molti russi e ucraini erano sinceramente convinti che i nostri stretti legami culturali, spirituali ed economici sarebbero rimasti, e che allo stesso modo sarebbe sopravvissuta la comunione tra i nostri popoli, che nel profondo hanno sempre avuto un sentimento di unità.
Gli eventi hanno preso una piega diversa. Prima è accaduto gradualmente, poi con sempre maggiore rapidità. I circoli della dirigenza ucraina hanno legittimato l’indipendenza del paese rinnegando il passato, con l’eccezione della questione dei confini. Hanno iniziato a riscrivere la storia, mitizzandola e rimuovendo tutto ciò che ci univa; hanno definito occupazione il periodo in cui l’Ucraina era parte dell’impero russo e dell’Unione sovietica. La tragedia comune della collettivizzazione e la carestia dei primi anni Trenta sono state rappresentate come genocidio del popolo ucraino.
Estremisti e neonazisti hanno coltivato ambizioni ancora più sfrontate. Sono stati assecondati dalle stesse autorità e dagli stessi oligarchi che hanno derubato gli ucraini e portato i soldi nelle banche occidentali, gente pronta a svendere la patria pur di proteggere il proprio capitale. A questo va aggiunta la debolezza cronica delle istituzioni statali e il fatto che l’Ucraina è un ostaggio volontario di ambizioni geopolitiche altrui.
Ricordo che tempo fa, molto prima del 2014, gli Stati Uniti e i paesi dell’Unione europea esercitavano sull’Ucraina pressioni sistematiche affinché ridimensionasse la cooperazione economica con la Russia.
In quanto principale partner commerciale ed economico di Kiev, proponemmo di discutere questi problemi nell’ambito del formato Ucraina-Russia-Ue. Ma ci veniva ripetuto che la Russia non aveva nulla a che fare con la questione e che si trattava di un affare tra Unione europea e Ucraina.
I paesi occidentali hanno dunque di fatto respinto i nostri ripetuti appelli al dialogo. Passo dopo passo, l’Ucraina è stata trascinata in un gioco geopolitico che mirava a farne una barriera tra Europa e Russia, una rampa di lancio contro la Russia. Inevitabilmente, la tesi secondo la quale “l’Ucraina non è Russia” non poteva essere più sostenibile. C’era un diffuso bisogno di una concezione “anti Russia” per noi inaccettabile. I responsabili di questo progetto hanno usato le fondamenta gettate dagli ideologi austro-polacchi per edificare una “Russia anti Mosca”.
La russofobia occidentale
Non prendiamoci in giro raccontando che questo sia stato fatto nell’interesse del popolo ucraino. La Confederazione polacco-lituana non ha mai avuto bisogno della cultura ucraina, per non parlare dell’autonomia cosacca.
L’Austria-Ungheria ha sfruttato senza pietà i territori strappati alla Russia, rimasti i più poveri. I nazisti, favoriti dai collaborazionisti dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) e dell’Esercito insurrezionale ucraino (Upa), non avevano bisogno dell’Ucraina ma di spazio vitale e di schiavi per i padroni ariani.
Nessuno si è davvero curato del popolo ucraino neppure nel febbraio 2014. Il legittimo malcontento popolare – conseguenza dei gravi problemi socioeconomici, degli errori e delle iniziative incoerenti delle autorità politiche dell’epoca – è stato cinicamente strumentalizzato.
I paesi occidentali hanno interferito negli affari ucraini e sostenuto il colpo di stato, usando come ariete i gruppi nazionalisti radicali. I loro slogan, la loro ideologia e la loro russofobia sfacciatamente aggressiva sono diventati in larga parte elementi fondamentali della politica ufficiale dello stato ucraino.
Tutto ciò che ci univa è finito sotto attacco. Innanzitutto la lingua russa. Non bisogna dimenticare che le nuove autorità del Maidan hanno prima cercato di abrogare la legge sui princìpi della politica linguistica statale e poi approvato i provvedimenti sulla «purificazione del potere» e sulla riforma dell’istruzione, che ha di fatto cancellato il russo dal sistema educativo.
Infine, nel maggio scorso l’attuale presidente ha presentato in parlamento una legge sui «popoli autoctoni»: solo le minoranze etniche che non dispongono di un’entità statale al di fuori dell’Ucraina vengono riconosciute come “indigene”. La legge è stata approvata, gettando altri semi della discordia. E tutto ciò sta avvenendo in un paese che, come ho già ricordato, presenta forti complessità in termini di formazione storica, composizione territoriale, nazionale e linguistica.
Cambiamento di identità
Si potrebbe obiettare che in una singola grande nazione, una nazione trina, non dovrebbe fare molta differenza considerarsi russi, ucraini o bielorussi. Concordo totalmente con questa obiezione. La scelta della propria nazionalità, soprattutto nelle famiglie miste, è un diritto di ogni individuo, libero di fare la propria scelta.
La situazione in Ucraina è però completamente diversa, perché il cambiamento di identità è imposto con la forza. La cosa più indegna è che i russi d’Ucraina sono costretti non solo a rinnegare le loro radici e generazioni di antenati, ma anche a credere che la Russia sia un paese nemico.
Non è affatto esagerato affermare che questo processo di assimilazione forzata, che si traduce nella nascita di un’Ucraina etnicamente pura e aggressiva nei confronti della Russia, sia paragonabile nelle sue conseguenze all’uso delle armi di distruzione di massa.
Come risultato della rigida e artificiale separazione tra russi e ucraini, i primi potrebbero ridursi di centinaia di migliaia o addirittura di milioni.
Anche la nostra unità spirituale è stata attaccata. Come all’epoca del Granducato di Lituania, è iniziato un nuovo sistema ecclesiastico. Le autorità secolari, senza nascondere i propri scopi politici, hanno interferito palesemente nella vita della chiesa e provocato uno scisma, hanno sequestrato chiese, usato violenza contro preti e monaci.
Anche l’ampia autonomia della chiesa ortodossa ucraina, che pur mantiene un’unità spirituale con il patriarcato di Mosca, le infastidisce fortemente. Sono determinate a distruggere a tutti i costi questo simbolo prominente e secolare della nostra affinità.
Penso anche che sia naturale che i rappresentanti dell’Ucraina votino ogni volta contro la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu di condannare l’apologia del nazismo.
Marce e fiaccolate in onore dei sopravvissuti criminali di guerra delle SS si svolgono sotto la protezione delle autorità ufficiali. Mazepa, che tradì tutti, Petljura, che pagò il patronato polacco con territori dell’Ucraina, e Bandera, che collaborò con i nazisti, sono annoverati alla stregua di eroi nazionali. Tutto questo si fa per cancellare dalla memoria delle giovani generazioni i nomi di autentici patrioti e vincitori che sono sempre stati l’orgoglio dell’Ucraina.
Neonazisti ucraini
Per gli ucraini che combatterono nell’Armata rossa e nelle unità partigiane la Grande guerra patriottica (la Seconda guerra mondiale, ndt) fu una guerra davvero patriottica. Perché dovevano difendere la propria casa, la patria comune. Più di duemila soldati sono diventati eroi dell’Unione sovietica.
Tra questi ci sono il leggendario pilota Ivan Kožedub, l’intrepida tiratrice scelta Ljudmila Pavličenko, che difese Odessa e Sebastopoli, l’audace comandante dei guerriglieri Sydir Kovpak. Quella generazione indomita combatté e sacrificò la propria vita per il nostro futuro, per noi. Dimenticare le loro imprese significa tradire i nostri nonni, le nostre madri e i nostri padri.
Milioni di ucraini hanno rifiutato il progetto anti Russia. Gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli hanno fatto una scelta storica. Quelli dell’Ucraina sud-orientale hanno provato a difendersi, eppure sono stati etichettati come separatisti e terroristi, tutti, inclusi i bambini.
Sono stati minacciati di poter subire la pulizia etnica e l’uso della forza militare. I residenti di Donetsk e Lugansk hanno dunque imbracciato le armi per difendere le loro case, la loro lingua e le loro vite. Avevano forse altra scelta dopo le rivolte che si sono abbattute sulle città ucraine, dopo l’orrore e la tragedia del 2 maggio 2014, quando neonazisti ucraini hanno bruciato vivi decine di persone, in un’agghiacciante replica di Katyn?
I seguaci di Bandera erano pronti a compiere massacri analoghi in Crimea, a Sebastopoli, a Donetsk e a Lugansk. Lo sono ancora. Stanno aspettando che arrivi il loro momento. Ma il loro momento non arriverà.
Il conflitto nel Donbass
Il colpo di stato e le successive iniziative delle autorità di Kiev hanno avuto come conseguenza inevitabile la guerra civile. L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Diritti umani stima che il conflitto nel Donbass abbia provocato oltre tredicimila vittime, tra le quali anziani e bambini. Si tratta di perdite spaventose, irreparabili.
La Russia ha fatto di tutto per fermare questo scontro fratricida. Gli accordi di Minsk, tesi a una soluzione pacifica del conflitto, si sono conclusi. Sono ancora convinto che non ci sia alternativa.
A ogni modo, nessuno ha ritirato la propria firma dal pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk né sono state smentite le dichiarazioni in proposito dei leader dei paesi del formato Normandia. Non è stata richiesta una revisione della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite del 17 febbraio 2015.
Durante i negoziati ufficiali, soprattutto se tenuti a freno dai loro partner occidentali, i delegati dell’Ucraina dichiarano regolarmente la loro «piena osservanza» degli accordi di Minsk, ma in realtà non li vogliono accettare.
Non intendono discutere veramente la questione dello status speciale del Donbass né della salvaguardia della popolazione locale. Preferiscono strumentalizzare l’immagine di «vittime di un’aggressione esterna» e diffondere la russofobia. Organizzano sanguinose provocazioni nel Donbass. In breve, cercano di attirare l’attenzione dei loro protettori con ogni mezzo.
Sono sempre più persuaso del fatto che a Kiev il Donbass semplicemente non serva. Per quale motivo? In primo luogo perché gli abitanti di queste regioni non accetteranno mai l’ordine che si è cercato e si sta cercando di imporre con la forza, l’ostruzionismo e le minacce.
Poi perché le previsioni di Minsk I e Minsk II, che offrono concretamente la possibilità di restaurare pacificamente l’integrità territoriale dell’Ucraina attraverso un accordo diretto tra Kiev e le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk mediato da Russia, Germania e Francia, contraddicono interamente l’intera logica del progetto anti Russia. E può soltanto essere portato avanti coltivando incessantemente l’immagine del nemico interno ed esterno. Aggiungerei, sotto la protezione e la tutela delle potenze occidentali.
Promessa tradita
Questo succede anche nella pratica. Innanzitutto, siamo di fronte al crearsi di un clima di terrore nella società ucraina, a una retorica aggressiva, a neonazisti a piede libero, alla militarizzazione del paese.
Inoltre, l’Ucraina non è più solo completamente dipendente dalle forze esterne ma è sotto il loro controllo diretto, compresa la supervisione delle autorità politiche, dei servizi di sicurezza e delle Forze armate da parte di consiglieri militari stranieri, lo “sviluppo” militare del territorio e l’installazione di infrastrutture della Nato.
Non è un caso che la menzionata legge sui «popoli autoctoni» sia stata adottata in coincidenza con lo svolgimento di massicce esercitazioni della Nato in Ucraina.
Si tratta anche di una copertura per prendere il controllo della restante economia ucraina e assicurarsi lo sfruttamento delle risorse naturali del paese.
Presto verranno venduti i terreni agricoli ed è già chiaro chi li comprerà in blocco. Di tanto in tanto all’Ucraina vengono elargiti prestiti e risorse finanziarie, ma alle condizioni e secondo gli interessi di chi li concede e con condizioni preferenziali e benefici per le compagnie occidentali. E tra l’altro, chi ripagherà poi questi debiti?
A quanto pare si sottende che dovranno farlo non soltanto questa generazione di ucraini, ma anche i loro figli, i loro nipoti e con ogni probabilità i loro pronipoti.
Gli ideatori occidentali del progetto anti Russia hanno strutturato il sistema politico ucraino in modo che i presidenti, i deputati e i ministri possano cambiare ma la volontà di separarsi dalla Russia e il sentimento di inimicizia nei confronti di quest’ultima rimangano.
Raggiungere la pace era lo slogan elettorale principale dell’attuale presidente. È stato eletto per questo. La promessa si è rivelata una menzogna. Non è cambiato nulla. Sotto alcuni aspetti, la situazione in Ucraina e nel Donbass è persino peggiorata.
Nel progetto anti Russia non c’è spazio né per un’Ucraina sovrana né per le forze politiche che cercano di proteggere la sua indipendenza. Chi parla di riconciliazione interna, dialogo e di una via d’uscita dall’impasse viene etichettato come agente filorusso.
Il progetto anti Russia
Per molti ucraini il progetto anti Russia è semplicemente inaccettabile. Milioni di persone in Ucraina la vedono in questo modo. Ma non viene permesso loro di alzare la testa. Gli è stato tolto il diritto di difendere giuridicamente il proprio punto di vista. Vengono intimiditi, costretti alla clandestinità. Non solo sono perseguitati per avere espresso apertamente le loro convinzioni, ma vengono anche uccisi. Gli assassini, di solito, rimangono impuniti.
Oggi il “giusto” patriota ucraino è soltanto quello che odia la Russia. L’intera statualità ucraina, per come la vediamo noi, è fondata esclusivamente su questo principio. La storia ha però dimostrato abbondantemente che l’odio e la rabbia sono fondamenta traballanti sui cui costruire la sovranità. Si tratta di un’operazione gravida di rischi e conseguenze catastrofiche.
Siamo consapevoli dei sotterfugi connessi al progetto anti Russia e non permetteremo che i nostri territori storici e i loro abitanti vengano usati contro di noi. Chi vuole provarci sappia che così facendo distruggerà il suo stesso paese.
Le attuali autorità dell’Ucraina amano rifarsi all’esperienza occidentale, la considerano un modello da seguire. Guardiamo allora a come convivono Austria e Germania, oppure Stati Uniti e Canada, paesi simili in quanto a composizione etnica e cultura nei quali si parla sostanzialmente la stessa lingua.
Sono stati sovrani con propri interessi e una politica estera indipendente, ma questo non ha impedito loro di avere una strettissima integrazione e di diventare alleati. I confini che li separano sono flessibili, trasparenti. Gli abitanti che li attraversano si sentono comunque a casa. Oltre il confine possono mettere su famiglia, studiare, lavorare, fare affari. Esattamente ciò che fanno milioni di ucraini che ora vivono in Russia, persone che percepiamo come a noi molto prossime.
Un popolo solo
La Russia è aperta al dialogo con l’Ucraina e pronta a discutere le questioni più spinose. Ma per noi è importante essere sicuri che il nostro interlocutore stia difendendo i suoi interessi nazionali e non servendo quelli di qualcun altro, che non sia uno strumento usato da soggetti terzi per combatterci. Rispettiamo la lingua e le tradizioni ucraine, così come il desiderio degli ucraini che il proprio paese sia libero, sicuro e prospero.
Sono convinto che la vera sovranità dell’Ucraina sia possibile solo in collaborazione con la Russia. I nostri legami spirituali, umani e culturali che si sono formati nei secoli e hanno origine dalla stessa fonte, sono stati temprati da prove superate insieme, conquiste e vittorie comuni.
Quest’affinità è stata tramandata di generazione in generazione. È nei cuori e nella memoria di chi abita oggi in Russia e in Ucraina, nei legami di sangue che uniscono milioni di famiglie. Insieme siamo sempre stati e saremo sempre molto più forti e affermati. Perché siamo un popolo solo.
Oggi queste mie parole possono essere percepite con ostilità e interpretate in molteplici modi. Qualcuno invece mi ascolterà. E dirò una cosa sola: la Russia non è mai stata e non sarà mai “anti ucraina”. Spetta agli ucraini decidere cosa vuole essere l’Ucraina.
Questo saggio Sull’unità storica di russi e ucraini è stato scritto da Vladimir Putin e pubblicato il 12 luglio 2021. Secondo la testata giornalistica russa RBK Daily, il saggio è incluso nell’elenco delle opere da studiare obbligatoriamente nell'esercito russo.
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