- Quasi tutti, durante un corso di storia e geografia, abbiamo sentito dire che la Russia brama uno “sbocco marittimo” su acque navigabili tutto l’anno, uno sbocco la cui mancanza è da sempre la principale “maledizione” geopolitica del paese.
- In realtà, vi sono molti dubbi sull’effettivo potenziale economico del Grande nord. Nonostante lo scioglimento dei ghiacci, i costi per lo sfruttamento delle rotte marittime e delle risorse fossili inesplorate sono proibitivi.
- Pertanto, la crescente militarizzazione dell’Artico non va interpretata come una corsa all’accaparramento di risorse e vantaggi commerciali. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Guerra freddissima”, in edicola e in digitale dal 2 settembre.
Quasi tutti, durante un corso di storia e geografia, abbiamo sentito dire che la Russia brama uno “sbocco marittimo” su acque navigabili tutto l’anno, uno sbocco la cui mancanza è da sempre la principale “maledizione” geopolitica del paese. Senza accesso alle acque calde navigabili con continuità, la Russia subisce le conseguenze di una connessione troppo difficoltosa e costosa al commercio globale.
Una debolezza strutturale che costituisce la chiave per analizzare molte delle mosse del Cremlino. Tra di esse, la politica russa nell’Artico, che viene individuato come una delle possibili soluzioni della maledizione. Tuttavia, il cambiamento climatico, con il conseguente scioglimento dei ghiacci e l’apertura delle acque dell’Artico, non è una benedizione nemmeno per Mosca.
Nel Grande nord, la Russia è protagonista. Si tratta del paese con la costa artica più estesa (più di 24mila chilometri), che conta il maggior numero di abitanti nella regione (2 milioni sui circa 4 totali), e nell’Artico si trova la maggior parte delle risorse fossili fondamentali per l’economia russa, con l’80 per cento del suo gas naturale. Nonché le forze di deterrenza nucleare sottomarine, stanziate nella penisola di Kola.
Inoltre, da anni si parla dell’Artico come di una nuova frontiera dall’enorme potenziale economico. L’Artico potrebbe rivoluzionare il commercio globale, dimezzando la distanza tra i porti dell’Atlantico e del Pacifico. La Northern Sea Route (Nsr) lungo la costa russa viene talvolta annunciata come nuova autostrada marittima e ricche riserve offshore di idrocarburi potrebbero diventare sfruttabili grazie allo scioglimento dei ghiacci.
Non è sorprendente quindi che l’Artico, portatore di interessi vitali per la nazione, sia una delle priorità per il Cremlino, nuova linfa alle sue speranze di riconquistare uno status di grande potenza. Mosca ha di gran lunga la flotta artica più attrezzata, e sta riaprendo le basi militari abbandonate dopo la caduta dell’Urss, sperando di sviluppare il mar Glaciale Artico nell’agognato sbocco marittimo navigabile.
Il potenziale del Grande nord
In realtà, vi sono molti dubbi sull’effettivo potenziale economico del Grande nord. Nonostante lo scioglimento dei ghiacci, i costi per lo sfruttamento delle rotte marittime e delle risorse fossili inesplorate sono proibitivi. Queste ultime si trovano soprattutto in mare aperto, la loro estrazione richiederebbe una tecnologia all’avanguardia e potrebbe provocare danni ambientali disastrosi. Inoltre, i confini marittimi nella zona sono per la maggior parte ben definiti e non conflittuali, e la grande maggioranza delle risorse stimate si trovano già all’interno di questi confini.
È altresì improbabile che le rotte artiche diventino autostrade marittime. Il passaggio è ancora estremamente rischioso e costoso a causa di incertezze sulla navigabilità, poche infrastrutture lungo le coste, requisiti particolarmente severi per la navigazione, elevati costi delle assicurazioni e spesso la necessità di una scorta di rompighiaccio. Il traffico di transito attraverso il circolo polare artico rimane trascurabile. Nel complesso, la regione è caratterizzata dall'incertezza.
Pertanto, la crescente militarizzazione dell’Artico non va interpretata come una corsa all’accaparramento di risorse e vantaggi commerciali. Prima del 24 febbraio, le relazioni tra gli stati artici erano rimaste cooperative, proprio perché le gelide acque dell’Artico offrono poche ragioni di conflitto. La cooperazione tra la Russia e gli altri stati artici è stata in gran parte mantenuta persino dopo l’annessione della Crimea. Il potenziamento militare russo nel Grande nord non è una novità. Tuttavia, alla luce dell’invasione dell’Ucraina questa militarizzazione può diventare fonte di preoccupazione per la stabilità della regione.
Dalla cooperazione all’ isolamento
Occorre tenere a mente che tra gli altri Stati detti artici (Canada, Stati Uniti, Norvegia, Islanda, Svezia, Finlandia e Danimarca) la Russia è ormai l’unico a non appartenere alla Nato. Le new entry Svezia e Finlandia sono geograficamente adiacenti all’Artico russo, e l’Islanda ospita il sistema di difesa aerea dell’Alleanza. Proprio la Nato, lo scorso giugno 2022, ha menzionato per la prima volta il Grande nord nel nuovo Strategic Concept; il documento, in riferimento alla Russia, afferma che «nel Grande nord, la sua capacità di interrompere i rinforzi alleati e la libertà di navigazione attraverso l’Atlantico settentrionale rappresenta una sfida strategica per l’Alleanza». Il rinnovato interesse dell’Alleanza per la regione, pressoché ignorata dalla fine della Guerra fredda, e l’acuirsi del clima di tensione di certo non giocano in favore di Mosca.
L’offensiva di Putin contro Kiev ha dato vita a una fortissima reazione: anche nell’Artico, che veniva considerata un’oasi di cooperazione, la Russia è isolata. Il principale forum di cooperazione della regione, il Consiglio artico, ha interrotto le proprie attività. Persino la cooperazione volta alla ricerca scientifica ha subito una brusca interruzione.
La rottura dei rapporti con gli stati artici occidentali e le sanzioni stanno danneggiando gravemente le ambizioni russe nell’Artico, interrompendo un flusso di investimenti di cui la Russia non può fare a meno. Mosca necessita di capitali esteri per sfruttare il potenziale delle proprie coste polari. Ciò a causa di quella debolezza economica strutturale che spera di superare proprio grazie a un Artico finalmente navigabile. Ma senza finanziamenti e tecnologie occidentali diventa difficile per il paese sfruttare le riserve di idrocarburi e sviluppare la Nsr. A Mosca non resterebbero che gli investitori cinesi, peraltro già molto presenti al fine di sviluppare la Polar Silk Road, il che potrebbe spingere il paese verso un rapporto di dipendenza dalla Repubblica popolare, tradizionalmente temuto dal Cremlino.
In quest’ottica, la crescente presenza cinese potrebbe spingere Washington e la Nato a rinforzare ulteriormente la propria presenza. In realtà, non è inverosimile che anche le risorse cinesi vengano a mancare: Pechino predilige un contesto di ordine internazionale al fine di investire proficuamente e prosperare. Contesto che, nell’Artico, non sembra più garantito.
Tutto sembra indicare che la maledizione geopolitica della Russia non sia prossima alla soluzione. Il cambiamento climatico favorisce un continuo aumento delle attività umane nel Grande nord, ma le condizioni estreme comportano comunque grandi difficoltà logistiche, costi elevatissimi e rischi notevoli. Per caratteristiche proprie, è quindi improbabile che l’Artico diventi il “nuovo oceano” desiderato da Mosca.
Ciò è ancor meno probabile in seguito alla guerra in Ucraina, in un contesto di grande competizione di potenza. Non solo Mosca manca dei capitali necessari per le sue ambizioni, ma ha anche alienato investitori vitali per lo sviluppo dell’Artico russo e ha causato la crescita dell’interesse e della presenza dei rivali nella regione. Il motto caro alla Nato «High North, Low Tensions» deve forse essere aggiornato e dal lato di Mosca, la maledizione perdura.
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