Gli attacchi dei ribelli Houthi contro le navi dirette in Israele sono atti ostili che portano la firma dell’Iran. I tratti di mare decisivi per i commerci sono infestati da criminali che agiscono al soldo delle potenze
Dal 7 ottobre scorso si sono intensificati gli attacchi da parte degli Houthi contro navi da guerra e mercantili che attraversano lo stretto di Bab al Mandeb, che congiunge il mar Rosso con il golfo di Aden. In questo piccolo stretto, ampio circa 40 chilometri, passa circa l’8 per cento del greggio mondiale. Colpirlo significa attaccare un’arteria del cuore dell’economia mondiale.
Per questo motivo, nella notte tra l’11 e il 12 gennaio Regno Unito e Stati Uniti hanno colpito con una serie di raid aerei alcuni hub strategici dei ribelli Houthi in Yemen.
Al momento, le principali compagnie di spedizioni marittime – Msc, Maersk, Hapag-Lloyd e Cma Cgm – hanno annunciato la sospensione della navigazione nel mar Rosso. Il colosso petrolifero Bp ha deciso di sospendere le spedizioni di petrolio nell’area: «Manterremo questa pausa precauzionale sotto costante revisione, soggetta alle circostanze che si evolvono nella regione», scrive in un comunicato l’azienda. Il blocco del flusso di navi è un problema che colpisce direttamente anche l’Egitto, dato che le imbarcazioni pagano il pedaggio del canale di Suez per sfociare nel Mediterraneo.
L’area è da sempre territorio di “caccia” di bande di pirati e organizzazioni criminali che hanno origine nel Corno d’Africa e guadagnano dagli assalti contro navi petroliere o cargo che sono di passaggio nello Stretto. Ma negli ultimi due mesi e mezzo gli attacchi hanno avuto un altro obiettivo, non più “economico”, ma di natura politica-militare.
Dietro c’è la mano degli Houthi, i ribelli sciiti che hanno preso il controllo dello Yemen con il sostegno di Teheran che, oltre ad agire nel mar Rosso, continuano a lanciare missili balistici e droni armati verso Israele. «Se Gaza non riceve il cibo e le medicine di cui ha bisogno, tutte le navi nel mar Rosso dirette ai porti israeliani, indipendentemente dalla loro nazionalità, diventeranno un bersaglio per le nostre forze armate», ha detto Yahya Saree, portavoce militare dei ribelli Houthi nei giorni scorsi. Ieri l’annuncio del generale yemenita Yussef Maadani: «A ogni escalation a Gaza corrisponderà un’escalation nel mar Rosso».
Un attore geopolitico
Dopo il colpo di stato avvenuto nel gennaio del 2015, i ribelli Houthi hanno preso pieno controllo del paese. Fin da subito i ribelli hanno ottenuto il sostegno di Teheran che puntava a destabilizzare l’area in ottica antisaudita. E Riad ha risposto con l’inizio di un’operazione militare a cui hanno partecipato anche gli Emirati Arabi Uniti. Un’operazione che alla fine si è rivelata fallimentare. Dopo oltre sette anni di conflitto, con escalation di vario tipo, lo Yemen è considerato uno dei cosiddetti “failed states”.
La guerra civile e le operazioni militari dei paesi arabi hanno causato una crisi umanitaria senza precedenti. Le stime riportano circa 3,6 milioni di sfollati interni, quasi 400mila bambini in pericolo di vita per malnutrizione acuta grave, e almeno 150mila vittime. Nell’ultimo anno, però, il processo di pace appoggiato anche dall’Arabia Saudita ha compiuto importanti passi in avanti, grazie anche alle distensioni diplomatiche tra Riad e Teheran. Ma il conflitto tra Hamas e Israele rischia di fermarlo.
Gli Stati Uniti starebbero premendo su Riad affinché rinvii la firma dell’accordo di pace in Yemen e si unisca alla task force di protezione marittima. Le forze armate israeliane hanno più volte annunciato che, in caso di interferenze da parte del gruppo ribelle, sono intenzionate a intervenire militarmente, ma farlo significherebbe chiamare nuovamente in causa anche l’Iran, innalzando il rischio di escalation.
Secondo l’emittente Iran International fondata a Londra nel 2017, a novembre nella capitale della Repubblica islamica alcuni funzionari iraniani hanno concordato insieme ai rappresentanti Houthi di portare avanti gli attacchi nel mar Rosso in maniera controllata.
Gli attacchi
Il 19 novembre è stata sequestrata la nave Galaxy Leader, di proprietà israeliana, dirottata verso il porto di Hodeida, controllato dai ribelli, prima del suo rilascio. Il 3 dicembre i ribelli yemeniti hanno rivendicato l’attacco contro due navi cargo nel mar Rosso avvenuto con droni e razzi. Nell’operazione è stato colpito anche il cacciatorpediniere americano Carney, che ha risposto al fuoco. L’11 dicembre una fregata militare francese ha abbattuto due droni nel mar Rosso dopo essere stata colpita. Il 12 dicembre, al largo delle coste dello Yemen, la Strinda, nave battente bandiera norvegese è stata colpita da «quello che si ritiene fosse un missile da crociera anti nave lanciato da un’area dello Yemen controllata dagli Houthi», ha detto il comando centrale del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
Il mercantile trasportava un carico di olio di palma, che era partito dalla Malesia ed era diretto verso l’Italia. Non si sono registrate vittime, ma l’imbarcazione ha riportato diversi danni. Il giorno seguente, un altro cacciatorpediniere della marina americana è intervenuto a difesa della Ardmore Encounter. Venerdì gli Houthi hanno annunciato aver attaccato la Maersk Gibraltar in rotta verso Israele, «bersagliandola con un drone». Ieri, invece, un’altra esplosione ha colpito la petroliera Swan Atlantic.
Già durante gli anni della guerra gli Houthi hanno fatto vedere le loro capacità d’azione nel mar Rosso. Tra il gennaio e l’aprile del 2022, i ribelli sequestrarono una nave emiratina, la Rawabi, e soltanto dopo quattro mesi e strenue trattative fu liberato l’equipaggio a bordo. Un anno e mezzo più tardi la loro strategia di azione non è cambiata, nonostante sia stata rafforzata la sicurezza nell’area.
Pochi giorni fa Washington ha chiesto all’Australia di inviare una nave da guerra, e la Germania sta pensando di fare altrettanto inviando il proprio arsenale. Venerdì il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha detto che gli Houthi rappresentano «una minaccia alla libertà di navigazione» e che quindi «vanno affrontati». «Gli Stati Uniti stanno lavorando con la comunità internazionale, con i partner della regione e di tutto il mondo per affrontare questa minaccia», ha aggiunto, ribadendo che «gli Houthi premono il grilletto, per così dire, della pistola che gli viene consegnata dall’Iran». Definire gli yemeniti appoggiati da Teheran come un gruppo di semplici ribelli è oramai riduttivo. Negli anni hanno ricevuto finanziamenti ed equipaggiamenti che hanno permesso loro di avere voce in capitolo in un’area strategicamente importante. Sono un attore geopolitico e militare non più sottovalutabile.
Se fino a poche settimane fa si pensava a un allargamento del conflitto sul Libano, ora è più probabile che accada in Yemen. In un paese con una popolazione civile allo stremo, già martoriata dalle bombe della vicina Arabia Saudita.
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