- Nelle banlieue il percorso verso la marginalità di alcune fasce giovanili di origine maghrebina e subsahariana è scandito da precise tappe.
- Anche le donne, spesso rimaste da sole in Francia a causa della rottura con il partner o per il frequente pendolarismo di ritorno del marito, vedono ridimensionato il loro ruolo.
- Nel tempo la “questione banlieue” è divenuta oggetto di un acceso confronto politico, tale da indurre a una nuova classificazione di aree urbane ritenute particolarmente problematiche.
Nelle banlieue il percorso verso la marginalità di alcune fasce giovanili di origine maghrebina e subsahariana è scandito da precise tappe: la vita di strada, lo spaccio, la piccola delinquenza, la trasformazione in “clienti fissi” della polizia e dei tribunali, il carcere, la radicalizzazione antagonista: per alcuni, anche la reislamizzazione in chiave jihadista.
Per i maschi dei quartieri “sensibili” la strada è lo spazio comune di socializzazione. Mentre le ragazze, sottoposte a un maggiore controllo familiare e sociale e obbligate ai compiti domestici, passano buona parte del tempo in casa - condizione che, peraltro, consente loro migliore riuscita nei percorsi scolastici – i maschi si riversano all’aperto. Sospinti fuori dalle mura domestiche dalla maggiore libertà di cui godono e dal sovraffollamento tipico delle famiglie che vivono negli alloggi di edilizia popolare. La socializzazione avviene nel gruppo dei pari o nelle bande di strada.
Il risultato è, tra le altre cose, la perdita di autorità agli occhi dei figli della famiglia. A partire dalla figura paterna, spesso già delegittimata per sua incapacità a fare da guida in un contesto del tutto diverso da quello d’origine. I tradizionali insegnamenti dei padri , specialmente se legati alla religione e alla cultura di provenienza , paiono del tutto inadeguati a chi vive in uno spazio metropolitano dove i codici simbolici, e la violenza, sono di altra natura.
Anche le donne - in particolare quelle di origine subsahariana di prima generazione, spesso rimaste da sole in Francia a causa della rottura con il partner o per il frequente pendolarismo di ritorno del marito, tipico di quanti scandiscono il tempo sociale sui ritmi agricoli delle società africane, vedono ridimensionato il loro ruolo: la difficoltà nel comprendere le dinamiche del paese in cui si trovano a vivere, il non parlare correttamente il francese, condizione che le costringe a dipendere dai figli anche nei colloqui con gli insegnanti, ne limitano il peso.
Così adolescenti e giovani non contano su figure adulte che paiono loro “squalificate” dalla società in cui vivono e reagiscono allontanandosene. L’autorevolezza genitoriale, del resto, non può essere ricostituita per via politica, come pure qualcuno invoca. Legami ormai minati alla base, si rivelano fragili in assenza di altri volani.
La vita in strada espone i più giovani al contatto quotidiano con la criminalità e con la gerarchia sociale che questa struttura, prossimità che conduce allo spaccio di stupefacenti, alla ricettazione, a furti e aggressioni a scopo di rapina. In un contesto in cui disoccupazione e criminalità sono alti e reddito e istruzione bassi, la devianza è vissuta come scorciatoia per aggirare l'esclusione: almeno quella sul piano dei consumi.
Riconquista repubblicana
Dopo la svolta, negli anni Novanta, della politica criminale, che ha condotto a un duro giro di vite nei confronti dei minori per cercare di arginare il fenomeno dei delitti contro la persona di cui erano spesso autori ragazzi di banlieue, quest’ultimi sono costantemente tenuti sotto pressione dalla polizia. Non è casuale che venga spesso loro contestato il reato di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, tipico “reato d’onore” prodotto delle tensioni di strada.
Una spirale che, da un lato, conduce a un’aspra conflittualità giovanile con la polizia, spesso per i banlieusards il solo volto conosciuto dello Stato, insieme a quello degli insegnanti e degli assistenti sociali; dall'altro, a un'inflazione di procedimenti penali e amministrativi, sia per oltraggio e resistenza, sia per violenza illegittima da parte degli agenti accusati dai fermati di eccedere nell'uso della forza. Le «infrazioni nei confronti dei depositari della forza pubblica» sono la forma della conflittualità quotidiana nei confronti dello Stato tra la popolazione giovanile dei quartieri “prioritari”.
La legge del 2017 sul “rifiuto di ottemperare”, che consente alle forze dell’ordine l’uso delle armi da fuoco in caso il conducente di un veicolo non si fermi e si presuma possa causare «in caso di fuga danni alla vita , all’integrità fisica, degli agenti di polizia, o quella di altri» - provvedimento che ha aumentato di quattro volte gli episodi mortali rispetto ai vent’anni precedenti - non ha fatto che alimentare una contrapposizione che assume talvolta i caratteri della sfida.
La profilazione di polizia, che fa dei banlieusards idealtipi di soggetti a rischio devianza e conduce a pregnanti forme di controllo del territorio, chiude il cerchio.
Nel tempo la “questione banlieue” è divenuta oggetto di un acceso confronto politico. Tale da indurre a una nuova classificazione, mirata a enfatizzare il livello di rischio, di aree urbane ritenute particolarmente problematiche, definite dal 2018 «quartieri di riconquista repubblicana» (Qrr): si tratta di 62 zone che si sovrappongono a circa 120 «quartieri prioritari», nelle quali è stata disposta una maggiore dislocazione di forze di polizia incaricate di svolgere un’azione di contrasto alla delinquenza, fungere da polizia di prossimità e garantire la sicurezza quotidiana.
È soprattutto nelle aree critiche delle periferie che la morsa penale si stringe attorno a “maghrebini” e “africani”, termini con i quali, nel linguaggio comune vengono genericamente indicati quanti sono nati, o sono originari, dei paesi del Maghreb: Marocco, Algeria, Tunisia; o di quelle che, sino al secolo scorso, erano le colonie di Parigi nell’ex-Africa Occidentale Francese: Mauritania, Senegal, Mali, Niger, Burkina Faso (Alto Volta), Benin (Dahomey), Costa d’Avorio, Guinea.
Questa fascia della popolazione appare la più toccata dalla spirale marginalità/devianza. Gli africani sono colpiti da pene detentive in genere più elevate, nella media, di quelle inflitte ai francesi autoctoni che compiono il medesimo reato, poiché incorrono spesso nella recidiva . Ma nella maggiore durezza della repressione penale nei loro confronti incide anche la percezione, alimentata dal discorso pubblico e dal senso comune, che facciano parte di quelle che un tempo venivano chiamare “classi pericolose”.
Se l’aumento dei reati compiuti da persone che vivono nei Qpv è un dato di fatto, è significativo che la percentuale sul totale nazionale degli imputati per resistenza e oltraggio sia, nel decennio che precede la rivolta delle periferie del 2005, del 25 per cento per i “maghrebini” e del 20 per cento per gli “africani”: tra i minorenni, rispettivamente, il 38 per cento e il 28 per cento. Reati che, cumulati con altri, contribuiscono a spalancare loro frequentemente le porte del carcere.
Separatismo
All’opposto, crescono le denunce contro le violenze attribuite alla polizia, altro aspetto della crescente conflittualità nelle aree “sensibili”. L'accesso al contenzioso giudiziario da parte di chi non era solito ricorrervi – la “generazione dei padri” giunta in Francia tra gli anni Cinquanta e Settanta, difficilmente avrebbe chiesto a un tribunale francese di pronunciarsi sulla liceità della condotta di un uomo in divisa – ma anche l'aumento dei reati contro la forza pubblica, segnalano come sulla giustizia penale si sia scaricata, in una logica di supplenza istituzionale, la gestione della crescente conflittualità sociale tra popolazione delle periferie più disagiate e lo Stato.
I processi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, e l'azione di risarcimento danni da parte dei poliziotti che vi danno corso, scelta che “personalizza” il conflitto aggravando le tensioni di strada, diventano, in assenza di arene discorsive diverse dalle aule di tribunale, riti non solo giudiziari dai quali emerge il diffuso malessere dei giovani delle banlieue. È anche attraverso questi percorsi giudiziari, conclusi quasi sempre in maniera sfavorevole, che i giovani delle cité si radicalizzano.
Durante l’iter processuale si convincono di essere vittime dell’ingiustizia. Vittimizzazione fondata sulla convinzione che le loro origini, la loro cultura, la loro religione, e lo stigma che li accompagna e li unisce in un destino comune, facciano di loro cittadini con diritti affievoliti.
Considerazioni che inaspriscono il risentimento nei confronti della République e, in taluni casi, li spinge a cercare di riversare quella rabbia nell’adesione a una concezione del mondo “separatista”, come quella di taluni gruppi salafiti, o totalmente antagonista come quella veicolata da gruppi appartenenti all’islam radicale, che promettono di battersi contro l’occidente e i suoi valori.
© Riproduzione riservata