In questi giorni il carcere di Gjilan, nell’est del Kosovo, si sta rimettendo in sesto per adeguarsi agli standard degli istituti penitenziari della Danimarca. Copenaghen è un modello da imitare? Probabilmente sì, ma dietro al piano di Pristina non c’è soltanto un puro spirito di emulazione. A dire il vero c’è molto di più.

Duecentodieci milioni di euro a essere precisi, cifra che il Kosovo incasserà grazie all’accordo decennale recentemente siglato con il ministero della giustizia danese per l’affitto di 300 celle destinate ad accogliere altrettanti detenuti provenienti da stati extra-Ue. Tradotto, è un patto per deportare stranieri di paesi terzi in cambio di una quantità di denaro che oggi, per stessa ammissione del direttore del Sistema correzionale kosovaro, Ismail Dibrani, supera il budget annuale per l’intero apparato, che comprende oltre tremila persone tra detenuti e impiegati.

È «un progetto rivoluzionario» secondo il ministro della Giustizia danese, Nick Hækkerup: Copenaghen verserà ogni anno 15 milioni di euro più altri 6 milioni destinati a sostenere la transizione energetica del Kosovo, che attraverso un’apposita formazione svolta da esperti provenienti direttamente dal Nord Europa, si impegnerà a replicare a Giljan le stesse condizioni riservate ai detenuti in Danimarca.

Punti oscuri

EPA

Dalla definizione dell’accordo, in cantiere dal 2021, le autorità danesi hanno visitato più volte il Kosovo per appurare le condizioni del penitenziario, evidentemente ritenute idonee, anche se non mancano voci critiche. Numerose associazioni per la tutela dei diritti umani affermano che i centri di detenzione kosovari sono molto spesso teatro di violenze, corruzione e infiltrazioni di radicalismi politico-religiosi, oltre a soffrire la carenza di medicinali.

Secondo Therese Rytter, rappresentante legale di Dignity, l’istituto danese contro le torture, le numerose testimonianze di violenze ritenute credibili «costituiscono un fattore di rischio maggiore rispetto a una pena scontata all’interno di un carcere danese».

Gli stessi timori sono stati confermati dai rapporti del Dipartimento di Stato americano e del Comitato Onu contro le torture, entrambi del 2023, che evidenziano come gli istituti di pena in Kosovo, pur rispettando diversi standard internazionali, siano caratterizzati da violenza e trattamenti inadeguati nel campo della salute mentale.

Tra gli aspetti da non sottovalutare c’è poi quello che riguarda gli incontri con i familiari, che duemila chilometri di distanza renderebbero assai difficoltosi se non totalmente impossibili, in netta violazione del diritto dei detenuti ai quali spetta un colloquio settimanale di un’ora e mezza.

Cambiamenti

EPA

Nel 2016 la Danimarca aveva approvato una legge che autorizzava, nei confronti di migranti e richiedenti asilo, la confisca di beni personali del valore superiore alle diecimila corone (l’equivalente di circa 1.300 euro) per la copertura delle spese di accoglienza.

Negli anni la battaglia contro stranieri e immigrati è proseguita e sembra non volersi arrestare nemmeno oggi che a guidare governo c’è Mette Fredericksen, la leader 44enne dei socialdemocratici. A metà maggio la Danimarca insieme ad altri 14 stati Ue ha inviato una lettera alla Commissione per invocare «sforzi complementari per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare»: senza arrivare alla riproposizione del “piano Ruanda” studiato dal Regno Unito, la richiesta verte sull’incremento dei partenariati con i paesi terzi finalizzata a una gestione dei rimpatri più efficiente attraverso hub in cui attendere «l’allontanamento definitivo». Destino che accomuna anche i detenuti trasferiti in Kosovo, i quali avrebbero dovuto lasciare la Danimarca una volta scontata la loro condanna.

Illustrando l’accordo, Copenaghen ha addotto come motivazione un sovraffollamento carcerario di quasi mille unità. Una stima che, tuttavia, sembrerebbe non reggere stando ai numeri del rapporto Space diffuso dal Consiglio d’Europa: al 31 gennaio 2022, infatti, il sistema penitenziario della Danimarca contava 4.114 detenuti a fronte di 4.238 posti disponibili, un dato pari al 97,1 per cento della capienza complessiva.

Sebbene il report mostri un aumento del tasso di carcerazione in ben 16 paesi dopo la pandemia (in Danimarca +5,5 per cento), il dato europeo risulta «ancora inferiore a quello osservato all’inizio del 2020, segno che il calo costante osservato dal 2011 continua», sottolinea il professor Marcelo Aebi, a capo del gruppo di ricerca dell’Università di Losanna responsabile del rapporto. Così, mentre sul sovraffollamento delle celle sembra non esserci sufficiente chiarezza, la prospettiva di trasferire in Kosovo 300 detenuti appare un’imminente realtà.

© Riproduzione riservata