- Siamo d’accordo con gli scettici sul fatto che perseguire un ex presidente – e probabilmente futuro candidato presidenziale – è problematico e rischioso, allo stesso tempo riteniamo che ci siano tre dimensioni a favore delle incriminazioni se l’indagine del dipartimento di Giustizia confermasse i fatti di base presentati dal Comitato del 6 gennaio.
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In primo luogo, aiuterebbe a preservare la legittimità del sistema giudiziario americano.
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Il testo è parte di una discussione apparsa su Persuasion e Scenari. Qui la replica: “Perché non dobbiamo incriminare Donald Trump”.
È stato scritto recentemente che il dipartimento di Giustizia ha intensificato le indagini sulla responsabilità penale dell’ex presidente Donald Trump per l’attacco del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti. La ricerca dell’Fbi a Mar-a-Lago di documenti riservati, ha aperto un altro fronte legale contro l’ex presidente, ma è importante non perdere di vista le rivelazioni dell’inizio di quest’estate che aumentano la possibilità che Trump venga perseguito per il suo tentativo di rovesciare le elezioni e per le violenze al Campidoglio.
Alcuni commentatori si sono chiesti se sia saggio perseguire penalmente Trump per gli eventi del 6 gennaio. Prima di luglio anche noi eravamo scettici sull’argomento, soprattutto visto il suo discorso incendiario alla manifestazione Stop the steal, che aveva preceduto l’attacco al Campidoglio. Pensavamo che il discorso pubblico di quel giorno fosse chiaramente protetto dal Primo emendamento: «Combattiamo come dannati. E se non combatteremo come dannati non avremo più un paese. Così lo faremo, percorreremo tutta Pennsylvania Avenue, e andremo al Campidoglio».
Temevamo che un’accusa basata unicamente su questo discorso sarebbe stata un malsano mix di politica e preconcetti col senno di poi. Ci preoccupava anche che inquirenti aggressivi potessero abusare di un precedente simile per accusare altri leader politici o attivisti che si avvalgono di una retorica del genere nel caso in cui i loro seguaci facciano ricorso alla violenza.
Eppure le prove delle udienze del Comitato del 6 gennaio, in particolare le rivelazioni di Cassidy Hutchinson e di un ex aiutante del capo di stato maggiore di Trump, Mark Meadows, ci hanno fatto cambiare idea.
Incitamento alla rivolta
Hutchinson ha testimoniato che Trump ha ordinato al suo staff di mettere da parte i metal detector per consentire a più sostenitori di prendere parte alla manifestazione. Hutchinson ha ricordato che Trump ha detto qualcosa del tipo: «Non me ne frega un c***o se hanno le armi. Non sono qui per farmi del male. Portate via quei fottuti metal [magnetometri]. Lasciate entrare la mia gente. Da qui possono marciare verso il Campidoglio».
Come abbiamo scritto su Lawfare, un ordine simile non è un discorso politico del tipo protetto dal Primo emendamento. La legge americana distingue regolarmente “atti materiali” o “atti manifesti” dal semplice discorso. Ad esempio, le condanne per cospirazione richiedono più del solo parlare; richiedono anche un atto palese per costituire reato.
L’ordine di Trump è stato questo: un atto palese e materiale con il quale ha inteso favorire un cambiamento concreto che immediatamente avrebbe reso più pericolosa la folla attorno al palco. L’ordine, insieme alle ulteriori prove sullo stato d’animo di Trump, crea una chiara distinzione tra discorso politico protetto e incitamento. In definitiva, la nostra opinione è che la testimonianza di Hutchinson costituisca un caso di incitamento alla rivolta, ostruzione al Congresso e, potenzialmente, insurrezione o cospirazione sediziosa.
Nonostante questo, nell’azione penale c’è più di un caso legale e fattuale. La nostra società garantisce enormi poteri ai pubblici ministeri e l’esercizio responsabile di quel potere richiede moltissima discrezione. Concretamente questo significa che un procedimento penale federale, anche se supportato dai fatti e dalla legge, secondo le linee guida interne del dipartimento di Giustizia, non è appropriato se: «L’azione non serve un interesse federale sostanziale; la persona è soggetta ad azione penale effettiva in un’altra giurisdizione; esiste un’alternativa adeguata, non criminale, all’azione penale».
Siamo d’accordo con gli scettici sul fatto che perseguire un ex presidente – e probabilmente futuro candidato presidenziale – è problematico e rischioso, allo stesso tempo riteniamo che ci siano tre dimensioni a favore delle incriminazioni se l’indagine del dipartimento di Giustizia confermasse i fatti di base presentati dal Comitato del 6 gennaio.
Imparzialità del sistema
In primo luogo, aiuterebbe a preservare la legittimità del sistema giudiziario americano. Un’accusa è un segnale per l’opinione pubblica americana che il sistema di giustizia penale è disposto e in grado di agire in modo imparziale, fino al punto di ritenere responsabile una persona che in precedenza è stata la persona più importante del paese.
I critici hanno affermato che un’azione penale sarebbe vista come una caccia alle streghe nel deep state dai suoi sostenitori e diminuirebbe ulteriormente la loro fiducia nel governo. Potrebbe essere vero, ma i sostenitori più accaniti di Trump potrebbero essere già oltre: sembra che per molti di loro non sarebbe sufficiente dichiarare non valide le elezioni del 2020 e insediare Trump come presidente.
Al contrario, c’è un’ampia fetta di americani la cui fede nella democrazia americana è stata duramente messa alla prova dai ripetuti misfatti di Trump e dall’incapacità del sistema politico, attraverso il processo di impeachment, di rispondere di ciò che ha fatto. Se il dipartimento di Giustizia si rifiuta di perseguire Trump nonostante le prove a suo carico, questo potrebbe convincere gli americani, la maggioranza dei quali è a favore del perseguimento penale di Trump, che lo stato di diritto semplicemente non si applica ai più potenti della società americana.
Allo stesso modo, l’incapacità di ritenere Trump responsabile creerebbe un terribile precedente legale: che i presidenti e gli ex presidenti sono considerati in modo diverso rispetto agli altri americani. E il problema è ancora più profondo, perché se il dipartimento di Giustizia non riuscirà a incriminare Trump si aggiungerà un bizzarro panorama legale in cui i presidenti sono immuni dall’incriminazione, i candidati presidenziali sono effettivamente al sicuro dalle indagini (e sono quindi incentivati a candidarsi per evitare responsabilità penali), e gli ex presidenti non vengono incriminati anche quando la testimonianza pubblica ha già stabilito il procedimento penale.
Questa immunità de facto verso gli ex presidenti è particolarmente inappropriata perché la stessa Costituzione specifica che chiunque sia messo sotto accusa e rimosso «sarà comunque responsabile e soggetto a incriminazione, processo, giudizio e pena, secondo la legge», un chiaro riconoscimento che un presidente potrebbe essere perseguito dopo aver lasciato l’incarico.
La Corte Suprema ha notato che un presidente in carica è soggetto a indagine penale, il che implica che anche un ex presidente potrebbe essere perseguito penalmente. Anche il ramo esecutivo che ha generalmente cercato di espandere il potere presidenziale ha ammesso che un ex presidente può essere «incriminato e processato per gli stessi reati per i quali è stato messo sotto accusa dalla Camera dei rappresentanti e assolto dal Senato».
Comitato ad hoc
In secondo luogo, anche se ci sono dubbi legittimi su qualsiasi dipartimento di Giustizia che si scaglia contro i rivali e i potenziali avversari di un presidente in carica, il Comitato del 6 gennaio ha salvato questo dipartimento dal creare un precedente così problematico.
Senza il lavoro del Comitato ci sarebbero state buone ragioni per fare affidamento su indagini statali e locali per evitare l’apparenza di un conflitto di interessi da parte del dipartimento di Giustizia. Ma la deputata Liz Cheney e il Comitato del 6 gennaio hanno fatto un importante lavoro pubblico per legittimare queste potenziali accuse, fornendo la credibilità che altrimenti il dipartimento di Giustizia avrebbe avuto difficoltà a ottenere.
Territorio inesplorato
Terzo, è importante non sopravvalutare quanto qualcuno, favorevole o contrario che sia all’accusa, possa davvero prevedere le conseguenze secondarie dell’incriminazione di Donald Trump. Da quando Trump è sceso dalla scala mobile e ha annunciato la sua candidatura nel 2015 probabilmente siamo entrati in un territorio inesplorato, e sicuramente lo siamo stati dal novembre 2020, quando Trump ha trascorso mesi a minare la fiducia nelle elezioni presidenziali.
Un perseguimento di tale condotta sarebbe altrettanto senza precedenti e un processo penale a Trump sarebbe contemporaneamente tra le azioni più consequenziali e controverse nella storia del dipartimento di Giustizia. Nessuno dovrebbe presumere di sapere come finirà un simile processo, sia in termini di colpevolezza di Trump che di effetti a catena sulla democrazia americana. Data questa incertezza, la migliore linea d’azione del dipartimento di Giustizia è agire in base ai principi dell’applicazione della legge imparziale.
È impossibile dire come potrà andare un processo simile. Ma a questo punto, se si teme un ulteriore arretramento democratico o addirittura la violenza a causa di un processo penale, si dovrebbe anche temere più violenza se il nostro sistema giudiziario non riuscirà a punire e scoraggiare gli insorti. Di fronte a tale incertezza, il dipartimento di Giustizia dovrebbe rimanere fedele ai principi di base della democrazia liberale. E non c’è principio più fondamentale nella nostra società di quello che nessuno, nemmeno il presidente, è al di sopra della legge.
Il testo è apparso sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava.
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