Vladimir Putin ha riconosciuto le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Ma come nasce il conflitto nell’area e come mai sono considerati punti strategici dal Cremlino?
Dopo aver dichiarato che il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk non è conforme agli accordi di Minsk, il presidente russo Vladimir Putin ha fatto un passo indietro riconoscendo la loro indipendenza.
Un’azione politica che getta benzina sul fuoco incrociato delle dichiarazioni degli ultimi giorni e che rischia di giungere a un’ulteriore escalation delle tensioni militari. Sui social sono circolati video in cui parte della popolazione locale del Donbass ringrazia Putin con fuochi d’artificio e sventolando bandiere russe.
Ma c’è chi considera le immagini come mera propaganda e non rappresentative del volere della popolazione locale.
Donetsky Bassein
Le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk fanno parte dell’area cuscinetto del Donbass, un territorio formalmente ucraino ma che è in parte in mano ai separatisti russi. Le due città furono ripopolate dopo la grande carestia di Stalin dell’“Holomodor” e oggi contano circa 5 milioni di persone in totale.
Il nome Donbass deriva da Donetsky Bassein, il bacino minerario situato lungo il fiume Donetsk, un’area industriale dove l’economia ruota attorno all’estrazione del carbone e altre risorse energetiche.
L’area, però, rimane tra le più povere dell’Ucraina con un salario minimo che si aggira intorno ai 300 euro mensili. Qui la popolazione russofona è circa l’80 per cento e il legame con Mosca è rappresentato anche dalla Chiesa Ortodossa, scissa da quella ucraina e forte catalizzatore di consenso. Su cinque milioni di abitanti, circa 770mila hanno il passaporto russo, mentre altrettanti ne hanno fatto richiesta a Mosca. Non è un caso, se Vladimir Putin nel suo discorso di fronte alla nazione del 21 febbraio ha detto: «Il Donbass è parte integrante della storia e della cultura russa».
Il 2014
La situazione di stallo e di guerra civile nel Donbass va avanti dal 2014, anno in cui dopo la rivoluzione di Euromaidan di Kiev, dove sotto i proiettili della polizia morirono 100 persone e 700 ne furono ferite, l’Ucraina sprofonda in una crisi politica che ha portato al conflitto civile.
Con la deposizione del premier Yanukovich, considerato vicino a Vladimir Putin, nelle aree a maggioranza russa sono scoppiati i primi disordini contro il governo centrale di Kiev. Disordini che hanno portato a scontri armati e ad eventi politici di primo piano necessari per comprendere la situazione attuale.
Primo fra tutti il referendum per l’annessione alla Russia indetto nel marzo del 2014 dal parlamento della Repubblica autonoma della Crimea, penisola che si affaccia sul Mar Nero e che gode di una propria costituzione anche se è un territorio controllato dal governo ucraino.
Dopo l’esito positivo del referendum, l’Ucraina e la comunità internazionale non hanno riconosciuto la legittimità del voto e gli scontri con i separatisti prendono una piega più violenta soprattutto nel Donbass, la regione orientale dell’Ucraina con forte presenza di popolazione russofona.
Gruppi armati organizzati prendono i palazzi governativi e da Kiev inizia l’operazione anti-Terroristichna Operatsiya (Ato) con lo scopo di riprendere pieno possesso di tutto il territorio del Donbass.
Ma ci vuole qualche settimana prima che vengano proclamate le autorepubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, decretando di fatto un punto di non ritorno e l’inizio di un conflitto civile che dura da oltre sette anni. Una guerra logorante combattuta con i cecchini, colpi di mortai e carri armati. Ucraini e separatisti piangono i loro morti giorno dopo giorno e stando alle ultime cifre orientativamente se ne contano 14mila. Ma sono dati quasi impossibili da verificare.
In soccorso di Kiev si organizzano gruppi paramilitari e movimenti di estrema destra come Azov, Kharkiv e Aidar, mentre i separatisti sono sostenuti da Mosca che ha fatto passare oltre il confine armi, munizioni e aiuti alla popolazione locale e ai suoi combattenti. Lo scontro vede impegnati anche diversi combattenti volontari, contractor militari e “foreign fighters” di stampo neofascista e di estrema sinistra provenienti da tutta Europa.
La mossa di Putin
«L’Ucraina non è un paese confinante, è parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale. È stata creata da Lenin», ha detto il 21 febbraio il presidente russo Vladimir Putin che ha accusato Kiev di essere manovrata dall’ambasciata statunitense. «La situazione nel Donbass è estremamente critica», ha aggiunto Putin che ha descritto l'Ucraina come «parte integrante della storia russa, territori parte dell'Impero russo». Nei giorni scorsi su Vkontakte, l’analogo Facebook russo, sono circolati post in cui si faceva riferimento a un imminente attacco ucraino, mai verificato, nel Donbass che ha spinto parte della popolazione locale a fare le valigie e a dirigersi verso il confine per cercare rifugio in Russia.
«Lenin è stato il creatore e l'architetto dell'Ucraina e aveva un interesse particolare anche per il Donbass», ha detto il presidente russo che ha firmato il decreto con il quale vengono istituite le «operazioni di peacekeeping» nell’area. Immediata la condanna dei leader europei, degli Stati Uniti e della Nato. Il tempo della diplomazia sembra essere finito.
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