- L’avvento della crisi ucraina ha derubricato l’impegno del governo Draghi sul fronte libico. Oltretutto, rispetto alla prima visita di Draghi ad aprile 2021 la situazione in Libia è successivamente degenerata.
- Senza dubbio, la diplomazia energetica portata avanti in questi mesi dall’esecutivo rappresenta un raro esempio di coerenza e strategia nel perseguimento degli interessi del paese.
- Tuttavia, al fine di portare avanti una visione globale, coerente e sostenibile per una regione così centrale per l’Italia occorre essere presenti nell’area senza intermittenze. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari: “Cosa resterà della politica estera di Draghi”, in edicola e in digitale dal 23 settembre.
Sebbene agendo in circostanze tese e delicate, sin dai suoi albori il governo Draghi è parso consapevole della centralità del Mediterraneo in generale e dei paesi del nord Africa in particolare per la politica estera italiana, e della necessità di far sentire la propria voce su dossier fondamentali per l’interesse nazionale. Una necessità, questa, che è diventata molto più impellente e ha acquisito ancora più importanza con la crisi energetica scatenatasi in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, che ha determinato l’urgenza di ridurre drasticamente l’ingente dipendenza italiana dalla Russia in materia di energia.
La visita a Tripoli
Guardando alla sponda sud del Mediterraneo da Roma, svariati sono i motivi che ci spingono a soffermarci innanzitutto sulla Libia, da sempre una costante nella politica estera italiana. Non è un caso, infatti, che il primo viaggio all’estero di Mario Draghi in qualità di presidente del Consiglio sia stato, nell’aprile del 2021, proprio a Tripoli, per esprimere sostegno al governo ad interim di Unità nazionale di Dbeibah insediatosi il mese precedente in seno alla roadmap Onu che avrebbe dovuto portare alle elezioni a fine 2021, e per riaffermare più o meno esplicitamente il ruolo italiano nel paese nordafricano.
In quell’occasione, Draghi e il premier libico hanno discusso, oltre che di transizione politica, di energia e migrazione – temi evergreen per i rapporti italo-libici – ma anche di progetti infrastrutturali e del ruolo delle imprese italiane in seno alla ricostruzione, segno di una fiducia riposta nel percorso di risoluzione della crisi.
La visita di Draghi, oltretutto, non era avvenuta nel nulla, ma era stata anticipata a marzo 2021 dalla visita dei ministri degli Esteri di Italia, Francia e Germania – ulteriore segnale positivo per l’affermazione di un coordinamento comune europeo sulla questione libica in seguito alla Conferenza di Berlino del 2019, organizzata dalla Germania dopo anni di frammentazione ed exploit unilaterali.
Crisi ucraina e del gas
Nonostante questa dichiarata centralità del dossier libico in seno alle priorità di politica estera del governo – la promozione della stabilità in Libia e il suo carattere chiave per la stabilità regionale è stato uno dei temi al centro anche della visita del presidente tunisino Kais Saied a Roma nel giugno 2021 –, si può affermare che l’avvento della crisi ucraina abbia in un certo senso derubricato l’impegno del governo Draghi sul fronte libico. Oltretutto, rispetto alla prima visita di Draghi ad aprile 2021 la situazione in Libia è successivamente degenerata, e le speranze per l’unità della Libia hanno nuovamente lasciato spazio al fazionalismo, mentre la roadmap per la pace delineata dalle Nazioni unite appare ormai sempre più lontana.
In questo quadro, l’Italia, come tanti altri attori, si è trovata ancora una volta in un’impasse davanti al caos libico, a maggior ragione date le conseguenze di quanto sta succedendo ai confini orientali dell’Ue. Insomma, neppure il governo Draghi è riuscito infine a imprimere una svolta alla ormai cronica crisi del paese, nonostante le aspettative generate dalle iniziative intraprese durante i primi mesi del governo Draghi di vedere l’Italia giocare un ruolo più determinante sullo scenario di Tripoli.
In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, l’attenzione di Roma è comunque rimasta puntata a sud, con il primario obiettivo, come anticipato, di trovare rapide alternative all’importazione di gas dalla Russia al fine di garantire la sicurezza energetica nazionale. In questo quadro la Libia, sebbene quinto stato in Africa per riserve naturale di gas (fonte US energy information administration), con buona dose di realismo non è stata individuata come prima destinazione cui fare ricorso. Sono ingenti, infatti, gli investimenti e ancora lontane le condizioni politiche e di sicurezza che servirebbero per dare una spinta al potenziale energetico libico, seppure Draghi ne abbia parlato durante il suo incontro a Washington con il presidente Biden nel maggio scorso.
L’accordo con Algeri
La diplomazia energetica del governo Draghi si è rivolta, e con successo, in primis all’Algeria, grande produttore ed esportatore di gas naturale e già secondo fornitore dell’Italia. In occasione della prima visita di Draghi ad Algeri nell’aprile 2022, Eni e l’algerina Sonatrach hanno concordato un cospicuo aumento dei volumi di esportazione di gas algerino verso l’Italia già dal 2022, sino ad arrivare a 9 miliardi di metri cubi in più entro il 2024.
Le basi per l’accordo, peraltro, erano già state poste a fine febbraio in occasione di una visita ad Algeri di Di Maio e dell’amministratore di Eni De Scalzi, il che indica quanto questo ulteriore passo nel quadro del già avviato partenariato energetico tra Roma e Algeri sia parte di una strategia ponderata, e non prettamente di una decisione emergenziale, presa sull’onda degli eventi.
Senza dubbio, questa nuova fase si è consolidata con grande rapidità: secondo quanto emerso in occasione del IV vertice intergovernativo italo-algerino svoltosi a luglio ad Algeri, infatti, un’accelerazione delle tempistiche e un ulteriore aumento delle forniture previste in seno all’accordo siglato ad aprile ha fatto sì che l’Algeria rappresenti già oggi la prima fonte di importazione di gas per l’Italia.
La visita di luglio ha permesso anche di inquadrare e in prospettiva rafforzare questa intensa cooperazione energetica nell’ambito di una più ampia cooperazione tra Italia e Algeria, portando alla firma di ben quindici tra accordi, memorandum, protocolli e dichiarazioni, tra cui emerge un focus anche sulle energie rinnovabili, che strizza l’occhio alla volontà di aumentare la sostenibilità di un partenariato principalmente basato su di un combustibile fossile.
Per fare un bilancio dell’esperienza della politica estera del governo Draghi, è fondamentale sottolineare anche come il vertice italo algerino di luglio sia avvenuto nonostante la crisi di governo in corso in Italia. A conferma del carattere prioritario conferito a questa missione per l’interesse nazionale, Draghi è oltretutto volato ad Algeri accompagnato da sei dei suoi ministri, quasi a voler sottolineare la firma del suo governo su questo importante dossier. Si tratterà, per il prossimo esecutivo, di un’importante eredità da raccogliere e coltivare, comprendendone innanzitutto la centralità in seno all’essenziale proiezione italiana nel Mediterraneo.
L’intesa egiziana
Un altro versante su cui Roma si è mossa con rapidità in seno alla crisi energetica è stato quello egiziano; sempre nel mese di aprile, in concomitanza della firma del contratto con Sonatrach, Eni ed Egas hanno siglato un accordo per aumentare la produzione di gas e l’esportazione di gnl verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia, puntando inoltre sull’ottimizzazione di nuove esplorazioni.
Secondo indiscrezioni, inoltre, il colosso energetico italiano potrebbe essere in trattativa per un ulteriore aumento delle forniture da parte egiziana. L’intesa con il Cairo, tuttavia, è avvenuta in sordina, soprattutto se si considera la risonanza che ha invece assunto l’accordo con l’Algeria.
All’interno della maggioranza di governo, infatti, una rafforzata cooperazione con l’Egitto non è stata vista di buon occhio in particolare dagli esponenti del Partito democratico a causa della mancata collaborazione da parte egiziana in seno al processo per l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, che si inscrive oltretutto in un clima piuttosto lugubre per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani in Egitto.
A comporre il patchwork costruito da Eni al fine di diversificare le fonti energetiche di Italia ed Europa e assicurarne la sicurezza energetica, si posiziona infine anche la scoperta di un nuovo giacimento di gas al largo di Cipro, Cronos 1, in un blocco operato per il 50 per cento da Eni Cyprus e per il 50 per cento dalla francese TotalEnergies. I volumi di gas di Cronos 1 sono significativi, soprattutto alla luce delle circostanze odierne, ma non eccezionali; tuttavia, si tratta di una scoperta che dà il via a nuove esplorazioni nell’area, e fa ben sperare nel quadro della ricerca di alternative al gas di Mosca che negli ultimi mesi Roma ha perseguito con alacrità. Si tratta però, anche in questo teatro, di una missione complessa dal punto di vista politico, in quanto si temono nuove interferenze di Ankara data la relativa vicinanza di questo nuovo giacimento alle acque rivendicate dalla Turchia.
Visione sostenibile
Le mosse del governo Draghi nel sud del Mediterraneo, e in particolare in nord Africa, riflettono la dovuta centralità accordata a questo scenario. Senza dubbio, la diplomazia energetica portata avanti in questi mesi dall’esecutivo rappresenta un raro esempio di coerenza e strategia nel perseguimento degli interessi del paese.
Tuttavia – e ciò rappresenta ovviamente anche una considerazione e raccomandazione per il prossimo futuro – al fine di portare avanti una visione globale, coerente e sostenibile per una regione così centrale per l’Italia quale il nord Africa, è necessario continuare ad affermare con costanza il ruolo del paese nei diversi scenari chiave, in particolare in quelli di crisi, quale quello libico, senza intermittenze. Un compito estremamente complesso nell’attuale contesto politico internazionale e data l’instabilità politica nazionale, ma che si rivela davvero fondamentale per il posizionamento dell’Italia come attore di rilievo al centro del Mediterraneo.
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